lunedì 26 luglio 2010

"Il sindacato dei sensibili"

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Annalisa Margarino, Il sindacato dei sensibili, La Riflessione, Cagliari 2010

(Dalla quarta di copertina)

Un garage e una saracinesca colorata con una grande scritta: SINDACATO DEI SENSIBILI. E' questo l'inizio della realizzazione del sogno di Caterina e il primo impatto con il mondo del sentire nella vita di Agnese, il giorno in cui, per puro caso, si trova ad attraversare via Cellini.
Un pianoforte, lenti, apparecchi acustici, esperienze del sentire, come la giornata dedicata all'educazione dei sensi, aprono agli occhi di Agnese un mondo esperienziale del tutto nuovo.
All'interno del SINDACATO DEI SENSIBILI, il sogno di Caterina da quando era bambina, si impara a sentire con li cuore e si comprende che nella vita è prezioso il sentire di ciascuno e che non esistono, in realtà, persone insensibili, ma sensibili in trincea. Catrina accompagna tutti coloro che entrano in questo posto quasi magico e simbolico ad ascoltarsi e ascoltare la vita.
Questo breve racconto vuole introdurre ogni lettore alla propria esperienza del sentire se stesso, l'esistenza e gli altri, punto di partenza per la vita di ciascuno.

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sabato 17 luglio 2010

La parola poetica in "Il vecchio e il mare" di Ernest Hemingway

di Erwin de Greef (erwindegreef@libero.it)

Negli ultimi anni sono state numerose le iniziative che hanno contribuito a nutrire il mito di Ernest Hemingway; dal saggio di Scott Donaldson, con traduzione di Raffaella Belletti, Hemingway contro Fitzgerald(1) (e/o, 2004) al libro fotografico The Beat Goes On(2) (Mondadori, 2004), di Fernanda Pivano, a cura di Guido Harari, alla traduzione di alcuni suoi racconti (ancora inediti in Italia) a cura di Roberta Miraglia(3). Si era parlato anche di tre film sulla sua vita: Papa di Adrian Noble, con Anthony Hopkins; e altri due, meno definiti, uno con la sceneggiatura di Barbara Turner, l’altro con Abel Ferrara alla regia e la consulenza di Fernanda Pivano.

Come ha scritto Mario Baudino: «Sono vivi i personaggi, ed è vivo lo scrittore, come figura mitica che non perde, col passare del tempo, una scheggia della sua energia»(4). Energia dirompente che scaturiva anche dall’uso massiccio di alcolici bevuti sin dalla mattina a colazione sotto forma di «[...] una coppa di champagne frappé»(5). Collassi alcolici, fa notare Juan Bas(6), che sono narrati a regola d’arte in Isole nella corrente (1970). Energia, si diceva, che – afferma Donaldson – faceva dell’uomo e dell’autore: «[…] una delle persone più competitive sulla faccia della terra: in ogni campo, dalle corse in bicicletta alle gare di bevute, Hemingway faceva di tutto per vincere. E dove era in ballo la sua reputazione artistica, se possibile si impegnava ancora di più»(7).

Testo originale

He was an old man who fished alone in a skiff in the Gulf Stream and he had gone eighty-four days now without taking a fish. In the first forty days a boy had been with him. But after forty days without a fish the boy’s parents had told him that the old man was now definitely and finally salao, which is the worst form of unlucky, and the boy had gone at their orders in another boat which caught three good fish in the first week. It made the boy sad to see the old man come in each day with his skiff empty and he always went down to help him carry either the coiled lines or gaff and harpoon and the sail that was furled around the mast. The sail was patched with flour sacks and, furled, it looked like the flag of permanent defeat(8).

Traduzione

Era un vecchio che pescava da solo su una barchetta nella corrente del Golfo e ormai erano ottantaquattro giorni che non prendeva un pesce. Nei primi quaranta un ragazzo era stato con lui. Ma dopo quaranta giorni senza aver pescato un solo pesce i genitori del ragazzo gli dissero che ora il vecchio era chiaramente e definitivamente salao, che è la peggiore forma di sfortuna, e il ragazzo era andato per loro ordine su un’altra barca che aveva catturato tre bei pesci nella prima settimana. Per il ragazzo era triste vedere il vecchio rientrare ogni giorno con la barca vuota e sempre scendeva ad aiutarlo a portare le lenze addugliate o il rampone e l’arpione e la vela che era serrata intorno all’albero. La vela era rattoppata con sacchi di farina e, serrata, sembrava la bandiera della perenne sconfitta(9).

Nota alla traduzione

Nella tarda estate del 1952 la rivista "Life" pubblicò in un numero unico Il vecchio e il mare. Fu un successo da 5.318.650 copie. Pubblicare Hemingway, ad ogni modo, non fu una scelta editoriale facile perché il precedente Di là dal fiume e tra gli alberi (1950) si era rivelato un libro banale e di poche vendite.
Per pubblicizzare l’evento, i responsabili della rivista scelsero quale opinion maker James A. Michener – nel 1953, sempre per "Life", pubblicherà I ponti di Toko-ri – che ricorda così la prima lettura del manoscritto: «[...] aprii il pacchetto e mi misi a leggere la storia di un vecchio pescatore che cercava di catturare un grosso pesce e lottava per tenere a bada gli squali che volevano rubargli la sua preda»(10).
Il vecchio e il mare – ultimo romanzo pubblicato da Hemingway in vita, scritto in otto settimane e ispirato a Gregorio Fuentes(11) – si apre con una protasi nella quale il narratore onnisciente afferma che il vecchio pescatore è solo e sfortunato. È, infatti, descritto come un uomo dalla corporatura macilenta, pieno di rughe e cicatrici, con la pelle macchiata e bruciata dal sole. È il simbolo della sconfitta e della sfortuna, ma i suoi occhi hanno il colore del mare e sono allegri e indomiti. Solo il giovane Manolin lo ha accompagnato nei primi quaranta giorni delle sfortunate battute di caccia ed è lui che lo aiuta a sbarcare il lunario.
L’avventura comincia, sullo sfondo dell’isola di Cuba, all’alba dell’ottantacinquesimo giorno di non pesca, quando Santiago salpa per la Corrente del Golfo. Da questo momento, attraverso la sua vista malferma, il vecchio marinaio ci fa vivere lo straordinario paesaggio dell’oceano popolato di animali, colori, sogni, miti, speranza ma anche tanta disperazione.
Pescatore esperto, Santiago cattura un gigantesco merlin. La fortuna sembra dalla sua, ma gli squali mangiano la preda. Alla fine dell’avventura, il vecchio ritorna a casa, dove si abbandona a un sonno profondo e innaturale. Gli altri pescatori e qualche turista accorrono al molo per ammirare la carcassa del merlin, mentre Manolin piange la sua sfortuna senza vergogna.
Il vecchio e il mare, come gli altri scritti di Hemingway, è un racconto che s’innesta nella migliore tradizione americana, da Herman Melville a Mark Twain a Sherwood Anderson, e assimila l’esperienza europea di Stendhal, Gustave Flaubert e del simbolismo del primo Novecento. Come ha scritto Agostino Lombardo: «[…] la parola, mentre è protesa a raggiungere quella verità ed essenzialità che tutta la lirica moderna ha, con varia fortuna, ricercato, mira altresì ad innalzare una costruzione che sia tanto più armoniosa ed equilibrata quanto più sconvolto e drammatico è il mondo di cui è espressione»(12).
Come in Flaubert, maestro dichiarato, Hemingway cerca il mot juste per obbedire a un’inclinazione estetizzante e – lontano dal machismo(13) e dal primitivismo(14) – affermare un ideale di verità e necessità. Il vecchio e il mare racconta la sconfitta dell’uomo con una prosa spesso lirica che, come lo stesso autore ha scritto in Verdi colline d’Africa (1933), deve essere: «[…] senza trucchi né inganni»(15).
L’autore descrive l’azione epica di un personaggio sopraffatto da un mondo violento, deprivato di quella fede e amore che cerca di ritrovare nel suo oceano, non diverso dalle colline d’Africa o dai campi di baseball evocati quali santuari del suo personale credo di vita.
Il paesaggio morale, intimo e appena tratteggiato, si colora dell’oceano e del cielo azzurro, ma la narrazione ci spinge, con impalpabile violenza, dentro un percorso che descrive la caduta dell’Uomo attraverso la ri-evocazione e la ri-scrittura della perenne lotta tra Bene e Male. Il pescatore, simbolo cristologico di questa scissione, è un moderno Giobbe nella ciclicità delle notti insonni che si accendono delle luci aurorali dell’ultimo giorno di pesca per ri-precipitare nel sonno della spossatezza fisica e nell’oblio della sconfitta. Santiago lotta contro i pescecani, il buio, il freddo e la sete del deserto oceanico – che ricorda The Waste Land di T. S. Eliot(16) – ma, alla fine, s’arrende al suo destino.

La parola poetica di Hemingway

La parola poetica in Il vecchio e il mare coinvolge il lettore sin dal primo capoverso, là dove si legge: «He was an old man who fished alone in a skiff in the Gulf Stream and he had gone eighty-four days now without taking a fish»(17).
Il pronome soggetto he dischiude al lettore, in questo primo paragrafo della protasi, tre temi propri del racconto (isolamento, povertà e sfortuna) incastonandoli, in una struttura linguistica lirica, entro un tempo e uno spazio determinati: il vecchio è un pescatore, vive da solo ed è sfortunato perché non pesca da ottantaquattro giorni.
Il fatto che Hemingway apra il racconto con il pronome soggetto he – identificato nel quarto paragrafo con il pescatore Santiago – correlato da due articoli indeterminati – an old man e in a skiff – è da inscrivere in una lucida strategia narrativa: catalizza l’attenzione sul protagonista – poi caratterizzato nei primi tre paragrafi – e suggerisce al lettore un soggetto indefinito nel quale identificarsi.
Nel presentare il soggetto, il narratore usa il tempo imperfetto nella modalità de rewas – che afferma una prospettiva continua del protagonista e di questi con il contesto. Di contro, nel raccontarci del suo destino, usa il trapassato – had gone – tempo storico che afferma una prospettiva determinata e definita dell’eroe in relazione al dato certo della sfortuna.
Lo spazio teatrale in cui è circoscritta la sua azione – l’isola di Cuba circondata dalla Corrente del Golfo – è, invece, definito e determinato dall’articolo the. L’oceano – universo totalizzante con la sua profondità, spessore, punti cardinali, colori cangianti e soprattutto flora e fauna – è la mar, una femmina da trattare con favore e che come una donna subisce l’influenza della luna(18).
Fin dal primo capoverso, la natura è presentata, da una parte, come luogo ostico e desertico in cui è difficile procurarsi il cibo. Dall’altra, però, le acque della Corrente sono il luogo in cui il pescatore ritroverà il senso dell’avventura, la memoria della moglie morta, del giovane Manolin, delle verdi colline d’Africa, dei campi di baseball e di Joe Di Maggio.
Alla fine, il pescatore tradirà il suo oceano e, consapevole, confesserà al merlin oramai sbranato: «I am sorry that I went too far out. I ruined us both»(19).
In questa sconfitta, accettata con dignità, è anche la consapevolezza di chi sa di avere perso per sempre il Paradiso – tema centrale nella produzione letteraria di Hemingway e di tutta la generazione perduta. Ritornato a casa, il vecchio confesserà al giovane: «‘They beat me, Manolin’ he said. ‘They truly beat me.’»(20).
Se, dunque, il primo capoverso della protasi ci ha introdotto in maniera corposa dentro l’universo poetico e tematico dell’autore, a una lettura ancora più attenta e profonda della struttura della frase e della liricità della lingua si possono ricavare ulteriori dati.
Il pescatore è caratterizzato come un vecchio, old man, locuzione che nella lingua di partenza ha una proprietà polisemica più ricca della lingua d’arrivo, poiché accomuna, tra gli altri, sia il significato di vecchio sia di padre. Il protagonista, dunque, oltre ad essere anziano è anche un padre, putativo e morale (del giovane Manolin).
Quest’uomo pesca da solo, alone. Rispetto all’ambiguità della lingua d’arrivo, la parola alone indica che il soggetto è in una posizione solitaria – riferimento numerico – ma non è isolato – riferimento psicologico ed emotivo. Se lo fosse stato, nella lingua d’origine si sarebbe usato il termine lonely.
La condizione materiale del protagonista – sappiamo da subito – è quella di un povero perché la sua imbarcazione, lo skiff, è per definizione povera e semplice. Anticipazione sul disastroso ma dignitoso status economico del pescatore che sarà confermata dal narratore quando descriverà l’universo materiale nel quale vive Santiago.
Il pescatore solitario è anche un uomo sfortunato e lo sappiamo sia perché il narratore caratterizza il protagonista in questi termini – non pesca da ottantaquattro giorni – sia perché la prima frase della protasi è costruita secondo uno schema lirico che ne amplifica la descrizione. Questa prima frase è, infatti, caratterizzata da un’assonanza a distanza tra le parole al-one e g-one – che determina anche un climax discendente – e dall’allitterazione della sezione di parola on posta in posizione intermedia rispetto alla sequenza: an (m)an (al)on(e) in (g)on(e) e ancora dall’altra allitterazione della sezione di parola ou nella sequenza: (f)ou(r) (n)ow (with)ou(t). L’assonanza (al-)on(e) (g-)on(e) e la sequenza (f)ou(r) (n)ow (with)ou(t) svelano molte delle verità comunicate al lettore, ossia, la storia di un uomo solitario, finora, andato per mare senza prendere pesci.
Infine, le ulteriori frasi della protasi e i successivi due capoversi spiegano e accrescono il senso di quanto è affermato nel primo capoverso. I genitori di Manolin – la voce dell’autorità – definiscono il vecchio come un uomo sfortunato, salao. La barchetta è rappresentata come il simbolo della miseria e della sfortuna, mentre la sconfitta del marinaio è paragonata alla vela ammainata della barca, in un processo di identificazione introdotto da looked like.
Il vecchio è caratterizzato indirettamente, nel secondo paragrafo, come un uomo distrutto, sezionato in macchie – the blotches – e profonde cicatrici – the deep-creased scars – simboli del diavolo e quindi anticipazione della cacciata dal Paradiso. Solo gli occhi, espressione simbolica dell’anima, sono chiari, vivaci e indomiti.
Dal quarto capoverso in poi comincia il racconto, introdotto da un discorso diretto tra il giovane Manolin e il pescatore, nel quale si evidenziano, attraverso l’uso dell’allitterazione fonetica said/climbed, sia il rapporto filiale sia il processo iniziatico tra i due attanti. A questo punto, al narratore non resta che raccontare le modalità in cui la sconfitta di Santiago si verrà a determinare.

1) S. Donaldson, Hemingway contro Fitzgerald. Il racconto di un’amicizia difficile, e/o, Roma 2004.
2) F. Pivano, The Beat Goes On, G. Harari (a cura di), Mondadori, Milano 2004.
3) Cfr. L. Sampietro Una stoffa da campione, in “Il Sole 24 Ore – Domenica”, 25.04.2010, n. 113, p. 29.
4) M. Baudino, L’importanza di chiamarsi Ernest, in “Specchio”, 27.11.2004, n. 445, p. 97.
5) G. Scaraffia, L’ebbrezza del giorno dopo. I postumi delle sbornie celebri, da Isadora Duncan a Anton Cechov, in “Il Sole 24 Ore – Domenica”, 02.01.2005, n. 1, p.40.
6) Cfr. J. Bas, Trattato sui postumi della sbronza. Le ore dell’ultimo pentimento, Castelvecchi, Roma 2004, p.68.
7) S. Donaldson, Hemingway e Fitzgerald. Addio all’amicizia, in “La Stampa”, 09.10.2004, p. 12.
8) E. Hemingway, The Old Man and the Sea, Arrow, London 1993, p. 5.
9) Traduzione a cura dell’autore.
10) J. A. Mitchner, Introduzione, in Un’estate pericolosa, Mondadori, Milano 1986, p. 12.
11) Morto il 13 gennaio 2002 all’età di 104 anni.
12) A. Lombardo, Introduzione, in Ernest Hemingway. Premi Nobel 1954, UTET, Torino 1966, p. X.
13) Sul tema del machismo in Hemingway si rinvia a Anthony Burgess, L’importanza di chiamarsi Hemingway, Minimum Fax, Roma 2008.
14) Sul “primitivismo” e il “pensiero astratto” in Hemingway si rinvia a J. M. Coetzee, La vita degli animali, Adelphi, Milano 2000, p. 65.
15) E. Hemingway, Verdi colline d’Africa, Mondadori, Milano 1998, p. 86.
16) C. Ossola, «The Waste Land»: un titolo celebre che richiede un’interpretazione non banale. Desolata, ma sempre fertile, in “Il Sole 24 Ore – Domenica”, 18.07.2004, n. 197, p. 31.
17) E. Hemingway, The Old Man and the Sea, cit., p. 5.
18) A questo proposito è da notare la differenza che il narratore pone tra el mar e la mar; cfr. E. Hemingway, The Old Man and the Sea, cit., p. 23.
19) E. Hemingway, The Old Man and the Sea, cit., p. 45.
20) E. Hemingway, The Old Man and the Sea, cit., p. 100.

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venerdì 9 luglio 2010

"Dialogo con Platone"

di Viviana Meschesi (viviana.meschesi@gmail.com)

Stefano Cazzato, Dialogo con Platone. Come analizzare un testo filosofico, Armando, Roma 2010

La filosofia contemporanea ci ha indicato, da diverse vie, la fecondità di ogni archeologia del pensiero e dunque non stupisce che la lettera platonica possa riservarci continuamente nuovi orizzonti e nuove angolature.
Affrontare poi i dialoghi platonici minori per tentare un ripensamento ed un rinnovamento del metodo per lo studio della filosofia, quando la retorica e la dialettica sembrano argomento quanto mai anacronistico nel bagaglio culturale dello studente odierno, ma allo stesso tempo carta da sempre vincente per chi ne fa competente uso, è la sfida di Stefano Cazzato.
Dialogo con Platone è un saggio che, come ci avverte l’autore, non vuole parlare “di” Platone, ma attraverso di lui, al fine di produrre un testo che sia di riflessione e di lavoro al contempo: obiettivo esplicito dell’analisi “non è il sapere ma il saper fare”. Il tentativo di ripensamento dell’insegnamento della filosofia nelle scuole, cercando di proporre una seria e proficua alternativa all’impostazione storicistica che da anni caratterizza lo studio della filosofia, ma allo stesso tempo rispettosa del quadro storico della disciplina, si muove verso un’impostazione pluridirezionale che sviluppi la filosofia per temi, per problemi, per linguaggi.
Tale sfida è proposta da Stefano Cazzato partendo da sei dialoghi platonici (Eutifrone, Crizia, Minosse, Epinomide, Clitofonte, Carmide), nel tentativo di mettere colui che “cerca di sapere” nella condizione di comprendere i delicati passaggi della dialettica e della retorica, distinguendo asserzioni, opinioni, prove e identificando i vari dispositivi logici della macchina dialettica alla base dei dialoghi platonici.
Nella ferma convinzione che giungere al cuore della filosofia e misurarsi con la struttura stessa del ragionamento significhi avere una reale possibilità di non subire acriticamente la positività di un certo modo di pensare, l’autore propone l’obiettivo, produttivo, di insegnare un modello che, a differenza di una nozione, sia funzionale e applicabile a diverse situazioni.
E così ogni dialogo diviene l’occasione di approfondimento delle diverse tecniche dialettiche e retoriche: dalle strategie socratiche (il dubbio, l’ironia, la dissimulazione, il paragone…) analizzate nell’Eutifrone, alle strutture dell’argomentazione (problema, tesi, corpo argomentativo, eccezioni alla regola, conclusione) nel Crizia, al ragionamento per enumerazione nell’Epinomide, alle varie strategie argomentative nel Minosse, sino a giungere al metodo nel Clitofonte e alla descrizione delle astuzie della ragione nel Carmide.
Dice Cazzato: “[…] le strutture sono fondamentali: sono chiavi di lettura del pensiero, non funzionano come contenitori rigidi e irreversibili del sapere, ma hanno un valore strumentale; producono aspettative ma non negano la molteplicità dell’esperienza; semplificano l’approccio al reale ma senza pretese riduzionistiche; si modificano in rapporto alle nuove esigenze della ricerca e del sapere; sono abilità perenni, recuperabili quando servono, a differenza delle singole nozioni, che presentandosi alla mente in modo disarticolato, si perdono e si dimenticano” (p. 58).
Jerome Bruner, insigne pedagogista americano, insiste sull’importanza della struttura della conoscenza, e dunque un lavoro testuale come quello contenuto in questo saggio, che è rivolto in particolare a chi ha fatto della trasmissione della filosofia il proprio orientamento, permette di cogliere “il pensiero nel suo farsi e articolarsi”, nell’individuazione dell’intero processo argomentativo attraverso la coerenza ed esattezza di uno statuto epistemologico che ha caratterizzato profondamente il pensiero greco e che insiste profondamente nel tessuto culturale contemporaneo.

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