sabato 22 dicembre 2012

La fondazione estetica di un'etica minima universale: una proposta di dibattito, a partire da “Totalitarismo, democrazia, etica pubblica” di Federico Sollazzo

di Sonia Caporossi (criticaimpura@gmail.com)

“Si giunge così alla parte conclusiva del lavoro in cui si sviluppa la parte propositiva volta a rintracciare i criteri per una pacifica convivenza umana in quei valori che sono alla base di un’etica minima condivisibile. Infatti ogni uomo è in possesso di necessità e capacità psico-fisiche, emozionali e biologiche dalle quali deriva sia la sua dimensione identitaria, sia la possibilità di condurre un’esistenza autenticamente appagante. L’identità a livello biologico ed emozionale degli individui costituisce, quindi, la dimensione al cui interno è possibile ricercare principi universalizzabili su cui basare le coordinate per un’etica minima condivisibile. Tuttavia, questa base etica comune si realizza in una pluralità di modi storicamente diversi, in uno scenario multiculturale e multietnico. La possibilità di confronto tra diverse società e culture è ricercata da Sollazzo in una sorta di “sintesi disgiuntiva”, attraverso cui contemperare da un lato l’interazione tra identità diverse e dall’altro il mantenimento per ciascuna della propria riconoscibilità e non assimilabilità.”

(dall’introduzione di M. T. Pansera)

Nel suo Totalitarismo, democrazia, etica pubblica (Aracne, 2011), Federico Sollazzo tematizza alcuni argomenti di importanza capitale per comprendere strutturalmente e storicamente il mondo in cui viviamo. Non è questa la sede per esporre una recensione puramente descrittiva del suo libro, né per esaminare a fondo ogni sua singola sezione, come invece hanno fatto alla perfezione gli amici Filosofi Precari nella veste riassuntiva di Giacomo Pezzano. Il mio intento, piuttosto, è discutere e fare critica (impuramente, com’è mio solito) di alcuni passaggi importanti della parte non espositiva, bensì costruttiva del libro, ovvero le argomentazioni riguardanti la possibile individuazione di un’etica minima universale che stia alla base della comunità umana in senso antropologico, sociologico, politico, financo biologico, come quel quid che ci identifica e ci imparenta in quanto umani; che poi risulta essere l’argomento portante dell’intero lavoro dell’autore, il collante fra le tre parti in cui è opportunamente suddiviso il testo: filosofia morale, filosofia politica, etica.
In breve, la domanda che l’autore del libro si pone è la seguente: esiste ancora dopo più di duemila anni un quid che permetta l’universalizzazione dei principi propri di un’etica minima condivisibile? Sollazzo risponde, preliminarmente, di sì, partendo da una prospettiva prettamente antropologica (Scheler, Plessner e Gehlen in primis) e francofortiana, per il momento aggirando consapevolmente la discorsivizzazione della presunta morte dell’uomo conseguente alla nicciana morte di Dio, che tanto ha permeato la cultura filosofica francese della seconda metà del secolo scorso e, pur citando Foucault, non accogliendone il costruttivista assunto in base al quale “l’uomo è un’invenzione recente”, come è scritto nero su bianco in Le parole e le cose.

mercoledì 19 dicembre 2012

"Totalitarismo, democrazia, etica pubblica" di Federico Sollazzo

di Michela Della Morte (forperlavrivista@unibg.it)


Il volume Totalitarismo, democrazia, etica pubblica di Federico Sollazzo, ricercatore di Filosofia morale e Filosofia politica presso l'Università degli Studi Roma 3 [Università di Szeged, N.d.R], nasce dalla rielaborazione della Tesi di Dottorato in Filosofia e Teoria delle Scienze Umane Tra totalitarismo e democrazia: la funzione pubblica dell'etica.
Il testo, articolato in tre parti (filosofia morale, filosofia politica, etica), affronta i temi del totalitarismo e della democrazia partendo dall'uomo come soggetto, e li analizza sia nella loro dimensione di categorie concettuali che nella loro contingenza di eventi storici realizzati o realizzabili nella storia. L'epoca delle ideologie, secondo l'Autore, non può dirsi finita: esse hanno assunto caratteri differenti che necessitano di nuove chiavi di lettura. Che si tratti di dittatura, oppure di democrazia, è necessario un costante esercizio che non permetta al pensiero critico e all'azione umana di assopirsi e allontanarsi dalle questioni politiche. Il merito del lavoro sta proprio nel sottolineare, attraverso una scrittura scorrevole e chiara, come la stessa democrazia porti con se dei rischi da non dimenticare, in quanto non può mai essere la 'creazione di pochi', ma il 'vivere di tutti'; diversamente rientrerebbe anch'essa in un'ottica simile a quella dispotica.

lunedì 10 dicembre 2012

Omologazioni

di LiberaParola (info@liberaparola.eu)

(Ritenendolo di attualità, si pubblica di seguito il programma del ciclo di incontri Omologazioni. Il tempo delle differenze sfumate già organizzato dalla associazione LiberaParola – Centro di Psicoanalisi Applicata)

La società contemporanea è attraversata da una crescente tendenza all'omologazione e al livellamento delle differenze. Restia a dare voce alla soggettività, produce e diffonde canoni standardizzati che velano quelle singolarità che la psicoanalisi cerca di valorizzare... Il concetto di “salute mentale” avanza come una vorace categoria assoluta intenta a misurare, classificare e valutare ogni sfumatura del comportamento umano, adulto e infantile, arricchendo i manuali con nuove ‘patologie’ mentali che interesseranno un numero sempre più ampio di ignari individui. I canoni della bellezza femminile oscillano tra il rafforzamento sociale del corpo magro con venature anoressiche e la ricostruzione chirurgica indifferenziata delle donne.

lunedì 3 dicembre 2012

Etica e dominio della tecnica

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Interventi di Federico Sollazzo e Giacomo Pezzano, a cura di Giancarlo Calciolari

giovedì 22 novembre 2012

Potere (Rai Filosofia)

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Si riporta di seguito il video di presentazione della moderazione di Federico Sollazzo del dibattito sul tema "potere" su Rai Filosofia.


Licenza Creative Commons
Questa opera di CriticaMente è concessa in licenza sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported.

giovedì 15 novembre 2012

Che cos’è un privilegio? Economisti, battete un colpo!

di Giacomo Pezzano (giacomo.pezzano@binario5.com)

La lotta a privilegi e privilegiati è partita e viene condotta senza esclusione di colpi e senza, paradossalmente, privilegiare nessuno: nessuno è escluso, ognuno deve rinunciare ai suoi privilegi in nome del bene comune o, più “sobriamente” (come va di moda), dell’interesse comune.
Di conseguenza è scattata una sorta di caccia alle streghe in cui tutti siamo un po’ streghe, una banca più di un’assicurazione, un’assicurazione più di un notaio, un notaio più di un farmacista, un farmacista più di un tassista, un tassista più di un “padroncino”, un “padroncino” più di un netturbino, a questo punto.
Difficile così capire cosa possa significare colpire i privilegiati, sottrarre privilegi a chi li possiede, se ogni interesse di categoria diventa di per sé un privilegio corporativo da estirpare o, quantomeno, da ridimensionare.
In un senso generalissimo, con “privilegio” intendiamo qualcosa o, meglio, qualcuno che è “privo” nel senso di isolato, qualcuno che vive in una condizione particolare e separata rispetto a tutti gli altri, e ciò perché privus di lex: il privilegiato è dunque qualcuno che è “privo di legge” e per questo “fuorilegge”, che vive al di fuori della legge comune, non di una qualche legge specifica, ma al di fuori dell’elemento di comunanza e reciprocità  insito in ogni legge in quanto tale. Chi è immune alla legge, al di sopra della legge, al di fuori della legge, e per questo separato dagli altri, al di sopra di noi tutti.
Bene, ma con questo non andiamo molto avanti.

venerdì 2 novembre 2012

Per una moralità minima condivisibile. Antropologia essenziale: biologia ed emozioni

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)


Una delle acquisizioni più consolidate della filosofia, ed in particolare dell’antropologia filosofica, del Novecento è la convinzione che l’uomo non sia una mera somma di due sostanze (res cogitans e res extensa, spirito e corpo), ma una struttura unitaria di corporeità ed extracorporeità[1] nella quale questi due fattori si fondono. Ora, quello che qui si vuole sostenere è che un essere così strutturato possiede una determinata moralità minima (intesa come la percezione di bisogni e desideri essenziali, derivanti dalle peculiarità antropologiche, originanti una determinata distinzione tra bene e male, giusto e ingiusto, ed un conseguente comportamento) che, se proiettata sugli altri, origina un’etica minima (intesa come l’attribuzione agli altri della nostra medesima sensibilità di base, del nostro stesso sentire di fondo, insomma, come una condivisione dello stesso patire). In altre parole, se l’essere umano esiste ancora, dopo più di duemila anni di storia, ciò significa che dispone di una moralità minima condivisa da tutti che, proprio per questo, rende l’etica universale, ma tale universalità dipende dagli “universalizzabili”, cioè, da quegli elementi condivisibili e condivisi da tutti gli uomini, per il solo fatto di essere uomini. Pertanto gli universalizzabili devono necessariamente essere basilari, minimi (andrebbe altrimenti perduta la loro condivisibilità), per questo la proposta che qui viene avanzata verte sull’“universalizzabilità” della biologia e delle emozioni umane, intesi come elementi centrali della costituzione antropologica essenziale. L’antropologia, in tal modo, rappresenta una via d’accesso privilegiata alla morale e all’etica, intese come il perseguimento del bene individuale e collettivo[2]. Ora, il mio intento non è né quello di descrivere la fisiologia umana, di delineare un modello di biologia descrittiva delle funzioni organiche, né quello di disegnare una sorta di mappa delle emozioni umane, nonostante che «sia sempre la nostra capacità di provare peculiari sentimenti morali che ispira la nostra vita etica»[3], bensì quello di estrarre una certa normatività (scaturente da principi e valori che, relativamente all’uomo, possono essere considerati assoluti) dalla ambigua ma unitaria costituzione antropologica umana. Ed in questo proposito non riscontro l’impossibilità di cui parla Jürgen Habermas, per il quale «non è possibile desumere dalla costituzione biologico-naturale dell’uomo imperativi di tipo normativo per una ragionevole condotta di vita»[4], infatti, pur condividendo l’osservazione che «dal punto di vista della teoria del diritto, i moderni ordinamenti giuridici possono ricavare legittimità solo dall’idea dell’autodeterminazione: i cittadini devono potersi pensare come gli autori di quello stesso diritto cui, come destinatari, sono sottomessi»[5], ritengo che il processo di autodeterminazione del diritto non sia in contrasto con l’esistenza di universali principi ispiratori, che i cittadini decidono come concretizzare. L’obiettivo è, allora, quello di passare dal principio della sacralità della vita, tipico della tradizione culturale occidentale, al «principio della qualità della vita»[6], ed evidentemente ciò presuppone l’abbandono di una prospettiva religiosa (in ambito antropologico, morale ed etico), in favore dell’assunzione del dato di fatto antropologico, relativo quindi alla biologia ed alle emozioni (ossia a quei costituenti che, materiali o immateriali che siano, pertengono sempre all’essere umano), come unica fonte normativa in campo morale ed etico; ne consegue pertanto il rifiuto dell’assunzione di uno specifico sentire religioso, politico, culturale, ecc, come origine della morale. Infatti, se si vuole considerare la morale come un tema pubblico, cioè appartenente a tutti gli uomini sia come creatori che come destinatari (ed è questo l’unico modo per tendere verso una pacificazione sociale non omologante, salvante cioè l’eterogeneità della società), allora il ragionamento su di essa deve essere impostato e condotto, non solo in una modalità che sia accessibile a qualsiasi uomo abbia il desiderio e le ragionevoli capacità critico-argomentative per interessarsene, ma in maniera tale che comprenda, abbracci la totalità degli uomini, insomma in modo laico.

venerdì 19 ottobre 2012

“Totalitarismo, democrazia, etica pubblica”: l’uomo pensante, una lettura

di Stefano Fiini (xblackice74@gmail.com)

Nel percorrere l’opera del filosofo Federico Sollazzo ci si trova a fronteggiare un molteplice piano di significati di attuale importanza, tanto che Totalitarismo, democrazia, etica pubblica si propone come una collettanea di saggi che mirano a rendere in maniera sintetica la “complessità dell’esistente” senza, per altro, avere la pretesa di esaurirne la ricchezza e la molteplicità.
Totalitarismo sembra essere una parola desueta, o, per lo più, relegata a periodi storici quali il nazismo della seconda guerra mondiale o lo stalinismo, ma ricopre, oltre al significato storico ed ai suoi evidenti effetti, anche una valenza concettuale che va oltre il passato. L’ideologia totalitaristica ha subito una mutazione virulenta e ha attecchito nel tessuto sociale in maniera endemica rendendo nell’omologazione di pensiero propria di ciascun uomo il marchio del suo operare. Foucault nel suo concetto di biopolitica aveva già preannunciato questa metamorfosi in forme di controllo che esulavano (senza per altro escluderle) dalla fabbrica e dalla scuola e arrivavano alle autostrade e alle tessere del consumo quotidiano, ai moderni ritrovati tecnologici: telefonini e computer. Marcuse nell’idea dell’uomo unidimensionale rintraccia l’idea per cui il sistema diventa un controllore che uniforma e direziona nel mantenere lo status quo del sistema politico e sociale. Il grande escluso rimane il confronto nel dialogo tra idee diverse, tra l’unicità della ragione di ciascun uomo, vero propellente della crescita sociale. Ciò che rende vero un uomo e il suo agire è l’autenticità, l’essere unico e consapevole in ogni azione e non mero esecutore di un comando o di una ideologia. Affine a questo modo d’agire è stato nella cruenta storia del nazismo Eichmann, ben definito da Hannah Arendt ne La banalità del male, come automa, come esecutore impersonale di un ordine che trova soddisfazione nel compiere nella miglior maniera il compito assegnatoli e con quella gratificazione di averlo compiuto in maniera perfetta, a scapito dell’orrore prodotto. Nella nostra realtà non si trova forse una copia rivisitata nel manager o nell'istituzione che deve portare il proprio bilancio in attivo a fine anno? O nella fabbrica che deve chiudere per le leggi della macro economia condannando degli uomini – numero in balìa della sorte? Sollazzo analizza questo agire come una modalità tecnica, strettamente connessa all’onda economica di questo momento storico ma non esclusivamente dipendente da essa.

lunedì 24 settembre 2012

Sulla rivoluzione antropologica

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Si riporta di seguito la conclusione dell'Abstract della Relazione Mutamenti cultural-identitari. Pasolini e la "mutazione antropologica", tenuta da Federico Sollazzo al Convegno internazionale Discorso, identità e cultura nella lingua e nella letteratura italiana, svoltosi presso l'Università di Craiova (Romania), nel Settembre 2012.

mercoledì 12 settembre 2012

Totalitarismo, democrazia, etica pubblica. Intervista a Federico Sollazzo

di Giulietta Iannone (liberidiscrivere@gmail.com)

1. Sei nato a Roma nel 1978, hai compiuto studi scientifici prima di laurearti in Filosofia presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una Tesi dal titolo La concezione marxiana del lavoro alienato e il libero gioco delle facoltà umane in Marcuse. Hai proseguito conseguendo il Dottorato di Ricerca (PhD) in “Filosofia e Teoria delle Scienze Umane” con la Dissertazione Tra totalitarismo e democrazia: la funzione pubblica dell’etica. Parlaci di te, raccontaci parte del tuo percorso di formazione.

Quella di studiare filosofia direi che più che una scelta è stata una risposta ad un richiamo verso qualcosa che risuonava in me, che mi appariva, e mi appare, come famigliare. Dopo il conseguimento della Laurea sono acceduto, tramite concorso, al Dottorato ma dopo il conseguimento di quest’ultimo ho trovato (almeno fino ad ora) impossibile accedere ad una successiva posizione in Italia, tant’è che ho conseguito il Post-Dottorato, parallelamente all’attività di docenza, presso la Scuola dottorale in Filosofia dell’Università di Szeged in Ungheria (dove tuttora mi trovo). Direi quindi, niente di nuovo da segnalare: una formazione svolta in Italia, a carico di questa, e poi il riversamento all’estero delle competenze acquisite, presso chi beneficia così di studiosi già formati da altri.

domenica 2 settembre 2012

Intersezioni

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Letture più affini di quel che può sembrare.

Karl Marx, L'alienazione, a cura di Marcello Musto, Donzelli, Roma 2010

giovedì 16 agosto 2012

In ricordo di Alberto Gessani

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Ho appreso solo recentemente della scomparsa, il 31 Gennaio c.a., di Alberto Gessani, Docente universitario di Estetica, appassionato e profondo conoscitore di Filosofia Classica.
Ho frequentato le sue lezioni, ha lasciato il segno in me. Lo ha lasciato sotto il profilo didattico-scientifico: la sua interpretazione degli autori classici, in particolare io rimasi affascinato dalla sua lettura di Platone, rimane quella più armoniosa, completa, profonda, priva di contraddizioni, zone d'ombra o ambiguità, dettata dal logos, che a tutt'oggi abbia mai ascoltato. Lo ha lasciato sotto il profilo umano: costantemente estraneo alle lotte di potere che pressoché sempre caratterizzano l'università (quella nostrana in particolare), interessato unicamente a potersi dedicare a coltivare le sue passioni intellettuali.

sabato 28 luglio 2012

Siamo noi europei a scindere tra corpo e mente

di Rosetta Savelli (rosettasavelli@alice.it)

Siamo noi Europei a scindere continuamente corpo e mente e ad anteporre l'uno all'altro, a seconda dei contesti e delle contingenze. Immemori del propositivo pensiero filosofico degli Antichi Latini: mens sana in corpore sano.
La nostra Cultura Europea si è evoluta seguendo questa scissione, al contrario di molti altri Paesi e Continenti nel mondo. A tale proposito mi viene subito alla mente l'amica messicana Marina Centeno che conduce un bel programma radiofonico di Ecopoesia a «Radio Merida», Yucatan – Messico. Marina Centeno è un'ottima poetessa e scrittrice ed il suo blog virtuale è un elogio all'unione e all'unisono fra mente e corpo. Marina racconta il mondo intero, nel suo bello e nel suo brutto, sempre e prevalentemente attraverso il corpo femminile e le sue nudità, in un modo mai integrale e anzi solo parziale che però ugualmente tutto narra, dice e mostra.

mercoledì 11 luglio 2012

La legge come espressione della volontà generale

di Antonio Cecere (antoniocecere@live.it)

La nostra tesi di fondo si basa sull’idea che il Contratto sociale garantisce la libertà e l’uguaglianza grazie a un sistema di leggi giuste. La legge è l’espressione della volontà generale dei cittadini in uno Stato, e da questa dipende la libertà individuale di tutti.
Nel Manoscritto di Ginevra troviamo la più ampia trattazione di ciò che Rousseau intende per legge: “Abbiamo detto che la legge è un atto pubblico e solenne della volontà generale, e poiché col patto fondamentale ciascuno si è sottomesso a tale volontà, ogni legge trae la sua forza solo da questo patto. Ma cerchiamo di dare un’idea più netta alla parola legge presa nel senso proprio e ristretto di cui tratta questo scritto. La natura delle leggi è costituita da una materia e da una forma; la forma è nell’autorità che statuisce, la materia nella cosa statuita”1
In questa definizione notiamo che con Rousseau, studiando la legge, viene presa in considerazione non soltanto l’autorità che la emana, ma anche l’oggetto a cui fa riferimento. E Rousseau aggiunge: “poiché la cosa statuita si riferisce di necessità al bene comune, ne consegue che l’oggetto della legge deve essere generale come la volontà che la detta, e il vero carattere della legge è costituito da questa duplice universalità”. La legge deve, contemporaneamente, essere universale nell’oggetto e anche nel soggetto che la emana. Questo comporta che non vi saranno oggetti particolari ad essere regolamentati, ma, soprattutto, non vi saranno uomini particolari a esercitare la sovranità. La soluzione a questa impostazione è che la legge deve partire da tutti, per essere applicata a tutti.

domenica 1 luglio 2012

(Call for Video-Workshop) Fenomenologia sociale

Nell'ambito del Call for Video-Workshop di "CriticaMente" si pubblica il seguente video di Pasquale Vetere sul Tema Multiculturalismo, Interculturalismo, Globalizzazione 

Pasquale Vetere è laureato in Scienze dell'Educazione con una Tesi sul ruolo dell'esistenzialismo oggi


Licenza Creative Commons
Questa opera di CriticaMente è concessa in licenza sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported.

lunedì 25 giugno 2012

(Call for Video-Workshop) Arte e nuovi media

Nell'ambito del Call for Video-Workshop di "CriticaMente" si pubblica il seguente video di Rosetta Savelli sul Tema Il posto dell'Arte e dell'Alta Cultura nella società tecnologicamente avanzata 

Rosetta Savelli è scrittrice, tra le sue pubblicazioni: la raccolta di poesie "Le magie che mi soffiano lontano", i racconti "Iris e dintorni" e "Rendere e non finire" e il romanzo "La primavera di Giulia"


Licenza Creative Commons
Questa opera di CriticaMente è concessa in licenza sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported.

venerdì 22 giugno 2012

(Call for Video-Workshop) Pluralismo e relativismo etico-culturale

Nell'ambito del Call for Video-Workshop di "CriticaMente" si pubblica il seguente video di Mario De Caro sul Tema Il pluralismo culturale è un pluralismo etico?

Mario De Caro è professore associato di Filosofia morale presso il Dipartimento di Filosofia dell'Università Roma Tre. Ha insegnato all'Università dell'Aquila, al Saint Mary's College (Notre Dame, Indiana) e, dal 2000, insegna anche alla Tufts University (Massachusetts). E' stato, per due anni, Visiting Scholar al Massachusetts Institute of Technology e Fulbright Fellow alla Harvard University. Attualmente è presidente della Società Italiana di Filosofia Analitica e membro del Comitato Esecutivo della Consulta Filosofica Italiana, del Committee on Academic Career Opportunities and Placement della American Philosophical Association, del Direttivo della sezione romana della Società Filosofica Italiana e del Comitato direttivo della Consulta filosofica. A Roma Tre, dopo essere stato per otto anni membro del Consiglio di Amministrazione, è delegato del Rettore ai rapporti con gli studenti.

mercoledì 20 giugno 2012

(Call for Video-Workshop) Marx e l'antropologia filosofica

Nell'ambito del Call for Video-Workshop di "CriticaMente" si pubblica il seguente video di Giacomo Pezzano sul Tema Società e antropologia della Modernità

Giacomo Pezzano è Docente a contratto presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Torino


Licenza Creative Commons
Questa opera di CriticaMente è concessa in licenza sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported.

giovedì 14 giugno 2012

(Call for Video-Workshop) L'enigma del feticismo della merce in Marx

Nell'ambito del Call for Video-Workshop di "CriticaMente" si pubblica il seguente video di Giancarlo Calciolari sul Tema Elementi di attualità e di obsolescenza nel pensiero di K. Marx

Giancarlo Calciolari, psicanalista, è curatore della rivista "Transfinito" e editore di Transfinito Edizioni 


Licenza Creative Commons
Questa opera di CriticaMente è concessa in licenza sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported.

venerdì 8 giugno 2012

(Call for Video-Workshop) Esistere è comunicare

Nell'ambito del Call for Video-Workshop di "CriticaMente" si pubblica il seguente video di Maria Giovanna Farina sul Tema Società e antropologia della Modernità

Maria Giovanna Farina è consulente filosofico presso la Heuristic Institution e Direttrice della Rivista di cultura filosofica "L'accento di Socrate"


Licenza Creative Commons
Questa opera di CriticaMente è concessa in licenza sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported.

martedì 29 maggio 2012

Note sulla Modernità

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

(Si pubblica di seguito il testo della lettera inviata alla Associazione Nazionale Pratiche Filosofiche di Certaldo in occasione del conferimento, in data 20/05/2012, del Premio Speciale per la sezione Saggio Filosofico al Premio Nazionale di Filosofia 2012, al volume: Federico Sollazzo, Totalitarismo, democrazia, etica pubblica. Scritti di Filosofia morale, Filosofia politica, Etica, Presentazione di M. T. Pansera, Aracne, Roma 2011)

Trovandomi all’estero, come il Presidente dell’ “Associazione Nazionale Pratiche Filosofiche” dott. Mario Guarna sa, non mi è possibile partecipare alla cerimonia di premiazione di oggi, del Premio Nazionale di Filosofia. Mi trovo infatti al momento presso l’Università di Szeged (Ungheria) dove lavoro dal 2010. Il fatto che io lavori all’estero non per libera scelta, pur trovandomi bene, ma a seguito della scelta forzata derivante dal non aver potuto accedere ad analoga posizione in Italia, ed il fatto che simili condizioni siano condivise da non pochi miei più o meno giovani colleghi in pressoché tutti i campi scientifici, forse meriterebbe già di per sé una riflessione. In questa festosa circostanza però, mi limito ad inviare questa breve comunicazione, letta dal dott. Matteo Sollazzo, mio fratello e per l’occasione mio delegato, per partecipare, sia pure indirettamente, alla consegna del Premio Speciale per la sezione Saggio Filosofico all’edizione 2012 del Premio Nazionale di Filosofia, al mio volume Totalitarismo, democrazia, etica pubblica, confidando che in futuro vi possa essere occasione per una diretta e personale collaborazione con la ANPF.
Il mio ringraziamento per il riconoscimento che mi è stato voluto dare nasce non solo dal premio in sé, ma anche dal fatto che tale riconoscimento contribuisce a dare maggiore eco a quello che è il proposito di fondo del volume stesso.

lunedì 21 maggio 2012

Zettel. Filosofia in movimento. Dibattito sul tema POTERE

Sulla pagina facebook di "Rai Filosofia" dal 22 al 29 Maggio si parla di POTERE, tema affrontato nella puntata settimanale del programma "Zettel", curato da Maurizio Ferraris, Mario De Caro e Achille Varzi


Il dibattito è moderato da Federico Sollazzo, tutti gli interessati sono invitati a partecipare

Licenza Creative Commons
Questa opera di CriticaMente è concessa in licenza sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported.

sabato 19 maggio 2012

Rethinking Human Nature and the Place of (Wo)Man in the world: Anthropology between Philosophy and Science. A Manifesto

by Giacomo Pezzano (giacomo.pezzano@binario5.com)

0. Who is (Wo)Man?

0.1. We are knowing more and more about (Wo)Man, but the determination of her/his nature is still problematic: asking «What is (Wo)Man?» is paradoxically possible only in the space left open by (wo)man’s erasure. Whatever human nature is, (wo)man wants to know her/himself, because if (s)he does not know who (s)he is, (s)he can not know where to go: moving from hominitas to humanitas requires a definition of (wo)man’s nature, of her/his «place» in the world, in view of describing ex-istence as a modulation of the «World Openness» and an attempt to find a way of articulate the possibilities, as intrinsically «medial» and «modal» since it is founded on «referral» and «relationship with the outside».

mercoledì 2 maggio 2012

Recensione a: Federico Sollazzo, "Totalitarismo, democrazia, etica pubblica"

di Giacomo Pezzano (giacomo.pezzano@binario5.com)

Federico Sollazzo, Totalitarismo,democrazia, etica pubblica. Scritti di Filosofia morale, Filosofia politica, Etica, "Presentazione" di M. T. Pansera, Aracne, Roma 2011

0. Questo testo di Federico Sollazzo ha prima di tutto il pregio di essere chiaro e non cercare un linguaggio volutamente difficile da decifrare, spesso peraltro sintomo di mancanza di contenuti, ma anche quello di cercare di fornire una visione ampia che – il sottotitolo lo evidenzia da subito – mira a costruire un primo ponte «filosofico» (senza alcuna pretesa di definitività, ma non per questo senza pretese di stabilità – comunque provvisoria) tra morale, politica ed etica. Come nota con precisione Maria Teresa Pansera nella presentazione, l’Autore assume una prospettiva che è insieme «filosofica, ma anche storica, politica, sociale e psicologica» (p. 10), ma mi sento di dire di più, è una prospettiva anche se non soprattutto antropologica, anzi, che proprio perché umanistica in senso ampio può essere poi filosofica, storica, politica, sociale e psicologica. Infatti (anche ciò è ben colto da Pansera), il principale elemento propositivo avanzato nell’opera è una caratterizzazione della base umanistica dell’etica, rintracciata in un insieme di necessità e capacità psico-fisiche (biologiche ed emozionali, che per l’Autore non vanno in alcun modo confuse con quelle emotive) che identificano la natura umana (l’uomo in quanto uomo), ma che allo stesso tempo non possono realizzarsi se non tramite una pluralità di modi storicamente diversi e contingentemente situati (dando in ultima istanza vita a uno scenario multiculturale e multietnico). I diversi contributi dell’opera manifestano al contempo l’uno rispetto all’altro indipendenza e organicità, quasi come tasselli di un mosaico (è peraltro l’immagine presentata da Sollazzo stesso nella premessa: p. 13) che se colti insieme nelle loro reciproche relazioni e interconnessioni presentano un quadro sintetico unitario, ma che se esaminati isolatamente sono comunque in grado di restituire un’immagine autonoma e chiara. Presenterò qui brevemente questi tasselli, isolando per ognuno di essi quella che ritengo essere la tesi centrale espressa dall’Autore: i §§ 1-4 presenteranno in nuce la parte dell’opera intitolata «Filosofia morale», i §§ 5-12 quella intitolata «Filosofia politica» e i §§ 13-18 quella intitolata «Etica». 

venerdì 20 aprile 2012

"Il giovane Lukács"

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Elio Matassi, Il giovane Lukács. Saggio e sistema, Mimesis

Se l’espressione “giovane Lukács” è venuta assumendo una potenza eccessiva ed ideologizzata, come afferma Elio Matassi, autore del volume Il giovane Lukács. Saggio e sistema, Mimesis, 2011 (pp. 187, € 15) nell’”Introduzione” al volume stesso, perché allora fare di questa espressione addirittura il titolo di un libro? Evidentemente, per ridare a quell’espressione una valenza non più ideologizzata, compito che può essere assolto valutando un itinerario intellettuale alla luce della sua fine e non del suo inizio[1]. Un inizio che si pone nel segno del saggismo, che però non deve essere inteso come un qualcosa di frammentario e privo d’unità tematica, ma in maniera prismatica, come una molteplicità di frammenti che dovranno essere tutti riflessi dallo, e quindi contenuti nello, specchio saggistico. Così, la forma saggistica e quella tragica si pongono entrambe nell’ambito del saggismo, come due sue estremità, cosicché il passaggio dall’una all’altra non avviene nel segno dell’esclusione bensì della continuità: esse rappresentano lo stesso discorso declinato in chiave affermativa (la forma saggistica) e negativa (la forma tragica). Per questo il passaggio da un’opera quale A modern dráma fejlődésének története (Storia dello sviluppo del dramma moderno) ad una quale Die Seele und die Formen (L’anima e le forme) non deve essere descritto come un salto da un’interpretazione storico-filosofica del tragico ad una visione pantragica, un metastoricismo ispirato alla filosofia della vita e all’estasi della morte, bensì come un passaggio “fluente” da un approccio storico-filosofico nel quale sono già presenti elementi di ontologia esistenziale metastorico-metafisica ad una piena espansione degli stessi.

sabato 7 aprile 2012

"Il potere invisibile"

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)


V. Sorrentino, Il potere invisibile. Il segreto e la menzogna nella politica contemporanea, prefazione di P. Barcellona, Dedalo, 2011

Indice

Prefazione
di Pietro Barcellona

Introduzione

giovedì 29 marzo 2012

Byron, "I watched thee"

di Francesco Barresi (ruutura@hotmail.it)

Tradurre poesia in lingua è un compito per grammatici ma tradurre poesia in poesia è di gran lunga più nobile e difficile. Occorre la padronanza d’ambedue le lingue, il rispetto della filologia, mantenere alta l’eleganza stilistica senza creare belle infedeli. Inoltre occorre considerare un altro elemento: il lettore. Consegnargli il significato di un brano poetico significa schiudere alla sua sensibilità in maniera efficace l’anima di un Poeta, e solo quando il lettore avrà conquistato il senso ultimo il compito del traduttore si concluderà nelle sue delicate mansioni: rendere giustizia alla Poesia come veicolo di ricchezza umana da trasmettere in conoscenza e, sperabilmente, in cultura per le generazioni future.
Traducendo questa poesia ho cercato di sdebitarmi in solido con il lettore piuttosto che ripagarlo soldo per soldo, parola dopo parola. Ho tradotto Byron perché questo testo rappresenta un esempio di quella “sottocultura” come la poesia omoerotica tanto discriminata dalle politiche di gender, dalle istanze dei canoni ufficiali, dalle restrizioni d’una società ancora incapace d’accettare l’universalità dell’amore a prescindere dal sesso. 

domenica 18 marzo 2012

Giustizia e diritti umani

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

La giustizia (da intendersi come il tentativo, mai definitivo, di materializzazione della giustezza) è sicuramente la tematica centrale intorno alla quale si impernia l’etica, si potrebbe anzi dire che la giustizia rappresenti il “motore” dell’etica, la questione per rispondere alla quale nascono le etiche, intendibili, quindi, come soluzioni diverse ad una medesima domanda.
Per riuscire a mettere in pratica la giustizia, si è dato luogo ad una sua istituzionalizzazione: il diritto, all’interno del quale si pongono i diritti umani che, pertanto, sebbene si manifestino sotto forme istituzionalizzate, originano anch’essi (come lo stesso diritto e la stessa giustizia) da una interrogazione etica. In questo scenario, la politica si pone come il “filtro” tramite il quale avviene il passaggio dal piano etico-valoriale a quello pratico-istituzionale, ovvero, come un’infrastruttura necessaria per conquistare e mantenere il potere che, a sua volta, rappresenta il primario mezzo per la concretizzazione/istituzionalizzazione dei valori. Pertanto, la definizione dello status concettuale e pratico della giustizia, del diritto e dei diritti umani, si pone come uno dei primi e imprescindibili compiti che ogni associazione umana deve soddisfare, senza però avere mai la pretesa di esaurire poiché, sebbene la chiarificazione di dette questioni sia indispensabile perché si dia una pacifica convivenza umana (dal momento che quei concetti sono depositari di universali e legittime esigenze umane derivanti dalla basilare costituzione antropologica), non va però dimenticato come ogni loro specifica definizione sia costantemente “precaria” (in quanto storicamente determinata).

mercoledì 7 marzo 2012

Antropologia della creatività: tra genericità e modalità

di Giacomo Pezzano (giacomo.pezzano@binario5.com; III di 3)

3. Im-piegare una regola per piegare la realtà ai propri scopi

Per Aristotele, è noto, la phronesis è decisiva nei casi «intorno ai quali è impossibile che una legge [nomos] sia posta, cosicché c’è bisogno di un decreto [psephisma]» (Aristotele, Etica Nicomachea, V, 10, 1137b 27-29), situazioni nelle quali l’ap-plicazione di una regola è un im-piego che piega la norma aprendola a nuovi usi, secondo il modello del regolo di piombo di Lesbo, che «si adatta alla forma della pietra, non sta rigido» (ivi, 1137b 30-32) ma si flette e si piega per meglio corrispondere all’imperfezione della contingenza, e questo perché «di ciò che è indeterminato [aoristou], è indeterminata [aoristos] anche la regola [kanon]» (ivi, 1137b 29) – per corrispondere a essa però sempre e comunque in maniera ortogonale, essendo la phronesis «disposizione pratica accompagnata da discorso corretto [orthos logos]» (ivi, VI, 5, 1140b 20). La regola dell’azione umana è proprio questa piegatura della regola attraverso l’im-piego, perché non c’è regola in grado di fornire allo stesso tempo tutte le condizioni necessarie e sufficienti per la sussunzione del caso particolare al di sotto di sé (cfr. Kant 1997: 3-67), «noi impariamo a conoscere le nostre forze soltanto col saggiarle [versuchen]» (ivi: 25) e la prassi umana avviene nel dominio di «ciò che può essere diverso da come è [to endechomenon allos echein]» (Aristotele, Etica Nicomachea, VI, 5, 1140b 27) – è anzi l’apertura di un tale spazio di potenzialità.

mercoledì 22 febbraio 2012

Antropologia della creatività: tra genericità e modalità

di Giacomo Pezzano (giacomo.pezzano@binario5.com; II di 3)

2. Pesci fuor d’acqua: l’uomo e l’«Als»

L’uomo è così un «environment designer» (Clark 1998: 191), vero e proprio «progettista disegnatore di ambienti» e architetto, è «weltbildend» (cfr. Heidegger 1992) e «world builder» o «world maker» (cfr. Goodman 2008)[1]. Ciò significa almeno che la creatività i) va intesa come capacità di andare al di là del dato, della semplice presenza immediata del dato, capacità di transitare ad altro facendo transitare la realtà presente ad altro; ii) va concepita in termini relazionali, perché per creare occorre com-prendere[2], cogliere connessioni e rapporti tra le cose, vedere nelle connessioni presenti la possibilità di connessioni diverse future – tale capacità è capacità specificamente umana (cfr. anche Chiurazzi 2011(a): 58 s.; 2011(b): 64-66); iii) è modale, perché c’è un mondo per ogni diverso modo di combinare e costruire dei sistemi simbolici, il mondo dipende dal modo, è sempre e comunque mo(n)do[3], tanto che «il fabbricare mondi inizia con una versione e finisce con un’altra» (ivi: 114). Pertanto, l’uomo è animale i) «symbolicum»[4], ii) temporale e dunque storico-ermeneutico, iii) potenziale-modale (tre aspetti – quasi tre ipostasi – di un’unica realtà)[5]. Senza dimenticare: l’uomo non può creare mai dal nulla, il dato superato è comunque esistente, le connessioni colte lo sono tra qualcosa di dato, la configurazione di un mo(n)do parte sempre «da mondi già a disposizione; il fare è un rifare» (Goodman 2008: 7), dunque avviene «non dal nulla, dopo tutto, ma da altri mondi» (ibidem).

venerdì 10 febbraio 2012

Antropologia della creatività: tra genericità e modalità

di Giacomo Pezzano (giacomo.pezzano@binario5.com; I di 3)

Abstract

There is a connection between human nature and creativity: human creativity is paradoxically a biological necessity. i) Human nature is creative because (according to Marx, Scheler, Plessner, Gehlen, Heidegger and Derrida) man is by nature over-natural. Man is not umweltbedungen, he is weltoffen: thus, he has to create his own world and way of life – that is, he is weltbildend. Human nature is neither degender nor genetic, but it is generic: therefore, it is specified in different and creative historical modes. ii) Creation moves from the datum (seen as a dandum) in order to overcome it, first of all catching it as such – its Als (as Heidegger suggests). Consequently, human creativity is not ex nihilo, as shown by the wittgensteinian «paradox of the rule»: creativity is possible only through the ap-plication of a rule, the em-ployment of which is as much a re-plica as a fold, that opens up lots of unexpected ways of using and the institution of a new rule. iii) Creativity itself should be conceived in terms of «genericity»: there is no reason to privilege only one of the dimensions in which it takes shape. Finally, the ancient symbolic dimension of logos can offer a renewed definition of human nature in its «natural unnaturalness» and in its constitutive openness to possibility.

1. Natura umana e(s)t creatività

Muovo da alcune affermazioni di Ficino e Campanella. Per il primo, fedele alla concezione tradizionale dell’ars come «naturae imitatio» (Teologia platonica, IV, 1), l’attività delle varie arti è completamente improntata alla libertà, rendendo non schiavi della natura ma anzi emulando il suo operato («humanae artis fabricant per seipsas quaecumque fabricat ipsa natura, quasi non servisimus naturae, sed emuli»: ivi: XIII, 3): l’uomo che domina la terra grazie alle sue mirabili doti poietiche è comparabile a Dio («denique qualiscumque terra sit, huius homo est Dominus. Est utique Deus in terris»: ivi: XVI, 6). Il secondo scrive:

venerdì 3 febbraio 2012

Call for Video-Workshop

"CriticaMente" vi invita a partecipare all'iniziativa Video-Workshop

inviando interventi video, di durata compresa fra i 5 e i 10 minuti, sui temi di seguito proposti; i migliori interventi, a discrezione del curatore dell'iniziativa Federico Sollazzo, saranno pubblicati su "CriticaMente" 


Temi

sabato 28 gennaio 2012

Attualità del pensiero pirandelliano tra alienazione, umorismo e psicodramma

di Francesco Barresi (ruutura@hotmail.it)

Interrogarsi oggi sull’attualità del pensiero pirandelliano tra alienazione e umorismo ci permette di considerare e interpretare la condizione contemporanea dell’uomo e in particolare di mettere a fuoco la sua precarietà in un mondo privo di valori universali, in una società contemporanea entrata in profonda crisi di legittimazione.
Ancora oggi il pensiero di Pirandello ci parla con un’efficace aderenza e mai come ora l’attualità del suo pensiero si pone come un valido strumento per capire i mali del nostro secolo.
Scrive G. Sanguinetti Katz:

Il vedersi vivere, il ritrovarsi improvvisamente di fronte ai lati imprevisti della propria personalità […], la divisione tra ragione e sentimento, logica e cuore, con la ragione che critica e inaridisce ogni moto dell’animo, il vedere noi stessi e la vita «in una nudità arida, inquietante», in una realtà diversa «da quella che normalmente percepiamo», […] tutte queste definizioni che Pirandello dà dell’umorismo […] anticipano la crisi dell’uomo moderno con le sue nevrosi e le sue psicosi, e il baratro che gli si apre davanti quando si rende conto del suo vuoto interiore[1]

domenica 22 gennaio 2012

Un mondo innocente

di Patrizio Paolinelli (patrizio.paolinelli@gmail.com)

Riproposta da Avagliano Peccatrice moderna, di Carolina Invernizio.

Trame esili. Personaggi tagliati con l’accetta. Passioni travolgenti. Il bene da una parte e il male dall’altra. Di cosa stiamo parlando? Del romanzo d’appendice. Per la precisione del ritorno sulla scena di Carolina Invernizio (1851–1916) di cui l’editore Avagliano ha appena pubblicato Peccatrice moderna (tascabile di 343 pagg., 14,50 euro).
Forse il nome della Invernizio dice poco al pubblico odierno. Ma tra fine ‘800 e primi del ‘900 questa donna è stata un’incredibile macchina da best-seller: 123 libri in quarant’anni di carriera e milioni di copie vendute in Italia e all’estero. Certo, si tratta di romanzi rosa, scrittura “di servizio”, letteratura minore. Anzi, per i critici del suo tempo non si poteva neppure parlare di letteratura. Mentre negli anni ’70 del secolo scorso avevamo assistito a una prima rivalutazione della scrittrice sull’onda dell’interesse della critica per la cultura di massa. La sua narrativa si ispira infatti alle storie d’amore, al gotico, al giallo, tanto che cinema e televisione adattano diversi suoi lavori. Poi di nuovo l’oblio. Ma agli inizi di questo nostro XXI secolo ecco Invernizio riemergere. Probabilmente non avrà l’immenso successo popolare di cui ha goduto quando era in vita. Ma è significativo che venga oggi riproposta una scrittrice che appartiene a un altro mondo. Il mondo dell’Italia umbertina che la espelle dal collegio per aver pubblicato sul giornale scolastico un racconto di “perdizione”. Bramosia, pene d’amore e strazianti drammi interiori sono tra gli ingredienti essenziali dei suoi lavori. Ingredienti che troviamo enfatizzati nella trama di Peccatrice moderna.

lunedì 16 gennaio 2012

La fortuna critica di Pirandello in Italia: dalla stroncatura crociana alla critica neoermeneutica

di Francesco Barresi (ruutura@hotmail.it)

Sulla critica pirandelliana pesò a lungo il giudizio negativo di Benedetto Croce che della produzione dello scrittore siciliano salvava solo Liolà e La mosca. L’attenzione del critico si rivolse soprattutto alla «seconda maniera» dello scrittore, quella inaugurata da Il fu Mattia Pascal e consistente «in taluni spunti artistici, soffocati o sfigurati da un convulso, inconcludente filosofare. Né arte schietta, dunque, né filosofia: impedita da un vizio d’origine a svolgere secondo l’una o l’altra delle due»[1]. Prima della guerra solo Giacomo Debenedetti sembra accorgersi della grandezza di Luigi Pirandello, mentre all’estero riceveva il plauso del filosofo tedesco Walter Benjamin[2].
La vera fortuna di Pirandello, in Italia, comincia tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta. Si tratta di un evento non casuale perché l’Italia in quel periodo diventa una nazione moderna, industrialmente avanzata, dotata di una cultura non più provinciale ma aperta all’influenza delle avanguardie internazionali e nazionali. L’interesse verso Pirandello riguarda sia il campo della produzione narrativa e teatrale sia quello concettuale.

sabato 7 gennaio 2012

Sul soma

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

In riferimento all’intervista alla prof.ssa Kajon apparsa sul n. 16 de «L’accento di Socrate» (L'antropologia filosofica: intervista a Irene Kajon), vorrei proporre le seguenti osservazioni. 
Dal mondo antico sino ad oggi (più di 2300 anni) il pensiero occidentale è attraversato dal tema del dualismo, tematizzato di volta in volta con diverse sfumature: soma-psyché, corpo-anima (o spirito), res extensa-res cogitans, biologia-Io (o coscienza, o intelletto), ecc… Dal Novecento poi (forse anche da prima) si è inziata a tentare una riconciliazione di tale dualismo in un’immagine unitaria dell’uomo, sostanzialmente approdata a quello che Michel Foucault ha chiamato “allotropo empirico-trascendentale”. In questi termini però il problema del dualismo appare tutt’altro che superato: si è semplicemente passati da quello che potremmo chiamare “dualismo forte”, che identifica due sfere dell’umano nettamente distinte e gerarchizzate fra di loro, ad una sorta di “dualismo debole”, che ipotizza possibili (ri)conciliazioni fra dimensioni dell’umano che, per quanto interagenti e fuse tra di loro, restano pur sempre di natura diversa; il dualismo appare così completamente superato solamente nella prospettiva del moderno riduzionismo scientifico, per il quale l’uomo è del tutto spiegabile e da spiegarsi unicamente in termini materialistico-meccanicistici. Ora, a mio modesto parere, per superare la problematica del dualismo, senza per questo cadere nel campo del riduzionismo scientifico, sarebbe opportuno tornare a riflettere sulla concezione antica, pre-platonica, per capirci, omerica, di uomo come “soma con soffio vitale” (bios che partecipa della zoé, corpo che partecipa della vita), laddove per soffio vitale non sia affatto da intendersi il contenuto di un soma ridotto a mero contenitore, ma un attributo del soma (come, ad esempio, i capelli) che proprio attributi unici ed irripetibili rendono riconoscibile conferendogli un’identità unica ed irripetibile, e tra gli attributi del soma, uno fra i più importanti è l’emozionalità, ovvero il patire con- (gli altri e il mondo). Viene così ad essere superata qualsiasi forma di dualismo (sia forte che debole), poiché il soma non è contenitore di qualcosa di altro, espressione di qualcosa di meta-somatico, ma manifestazione diretta e immediata di vita, senza per questo cadere nel riduzionismo scientifico, poiché al soma appartiene anche l’irriducibile attributo della emozionalità; a mio avviso, una simile “riscoperta” del soma, in direzione del mondo antico, potrebbe essere condotta a partire dall’antropologia empirica, o forse sarebbe meglio dire empirico-fenomenologica, di Arnold Gehlen.