sabato 12 agosto 2017

L'uomo di oggi: self-made e filisteo

di Patrizio Paolinelli (patrizio.paolinelli@gmail.com)

I nuovi filistei. Conformismi dei nostri tempi

In un mondo in cui tutti cercano di distinguersi, di apparire diversi, unici e originali esistono ancora i conformisti? Sì, e in gran quantità dato che costituiscono la maggioranza degli appartenenti a ogni società, compresa la nostra. A partire da questa premessa Simonetta Bisi, docente di sociologia alla Sapienza di Roma, ha tracciato un quadro sulla formazione dell’identità collettiva contemporanea in un piccolo e denso tascabile intitolato La maggioranza sta. I conformisti del XXI secolo, (Bordeaux, Roma, 2017, 138 pagg., 16,00 euro). Il tema affrontato dalla Bisi è per certi versi spinoso perché nelle scienze sociali lo si dà per acquisito così come capita per la legge di gravità e spesso e volentieri gli studiosi si accontentano della sua funzione più immediata: il conformismo integra gli individui abbassando così il livello di conflittualità. E tuttavia c’è conformismo e conformismo. Di che tipo è il conformismo del XXI secolo?


La risposta della Bisi non può che essere riflessiva. D’altra parte le società cosiddette avanzate sono estremamente complesse, pertanto su un tema come il conformismo le risposte non possono limitarsi a secche alternative. Occorre ragionare, argomentare, anche se poi una conclusione va raggiunta. E il testo della Bisi presenta un vantaggio non da poco. È composto da ventidue brevissimi capitoli scritti con un linguaggio accessibile anche per i non addetti ai lavori e fondato essenzialmente sull’osservazione diretta della vita quotidiana. Scrive l’autrice: «Io penso a quei luoghi che più di recente sono diventati parte rilevante del sociale, fino ad assumere loro stessi un significato simbolico, non tanto utilitaristico quanto identitario: dal mercato rionale all’aeroporto, dalle boutique ai centri commerciali, dagli studenti dell’università ai circoli del tennis, dalle palestre ai centri estetici, dai luoghi della movida alle spiagge. Insomma, ho camminato, normale tra i normali, ho ascoltato, ho letto, ho registrato segni ed espressioni: sguardi, voci, abbigliamenti, linguaggi. E a questo ho aggiunto Internet, i giornali, le riviste di vario genere». Il lettore è così invitato a esplorare la realtà che lo circonda con altri occhi rispetto a quelli del senso comune rispettando quello che Peter Berger considera il primo insegnamento della sociologia: le cose non sono quelle che appaiono. E per vedere ciò che sta dietro le apparenze occorre quello che la stessa Bisi chiama «uno sguardo indisciplinato». Indisciplinato in un doppio senso: rispetto alle pretese dello scientismo che fa della sociologia una disciplina talmente specialistica da risultare comprensibile solo a pochi eletti; e rispetto alle pretese dell’agire conforme che fa del modello sociale dominante il metro di misura del modo d’essere, di sentire, di percepire, di pensare e di giudicare.

giovedì 10 agosto 2017

Intellettuali antisistema, amministratori culturali e cattivo gusto

di Patrizio Paolinelli (patrizio.paolinelli@gmail.com)

Passaggi d'epoca. Dall'intellettuale antisistema all'amministratore culturale

Gli intellettuali non sono una specie in via di estinzione. Scrittori e docenti universitari pubblicano regolarmente sulle pagine e gli inserti culturali dei quotidiani. Economisti, filosofi, sociologi sono spesso interpellati dai media e gli atenei non stanno affatto chiudendo i battenti. Il libro è senz’altro in crisi, ma sono arrivati gli e-book, si continuano a sfornare best-seller e i dibattiti alle fiere del libro sono seguiti con interesse. Su Internet è tutto un fiorire di blog e riviste telematiche. I premi letterari stabiliscono ancora le loro classifiche, mentre mietono successi di pubblico i festival culturali: della filosofia, della complessità, della letteratura e così via. Certo, se per intellettuale intendiamo il portatore di un dissenso politico antisistema, allora sì, quella categoria è oggi poco visibile. E il motivo è semplice: è finita l’epoca delle rivoluzioni antiborghesi. Con molti chiaroscuri le ultime propaggini di quell’epoca furono il ’68 in Francia e il ’77 in Italia. Dopodiché è partita la rivoluzione conservatrice capitanata da Ronald Reagan, Margaret Thatcher, Bush (padre e figlio). Rivoluzione che ha contaminato la sinistra moderata – basti ricordare Tony Blair – e che continua ancora oggi.

Nonostante il trionfo del neoliberismo gli intellettuali che si fanno carico dei problemi del mondo non mancano. Non sono corteggiati dai media ma risultano vivi e vegeti. Si pensi a Samir Amin e a Noam Chomsky, giusto per citare un marxista e un anarchico noti a livello internazionale. Si pensi a quel laboratorio di idee che è il Forum Sociale Mondiale, nato nel 2001 a Porto Alegre in risposta al Forum Economico Mondiale di Davos. Si pensi alla galassia di autori che pubblicano per case editrici militanti e che fanno sentire la loro voce nei circuiti legati ai movimenti per la globalizzazione alternativa. Rispetto al passato la critica degli intellettuali impegnati soffre di due criticità: si rivolge più all’opinione pubblica che a specifiche classi sociali (trovandosi così in una posizione di debolezza dinanzi alla potenza di fuoco dei media mainstream); agisce in un contesto storico in cui la politica non gode più del primato sociale che le era proprio nel ‘900. Risultato: le idee dei movimenti faticano a intaccare i valori dominanti centrati sull’individualismo e il consumismo. Basti citare per tutte la “decrescita felice” di Serge Latouche.