domenica 21 novembre 2010

Imbarbarimenti

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

In una recente puntata di un noto programma televisivo ("Annozero"), si è parlato del crollo, da poco avvenuto, di alcune mura, della cosiddetta casa dei gladiatori, presso gli scavi di Pompei.
Come abitualmente avviene quando si tratta di tematiche culturali, si è teso a dividere tra "cattivi" e "buoni", tra coloro che non si curano di ciò che è culturale, emblematicamente rappresentati da un allevatore del nord che auspicava che le mura di Pompei venissero usate per costruire dighe ed argini nel nord Italia, che ha recentemente subito un allagamento, e coloro che si curano di ciò che è culturale, emblematicamente rappresentati dai turisti degli scavi pompeiani, costretti ad aggirarsi in un sito che si trova in condizioni penose.
Ora, tale prospettiva nell'affrontare simili questioni è, a mio parere, del tutto distorta. Quei turisti sono infatti colpevoli tanto quanto quell'allevatore, dell'annichilimento di ciò che ha un valore culturale. Entrambi infatti si pongono di fronte a ciò che ha un valore culturale, in un'ottica utilitarista, consumista, e non fa alcuna differenza se si voglia materialmente distruggere ciò che è culturalmente prezioso, al fine di costruire qualcosa di utile, o se si voglia materialmente mantenere ciò che è culturalmente prezioso, al fine di potersene impossessare consumisticamente; in entrambi i casi viene disconosciuto il senso di ciò che è culturale.
La questione essenziale non risiede allora nella distruzione o nella conservazione di un bene culturale: nel vigente orizzonte "(dis)valoriale", anche quando la cultura viene conservata in perfette condizioni, tale perfezione è posta al servizio di logiche utilitariste, commerciali, efficientiste, produttive, consumiste; questo, l'assoggettamento della Cultura a criteri strumentali che le sono estranei, ne determina l'autentico annichilimento.
La via da intraprendere dunque, non è affatto, come abitualmente si dice, quella della scelta di amministratori politici virtuosi, bensì, come abitualmente si tace, quella di un ri-orientamento del nostro paradigma valoriale: la liberazione dall'ideologia occidentale di dominio.

Di tutto conosciamo il prezzo, di niente il valore
F. Nietzsche

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sabato 20 novembre 2010

"Contro l'assoluto"

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Armando Zopolo, Contro l'assoluto, Progetto Cultura, Roma 2010 (pp. 234, € 15)

(Dalla prima di copertina)

Ammettere l'assoluto significa negare il tempo e, dunque, il divenire, insieme al valore dell'operare umano

Capitoli: 1) Le stagioni della filosofia; 2) Luoghi comuni; 3) L'aspettativa della felicità; 4) Lettura ideologica della felicità; 5) Religione e ateismo; 6) Laico, laicismo, laicità, clericalismo ed anticlericalismo; 7) Verità del relativo, del condizionato, dell'imperfetto, dell'incompiuto, del contingente

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giovedì 11 novembre 2010

La contraddizione assoluta del capitale

di Stefano Ulliana (ulliana1@tin.it)

E poiché uguali parti sono del grande e del piccolo, anche così in ogni cosa ci potranno essere tutte: non è possibile che esista separatamente, ma tutte partecipano a tutto
Anassagora (DK 59 B 6)

Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale
G.W.F. Hegel (Lineamenti di filosofia del diritto, Prefazione)


La forma e la sostanza dell'egemonia (ideologica e pratica) sostenuta dal Capitale (finanziario, speculativo e produttivo) attuale sono date, offerte e rese stabili dal modo e dalla struttura della contraddizione assoluta. La contraddizione assoluta è infatti la determinazione e la definizione della struttura e del modo propri del dominio e del potere esercitati dall'ideologia capitalistica presente.
La ricerca e le volontà comuni all'ideologia capitalistica, tese alla massimizzazione del profitto – nelle opere d'ingegno, nelle produzioni artistiche in senso lato, nelle produzioni tecnico-pratiche – hanno infatti stabilito la necessità irremovibile ed ineliminabile di un forma sintetica a priori, che raccolga interamente, completamente e totalmente il pensiero, l'arte e la prassi dell'infinito (umanamente inteso e rappresentato). Come nel caso della prima filosofia idealistica tedesca – J.G. Fichte – il pensiero, l'arte e la prassi della reazione – il Congresso di Vienna è del 1815 – pretende di bloccare, di negare ed annientare in anticipo qualsiasi apertura di relazione che ricordi l'abissale profondità dell'infinito liberamente creativo, viva ed espressa attraverso la relazione doppiamente dialettica sussistente fra libertà ed eguaglianza.
Nello sviluppo successivo del pensiero idealistico tedesco la posizione fichtiana venne in tal modo superata dalla ripresa schellinghiana dell'infinito creativo e doppiamente dialettico di origine bruniana – Giordano Bruno da Nola – prima di venire di nuovo piegata e trasferita su un piano esistenziale di tipo tradizionalmente neo-assolutistico. Il riorientamento poi operato dalla filosofia hegeliana doveva conservare l'astrazione e la separazione operata dai due precedessori, rafforzandone la carica e la volontà di alienazione. Solamente la speculazione critica di L. Feuerbach e quella dialettica di K. Marx sarebbero poi riuscite a rovesciare il rovesciamento inizialmente attuato da quella astrazione, separazione ed alienazione, ripristinando il concetto, l'arte e la prassi dell'infinito creativo e doppiamente dialettico.
Come allora, oggi la reazione attuata dal Capitale – nella sua forma e sostanza dittatoriale – pretende di bloccare, negare ed annientare in anticipo qualsiasi apertura di relazione che ripristini questo concetto, quest'arte e questa prassi. Per farlo blocca, nega ed annienta – in anticipo nell'immaginario collettivo o a posteriori con la propria attività repressiva – qualsiasi riferimento all'idea e all'ideale d'eguaglianza. In ciò pretende infatti di arrestare insieme alla relazione dialettica fondamentale – quella tra libertà ed eguaglianza – quella relazione verticale, che si riferisce così all'abisso creativo come all'orizzonte aperto d'infinito. L'inscindibilità di libertà ed eguaglianza apportata da questo orizzonte viene infatti ora capovolta e rovesciata nella loro divisione, separazione e subordinazione. Il concetto e la prassi di una libertà identica ed individuale conquista per sé la categoria superiore della qualità, lasciando in posizione subordinata ed inferiore il concetto e la prassi di un'eguaglianza quantitativa e di massa. In questo contesto – il contesto del cosiddetto glocale – la libertà di poter diversificare – attività, finalità, produzioni, investimenti materiali o speculativi, lavori specialistici – ordina quella di dover al contrario uniformare determinazioni e definizioni di soggezione, legate al territorio. Nelle situazioni che in tal modo vengono a costituirsi – dove l'operaio ed il tecnico mediamente od altamente specializzato sono liberi di essere assunti (e vengono ricercati) unicamente in relazione alle proprie capacità e competenze, mentre il precario-massa (dequalificato dalle proprie mansioni segmentate) viene costretto alla pura e semplice schiavitù strumentale – l'orizzonte puramente formale della libertà – di movimento dei capitali e delle merci e di qualificazione degli ideali e dei soggetti operanti – stabilisce una nuova servitù del e nel territorio – una rivisitazione della feudale servitù della gleba – come espressione negativa della libertà ed eguaglianza originarie.
Con questa divisione, separazione e subordinazione della libertà e dell'eguaglianza tramite le due categorie della qualità e della quantità il Capitale instaura la propria dittatura a metà. Attraverso quella negazione – la negazione del creativo e doppiamente dialettico dell'infinito (naturale e razionale) – il Capitale afferma se stesso come infinito immediatamente, completamente e totalmente positivo. Il Capitale fa dunque di se stesso un assoluto. L'Assoluto o l'Essere rispetto al quale il divenire temporale deve essere considerato come una forma già precompresa ed organizzata.
Separando ed astraendo il tempo reale e concreto il Capitale fonda ed erige la radice, la causa ed il principio della violenza.
L'annichilimento – preteso e voluto – della radice creativa e libera della natura razionale, infinita ed universale, si trasferisce e converte (capovolge) allora nella legittimazione per diritto separato della violenza (il potere dello Stato), come difesa dall'offesa naturale e razionale. In questo modo il Capitale – portando a termine il processo iniziato dalle prime forme di civilizzazione occidentale e poi proseguito con l'affermarsi dell'ideologia classica (orfico-pitagorica, platonica od aristotelica) – attua il distacco definitivo dall'originario.
In questo modo la pace e la giustizia naturale e razionale si tramutano e capovolgono nella guerra e nella sopraffazione umana, nella preistoria della lotta fra le classi. Separare il diritto all'uso della forza e renderlo monopolio del potere statuale ha quindi significato nella storia dell'uomo isolare l'esistenza secondo l'ordine e la gerarchia delle classi sociali, stratificate e coordinate secondo la convergenza delle funzioni sacrali e politiche e la subordinazione di quelle produttive e conservative.
Il Capitale porta ora finalmente a termine e a compimento lo sviluppo e l'evoluzione della storia umana, nell'illusione fantastica e fantasmatica della medesima, creata e sostenuta dalla missione civilizzatrice iniziata con la classicità greca (la sostituzione dell'immagine ordinata alla realtà caotica). Mentre dunque vita, esistenza e libertà entravano ad abitare lo spazio ed il tempo ordinato della polis, a prezzo di separazioni e discriminazioni, vita, esistenza e libertà attuali paiono ingigantire e globalizzare quelle separazioni e discriminazioni, costituendo il termine finale della volontà di potenza dell'intera civiltà occidentale.

Con la separazione e l'astrazione del tempo reale e concreto il Capitale fonda dunque ed erige la radice, la causa ed il principio della violenza legalizzata ed istituzionalizzata. È questa l'origine della volontà di potenza che ha animato l'evoluzione della civiltà ideologica occidentale. Nello stesso tempo con questa medesima separazione ed astrazione il Capitale instaura il modo e la struttura della contraddizione assoluta.
Negando la radice creativa e doppiamente dialettica dell'infinito, la forma reazionaria e dittatoriale del Capitale annulla l'idea e l'ideale d'eguaglianza, abbattendo nel contempo l'orizzonte comune e collettivo della libertà. In questo modo l'ideologia capitalistica odierna nega non solo tutte le forme di democrazia radicale e totale (la democrazia sic et simpliciter), ma anche la stessa idealità teorica presente nel principio liberale proposto da A. Smith (l'equilibrio del e nel commercio planetario), recuperando tutta la propria dimensione categoriale storicamente realizzatasi nei secoli XIX e XX. Economia che si fa progressivamente e sempre più Stato, ne assume via via i poteri e la potenza generale, espropriandone il fondamento di diritto, di legittimazione, di orientamento ed ordinamento. Si assiste così alla scomparsa dello Stato, non per mano della vittoria delle rivoluzioni socialiste od anarchiche, ma in virtù della reazione indotta dai procedimenti di crisi causati dalla stessa modalità produttiva capitalistica (svalorizzazione dei beni, dei diritti e dei salari dei lavoratori; iper-valorizzazione delle merci, soprattutto finanziarie; potenziamento assoluto del comando d'impresa). In tal modo il comitato d'affari della borghesia ha consentito in ogni Stato ed internazionalmente la propria sostituzione con il comando diretto ed imperiale del Capitale (WTO, FMI, BM), piegando e coartando vieppiù le stesse istituzioni del diritto internazionale (ONU) alla difesa dei suoi particolari interessi (guerre imperialistiche come operazioni di pacificazione).
Per tale ragione al modo ed alla struttura della contraddizione assoluta si congiunge e si fonde la relazione stabilita dalla strumentalizzazione assoluta.

Si è dunque già compresa la completa coincidenza fra volontà di potenza e contraddizione assoluta. L'immagine dell'una rende la realtà e la struttura dell'altra: nata dall'opposizione all'azione naturale e razionale della realtà (potenza autentica e spontanea), essa si tende e si concentra attorno alla costruzione di una polarità assoluta, posta a difesa del proprio diritto separato all'esistenza, alla vita ed alla libertà. Soggetto infinito che si pone, si apre nella relazione ed agisce, esso vale per la libertà che è capace di conservare, ampliare e moltiplicare (in modo ordinato e per se stesso) nel proprio mondo. Ogni finalità e scopo dell'azione umana viene così distolto dalla radice, dall'orizzonte e dall'ideale che danno espressione, ordine e composizione alla natura ed alla razionalità, per essere coinvolto in una sorta di rovesciamento e di contrapposizione dialettica, dove la causalità naturale si rende artificiale, per sottomettersi ai principi stabiliti da un'istituzione oggettiva, un potere umano che chiede per se stesso un riconoscimento ed un'obbedienza assoluti. In questo luogo metafisico la signoria del pensiero astratto occidentale costituisce la realtà della propria alienazione, sottoponendo prima ciò che è libero, spontaneo e creativo a strumento per l'acquisizione di scopi eterodeterminati, eterodefiniti ed eterodiretti; poi assogettandolo a tutte quelle nature in seconda (nature seconde) che l'orizzonte e l'ordine di composizione ideologico capitalista crea come strumenti privilegiati e primi dell'organizzazione di valorizzazione del Capitale stesso.
In questo modo il lavoratore-precario-massa si vede prima rovesciato nel suo contrario ed opposto – libero, creativo e spontaneo, diviene coartato e costretto secondo mansioni e segmenti d'azione predeterminati dall'economia degli sforzi e dei costi – poi ulteriormente schiavizzato a tutto ciò che per definizione si costituisce come strumento eterodeterminato, eterodefinito ed eterodiretto (prima l'organizzazione di fabbrica, poi la dislocazione delle medesime, infine la valorizzazione data alle merci ed alla speculazione finanziaria).
È in questo modo dunque che il lavoratore-precario-massa subisce una duplice violenza, una violenza che pare sdoppiarsi. E che attualmente pare accentuarsi sino all'estremo della negazione della stessa libertà vitale (per se stesso e per l'ambiente nel quale è chiamato a vivere).
Al capo opposto del lavoratore-precario-massa stanno i prestatori d'opera specializzati, organizzati ed ordinati secondo le loro specifiche mansioni e finalità, integrati nel sistema, e gli elementi direttivi ed amministrativi. Con la finanziarizzazione estrema dell'economia la catena di comando del Capitale si è però allungata ed è entrata in crisi: alla difesa ed alla reazione – soprattutto preventiva (si noti l'estrema analogia fra gli anni '20/'30 del secolo XX e quelli '80/'90) – alla reazione duplice del naturale-e-razionale ridotto a schiavo in prima e seconda battuta è dovuta subentrare una difesa ed una reazione allo squilibrio sussistente fra Capitale speculativo e Capitale investito e produttivo. Il recupero di questo squilibrio viene così attualmente pagato da un ulteriore incremento nel livello dell'alienazione imposta e nella grandezza della violenza economica, sociale, politica e giuridica impiegata. L'interconnessione fra gruppi bancarii e aziende multinazionali dimostra l'alto livello di questa necessaria composizione (necessaria per e nel sistema), capace di stabilire infine la stessa definitiva strumentalità al Capitale della medesima organizzazione e potere statuale ed internazionale.

Diventa quindi evidente come vi sia stato un incremento assoluto del potenziale di violenza e come si sia passati dalla consapevolezza della violenza-sfruttamento all'interno del sistema organizzato di fabbrica o di impresa capitalistica, alla presa di coscienza dell'atto di violenza radicale, antropica e naturale (bene compreso e fronteggiato dai movimenti del '77/'78), quando la contrapposizione di classe è diventata contrapposizione di genere e di orientamento ideologico generale. Ora pare di assistere ad un terzo e definitivo livello di violenza: alla contrapposizione dialettica di classe ed alla contrapposizione ideologica generale, capace di recuperare la radice creativa e doppiamente dialettica dell'infinito, si è aggiunta infatti una violenza che pretende di piegare a se stessa la stessa libertà vitale. Prima meccanizzata ed ordinata, ora essa dovrebbe essere totalmente negata e capovolta – una volta e per sempre – nel e dal meccanismo speculativo di unificazione mondiale del Capitale (globalizzazione).
Per questo la serie duplice delle contrapposizioni dialettiche si sta ora ampliando e potenziando in modo assoluto in una sorta di contraddizione assoluta del Capitale, dove l'iper-astratto della speculazione borsistica pompa inesauribilmente ed inesorabilmente la necessità ed il fato della violenza totale, dell'espropriazione naturale ed antropica, ridisegnando territori, riorganizzando inter-comunità umane con lo strumento degli spostamenti di massa ed i genocidi mascherati, pianificando la separazione e la contrapposizione fra un livello superiore di movimento e d'ordine ed uno inferiore e territoriale di immobilità, immodificabilità e feroce subordinazione ai progetti di continua trasformazione che piovono dall'alto, secondo le decisioni interessate e complici degli investitori economici mondiali e dei rappresentanti politici locali (nazionali, regionali, provinciali).

La contraddizione assoluta del Capitale si conserva attraverso una spinta intrinseca, che introflette ogni espressione vitale e libera della natura, così come ogni espressione sensibile ed immaginativa della ragione. Per essa il creativo e dialettico originario – l'unità oppositiva e di movimento, di trasformazione e rivoluzione della natura e della ragione – viene piegato e coartato secondo una logica completamente opposta ed astrattamente metafisicizzante. La divisione, la separazione e la scissione che costituisce la potenza alienata ed astratta del potere umano (religiosa, d'ordine o di classe) cerca il sostegno ed il consenso – la propria alimentazione – in uno spirito reazionario e di massa, sollecitato ed evocato, organizzato, istituito e compartito, comunicato e contagiato socialmente attraverso il possesso, il controllo e l'indirizzo dei mezzi comunicativi e formativi di massa (radio, televisioni, scuole ed università). In questo modo ogni positiva estroflessione viene ripiegata e chiusa in una logica del negativo e della negazione (della distinzione e discriminazione).
L'immediatamente e spontaneamente positivo viene allora incanalato, piegato e capovolto da una logica reale (astratta), nella quale e per la quale il principio della selezione per affinità negatrice – della libertà spontanea e vitale degli impulsi naturali e razionali – diviene criterio operativo della comunità ordinata ed organizzata dei soggetti comunitari. In tal modo l'orizzonte e la realtà apertamente comune e collettiva dei soggetti vitalmente in azione (creativa e reciprocamente dialettica), per la ricerca e l'attuazione di un bene ideale, si rovescia e capovolge nella determinazione identitaria e definitiva di quello stesso bene, assolutamente, interamente, completamente e totalmente deprivato dell'originaria azione creativa e reciprocamente dialettica (territorialismo indotto dalla globalizzazione).
Con questa filosofia sociologica reattiva e reazionaria il Capitale si mette quindi al riparo, in modo tendenzialmente perenne, da ogni possibile impulso rivoluzionario, deviandone la sensibilità, l'immaginazione ed il ragionamento verso forme opposte di determinazione individuale e collettiva. Edificando una nuova natura ed un nuova ragione, che possano insieme confortare e dare rassicurazione, offrendo benessere e soddisfazione, combattendo quelle determinazioni di paura e pericolo, che vengono innestate dal sistema in crisi per cause proprie nei soggetti oggettivamente o soggettivamente indisponibili a questa presa reazionaria. Con questo distacco e separazione di massa il sistema riesce pertanto a rendere la propria comunità di soggetti (effettivamente e disumanamente) inaffettiva ed anaffettiva, così organizzandola e governandola come vera e propria massa preventivamente (inconsapevolmente e/o consapevolmente) contro-rivoluzionaria e reazionaria. I sentimenti umani di reciproco riconoscimento, di mutuo aiuto e di vicendevole costruzione delle proprie esistenze vengono allora autonomamente repressi, perché immediatamente e progressivamente (sino alla loro totalità) sostituiti da un'educazione autoritaria alla distinzione, discriminazione e selezione ordinata (nuovo razzismo istituzionale, rivolto ai comportamenti di etnie, nazioni o parti politiche della società).
Il risultato evidente di questo rovesciamento e capovolgimento è la considerazione e valutazione della violenza come normalità dell'esercizio della forza e dell'autorità civile e della normalità dell'originario creativo e doppiamente dialettico come violenza consapevolmente esercitata contro l'ordine naturale e razionale delle cose. In questa volontà di sradicamento dell'originario – della sua realtà, del suo movimento e della sua idealità – il sistema retorico, pedagogico e culturale (ideologico) del Capitale pretende di colpire ed affossare per prima l'affettività generale e particolare dei soggetti, nella loro umanità, individuale e collettiva. Così – soprattutto per chi lavori con le giovani generazioni, nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado – diventa facile vedere come questa negazione annulli la sensibilità dei e nei rapporti individuali ed il suo senso razionale (la produttività creativa e dialetticamente immaginifica). Di qui il drammatico e generalizzato impoverimento delle abilità e delle capacità operative e conoscitive dei discenti, con l'instaurazione di schemi di comportamento e di apprendimento autoreferenziali e idiomatici.
L'affermazione identitaria sorregge poi l'impossibile annullamento dell'affettività stessa, trasferendone il portato in una sorta di distacco e repulsione anaffettiva, presente ed operante soprattutto nelle generazioni dei giovani e dei giovani adulti. L'inaffettività e l'anaffettività si trasformano poi nel motore principale del progressivo smantellamento (piuttosto inconsapevole) delle sensibilità operative degli adulti, destinato ad incrementare progressivamente tutti gli errori vitali, definiti dal reciproco rispetto delle relazioni esistenziali (in ogni ambito della sicurezza, individuale e collettiva).

Questa sorta di fenomenologia patologica indotta dal Capitale trova la propria spiegazione strutturale in una serie di scelte ideologiche fondamentali, che hanno a che vedere con le dimensioni umane dello spazio e del tempo.
Lo spazio può infatti essere determinato e definito come il sorgere ed emergere della dimensione creativa, specificandosi poi come la sua propria apertura di relazione (in congiunzione con la tensione temporale, da essa stessa evolutivamente predisposta); oppure può essere al contrario considerato come un principio di inertizzazione e di omogeneizzazione, dove la radice creativa viene preventivamente annichilita e l'apertura di relazione negata e capovolta nella prioritaria e gerarchica disposizione d'ordine. È qui che la dimensione umana del tempo viene raccorciata ed infine alienata in una disposizione concentrativa, di concentrazione (tramite un'integrazione continua e successiva, che vale nient'altro che la stessa trasmissione del potere e della potenza alienata nella storia di lunghissima durata della civiltà occidentale). Oppure, al contrario, la dimensione umana del tempo può accompagnare il sorgere, l'emergere e l'aprirsi di quella spaziale, come sua tensione realizzativa ideale. Capace di protendere una molteplicità inesauribile ed infinita di scopi e di finalità, insieme naturali e razionali. Dove il tempo può – al contrario dell'esempio precedente – essere dilatato, per ridivenire il tempo dell'umano reimpossessamento, dell'umana autonomia e libertà (predisposizione d'eternità o conservazione eterna dell'ideale).

Nel contesto stabilito dalla premessa che congiunge, combina ed esprime le due dimensioni umane ed originarie del tempo e dello spazio, addivengono quindi a ricalibrazione anche le differenti ed ordinate categorie teoriche e pratiche della quantità, qualità, relazione e modalità.
Mentre nell'ipotesi voluta fortemente dalla concentrazione polare del Capitale finanziario la quantità è soggetta, come massa informe (corpo sociale) alla realtà negativa e limitante – alla qualità – delle predisposizioni tecniche ed accademiche orientate alla valorizzazione delle merci e del Capitale stesso, nell'ipotesi che tiene insieme in modo radicale ed ideale libertà ed eguaglianza la quantità ridiviene il modo infinitamente aperto della qualità, la continua produzione e trasformazione (rivoluzione) dei modi liberi e democratici di posizione creativa e relazione dialettica.
Allo stesso modo, mentre nell'ipotesi capitalistica questa posizione creativa e relazione dialettica vengono rovesciate e capovolte nella sostanza di una relazione produttiva (causale) che assorbe sul lato del principio dell'accumulazione e della massimizzazione dei profitti la totalità integrale dell'umanità su questo pianeta, garantendo attraverso la predisposizone ideologica lo sfruttamento e l'alienazione della potenza non solo umana, ma bensì universalmente naturale e razionale (crisi ambientale, sociale e politica globale), nell'ipotesi opposta, possibilità reale e necessità ideale si ricompongono e si ordinano di nuovo, per riprodurre ancora quella tensione spazio-temporale, che è la disposizione e l'immagine umana viva dell'unità fra Natura e Ragione. Così l'infinito creativo e doppiamente dialettico riapre finalmente la dimensione della democrazia assoluta (esistenziale, economico-sociale, politico-ambientale) planetaria.
Data questa opposizione irriducibile, che sarà il luogo e il motivo di scontro fra l'ideologico e l'ideale in questo nuovo secolo (il XXI), è conseguentemente facile osservare la contrapposizione insanabile che sussisterà fra le due opposte mentalità (e direi quasi le due opposte nature antropologiche).
La mentalità capitalistica nella sua fase finale infatti accumula su di sé tutto il portato ideologico delle tradizioni egemoni e separate del potere presenti nell'intera storia della civiltà occidentale (secondo il criterio dell'Uno necessario e d'ordine): essa assorbe, affina e seleziona, potenzia e diffonde sensibilità, sentimenti e passioni adatti ai propri scopi di alienazione e negazione (del creativo e dialettico originario). Valorizza gli atteggiamenti aggressivi, distruttivi ed autoritariamente ricompositivi (perché comunque funzionali ad una ricomposizione autoritaria).
Al contrario la mentalità democratica radicale ed ideale riapre il respiro dello spirito dello spazio e del tempo, della posizione creativa e dell'espressione dialettica, del movimento ideale continuo.
Tanto la prima estrinseca, estende e controlla, uno spazio di alienazione dal potere effettivo e dallo stesso, progressivo, godimento dei diritti umani essenziali, quanto all'opposto la seconda include immediatamente e totalmente l'intera umanità e naturalità all'interno del godimento dei propri diritti razionali.
È e sarà dunque questo il vero e proprio scontro di civiltà al quale assisteremo in questo secolo e che ci dirà se questo pianeta si sbarazzerà della specie umana o se, al contrario, umanità, natura e razionalità potranno ritrovarsi ed insieme godere della comune, universale ed infinita, felicità.

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