domenica 27 gennaio 2013

From “right” to “human”: Human Rights through the Philosophical Anthropology’s gaze

by Giacomo Pezzano (giacomo.pezzano@binario5.com; II of 3)

III. Welcome to HN!

This requires at least two steps: 1) to synthesize skeptically the main criticisms of HR (deconstruction); 2) to test the possibility to describe the foundation of HN through PA (reconstruction).
1. Since their first introduction, HR generated a “reactive” critic, which can be resumed in three main “souls”, which are certainly interconnected but could be analytically separated.
1.1. “Nominalistic” criticism. HR – since De Maistre and Burke – would be a mere coercive abstraction of partial ideological interests or of idealistic conception of Man, and lead to the cancellation of what they are supposed to guarantee: the freedom and the uniqueness of the individuals: HR are WASP’s rights, and there is no Man, rather only men [Deleuze-Guattari 2010; Stirner 1999; Vaj 1985].
Human-Nature Number Thirteen
James W. Johnson
1.2. “Political” criticism. HR are a imperialistic, capitalistic and military instrument of oppression and “exportation” of democracy: HR are the «centre de gravité idéologique» founded on a «dogme», that is, an ideological prothesis to economic and geopolitical interests, the new religion of our present [De Benoist  2004; Zolo 2000; 2009; Preterossi 2011].
1.3. “Theoretical” criticism. HR follow an “exclusive” and “immunitarian” biopolitical dispositive in order to define a threshold which separates “animality” from “humanity” both inside every single human being and across the whole “corpus” of society and mankind: there could be no human rights at all, there is only the right of every living being to exist and express itself and its capacities [Agamben 1995; 2002; 2003; Deleuze 2005; Esposito 2002; 2004; 2007; Esposito-Rodotà 2007].

lunedì 21 gennaio 2013

From “right” to “human”: Human Rights through the Philosophical Anthropology’s gaze

by Giacomo Pezzano (giacomo.pezzano@binario5.com; I of 3)

I. Where are Human Rights?

The problematic of Human Rights (HR) is definitely important politically, ethically and even ideologically: they concern not only a new system of categories used to “classify” the reality and the human actions, but a parameter of intervention and law. HR are a crucial and difficult question owing to the economic, politic and religious tensions, which are probably increasing in the next years: they are an international question, they are the international question, the question of internationality itself. They questions the “sovereignty” of states, the right of a state to non-intervention in its internal affairs, and this produces a paradox: when states violate rights which are defined in a over-national way, it is to them that we must address to make these same rights being respected [Cassese 2009; Habermas-Taylor 1998; Wasak 1982].
The general debate on HR in the contemporary societies empathized most the “rights-side” of the question, the juridical meaning and possibility of such a right, the social and political forms of its promotion and diffusion, the international modalities of its global “penetration” (if not exportation or imposition). Even philosophically, the debate often has as main object the juridical-formal elements, the political theory (“do HR require democracy? do liberty and autonomy take place only inside a democratic space?”) and the investigation of the forms of power and institutions that HR call into question, require and expect to realize [Hayden 2001; Honneth  2011].

mercoledì 9 gennaio 2013

Il lungo viaggio della parola nella cura della follia

di Maria Giovanna Farina (mg.farina2@alice.it)

La parola e la cura iniziarono un comune cammino tanto tempo fa, inconsapevoli del loro imprescindibile, indissolubile e benefico rapporto di cooperazione nella terapia. Quanto è efficace la parola nella cura della malattia mentale? Questo mio breve percorso di indagine desidera focalizzare il suo punto di origine, la sua evoluzione e i suoi sviluppi per cercare una risposta attraverso il pensiero di taluni studiosi di grande importanza teorica e pratica. Prendo le mosse, partendo dalla contemporaneità, ritornando al passato e poi ancora al presente, dalle considerazioni del filosofo Michel Foucault (1926-1984) circa la condizione di esclusione sociale della follia: le sue riflessioni sono a mio avviso imprescindibili. Chi è folle, alienato, altro da sé, o ritenuto tale, non ha alcun diritto, è escluso e tenuto a opportuna distanza. Dopo l'apertura dei cosiddetti manicomi, la follia avrebbe dovuto farsi epifania: mostrarsi senza alcun velo protettivo, ma non è stato così. Ma siamo certi di cosa sia davvero Follia? Non sarà qualcosa che ancora volutamente viene obliato? Una condizione umana da nascondere agli occhi della presunta normalità?
Nel dicembre del '70, il filosofo Michel Foucault durante la lezione inaugurale al Collège de France di Parigi lesse un discorso, divenuto il famoso testo L'ordine del discorso, dove afferma:

[…] suppongo che in ogni società la produzione del discorso è insieme controllata, selezionata, organizzata e distribuita tramite un certo numero di procedure che hanno la funzione di scongiurare i poteri e i pericoli, di padroneggiare l'evento aleatorio, di schivarne la pesante, terribile materialità.(1)

Il filosofo francese considera come la produzione del discorso sia soggetta ad una sorta di censura che si attua attraverso un certo numero di procedure come quella di esclusione, interessante per la nostra riflessione:

Disegno di Daniela Lorusso, basato sulla foto di un senzatetto irlandese di Don McCullin (1969)

Esiste, nella nostra società, un altro principio di esclusione: non più un interdetto ma una partizione (partage) e un rigetto. Penso alla opposizione tra ragione e follia. Dal profondo Medioevo il folle è colui il cui discorso non può circolare come quello degli altri: capita che la sua parola sia considerata come nulla e senza effetto, non avendo né verità né importanza, non potendo far fede in giustizia, non potendo autenticare un atto o un contratto, non potendo nemmeno, nel sacrificio della messa, permettere la transustanziazione e fare del pane un corpo; capita anche, in compenso, che le attribuiscano, all'opposto di ogni altra parola, strani poteri, quello di dire una verità nascosta, quello di annunciare l'avvenire, quello di vedere del tutto ingenuamente quel che la saggezza degli altri non può scorgere.(2)

Nell'antitesi ragione-follia si insinua indisturbato e con un certo grado di prepotenza il potere del divieto. Del divieto ad esprimere il proprio pensiero: sei folle e ciò che dici, in ogni produzione della tua esistenza, rimane inattendibile. Con questo criterio si può far tacere anche una profonda verità. La sua verità, quella visione del mondo reale e concreta che appartiene solo a lui. Se è vero che il folle nella propria alterazione e allucinazione scorge una dimensione altra rispetto a quella condivisa universalmente, è altrettanto plausibile e sacrosanto il suo poter/dover raccontare la propria esperienza di esistenza a qualcuno cui interessi: questa diventa libertà nella e della cura.

[….] per secoli in Europa la parola del folle o non era intesa [….] O cadeva nel nulla – rigettata non appena proferita; oppure vi si decifrava una ragione ingenua o scaltrita, una ragione più ragionevole di quella della gente ragionevole [….] La follia del folle si riconosceva attraverso le sue parole; ma non erano mai accolte né ascoltate.(3)