“Si giunge così alla parte conclusiva del lavoro in cui si sviluppa la parte propositiva volta a rintracciare i criteri per una pacifica convivenza umana in quei valori che sono alla base di un’etica minima condivisibile. Infatti ogni uomo è in possesso di necessità e capacità psico-fisiche, emozionali e biologiche dalle quali deriva sia la sua dimensione identitaria, sia la possibilità di condurre un’esistenza autenticamente appagante. L’identità a livello biologico ed emozionale degli individui costituisce, quindi, la dimensione al cui interno è possibile ricercare principi universalizzabili su cui basare le coordinate per un’etica minima condivisibile. Tuttavia, questa base etica comune si realizza in una pluralità di modi storicamente diversi, in uno scenario multiculturale e multietnico. La possibilità di confronto tra diverse società e culture è ricercata da Sollazzo in una sorta di “sintesi disgiuntiva”, attraverso cui contemperare da un lato l’interazione tra identità diverse e dall’altro il mantenimento per ciascuna della propria riconoscibilità e non assimilabilità.”
(dall’introduzione di M. T. Pansera)
Nel suo Totalitarismo, democrazia, etica pubblica (Aracne, 2011), Federico Sollazzo tematizza alcuni argomenti di importanza capitale per comprendere strutturalmente e storicamente il mondo in cui viviamo. Non è questa la sede per esporre una recensione puramente descrittiva del suo libro, né per esaminare a fondo ogni sua singola sezione, come invece hanno fatto alla perfezione gli amici Filosofi Precari nella veste riassuntiva di Giacomo Pezzano. Il mio intento, piuttosto, è discutere e fare critica (impuramente, com’è mio solito) di alcuni passaggi importanti della parte non espositiva, bensì costruttiva del libro, ovvero le argomentazioni riguardanti la possibile individuazione di un’etica minima universale che stia alla base della comunità umana in senso antropologico, sociologico, politico, financo biologico, come quel quid che ci identifica e ci imparenta in quanto umani; che poi risulta essere l’argomento portante dell’intero lavoro dell’autore, il collante fra le tre parti in cui è opportunamente suddiviso il testo: filosofia morale, filosofia politica, etica.
In breve, la domanda che l’autore del libro si pone è la seguente: esiste ancora dopo più di duemila anni un quid che permetta l’universalizzazione dei principi propri di un’etica minima condivisibile? Sollazzo risponde, preliminarmente, di sì, partendo da una prospettiva prettamente antropologica (Scheler, Plessner e Gehlen in primis) e francofortiana, per il momento aggirando consapevolmente la discorsivizzazione della presunta morte dell’uomo conseguente alla nicciana morte di Dio, che tanto ha permeato la cultura filosofica francese della seconda metà del secolo scorso e, pur citando Foucault, non accogliendone il costruttivista assunto in base al quale “l’uomo è un’invenzione recente”, come è scritto nero su bianco in Le parole e le cose.