giovedì 30 maggio 2013

Pasolini e la "mutazione antropologica". Video-lezione di Federico Sollazzo

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)


Se noi vogliamo comprendere un fenomeno, l’unica possibilità che abbiamo di comprenderlo
è penetrare questo fenomeno. Non si può comprendere dall’esterno.
Questo è uno degli errori, o degli orrori, della mentalità scientifica, il fatto che
l’osservatore, lo scienziato, è sempre esterno, è sempre impersonale, è sempre oggettivo.
No!, se si vuole comprendere un fenomeno si deve penetrare quel fenomeno,
ci si deve sporcare le mani con quel fenomeno, si deve rischiare di morire con quel fenomeno…
Federico Sollazzo

mercoledì 22 maggio 2013

Genealogia della violenza e ideocrazia in Walter Benjamin

di Libero Federici (federici.libero@virgilio.it; III di 3)

Ma la violenza affermata che ha fondato il diritto, e che di questo è monopolio nelle vesti di violenza conservativa, deve guardarsi dalle non sopite Gewalten degli altri individui perché in esse pulsano spinte che possono scardinare gli ingranaggi della macchina giuspolitica. Infatti se vi sono fini naturali che singole persone possono perseguire con un grado di violenza più o meno grande, allora è l’intero ordinamento giuridico, e la realtà sociale che esso disegna, ad essere a rischio. Benjamin sostiene l’esigenza di riconoscere che “la violenza, quando non è in possesso del diritto di volta in volta esistente, rappresenti per esso una minaccia, non a causa dei fini che essa persegue, ma della sua semplice esistenza al di fuori del diritto”[1]: è il monopolio che il diritto ha della Gewalt ad essere messo in discussione, non la Gewalt in quanto tale. La violenza sanzionata teme le violenze non sviluppate dei singoli perché, dualisticamente analoghe ad essa, si situano fuori dal perimetro giuridico, potrebbero dispiegare la loro caratteristica di creare diritto proprio a partire dalla loro estraneità al riconoscimento della Gewalt e del Macht affermati: topografia dell’etero-nomia. La Gewalt dominante deve piallare le asperità delle sue gemelle dotate di minore intensità, non devono rimanere spazi che non siano stati levigati. Le alterità vanno depotenziate per garantire la salvaguardia degli istituti posti e dell’Identità da cui essi hanno preso forma “poiché il potere che conserva il diritto è quello che lo minaccia”[2].

martedì 7 maggio 2013

Genealogia della violenza e ideocrazia in Walter Benjamin

di Libero Federici (federici.libero@virgilio.it; II di 3)

L’euristica benjaminiana si caratterizza per la propria tensione verso il nucleo semantico delle cose, per lo sguardo gettato oltre l’immediatezza del riferimento del dato; è come se il suo procedere astraesse forme e significazioni di istituti, rapporti e ordini per evitarne la potenza rappresentativa e vincolante: a quel punto l’intensionale è il referente, la parola si addentra nel fondale della problematicità scorgendovi la relazione tra conoscenza e azione: senso e significato di una genealogia. Considerare l’Ordnung giuridico-positivo come struttura deontica cui è sottesa una tassonomia della necessità stringente insieme destino, colpa e obbligo è genealogia della legge come formalizzazione doxastica, genealogia che vede la cogenza rigenerarsi incessantemente in sintassi di vigenze antimutamento e relativa introiezione: quella vita prodotta dal/nel mito e ri-prodotta dal/nel diritto, quella vita espropriata del proprio conatus dalla “mitica schiavitù della persona”[1] è il blosses Leben: violenza dell’ideocrazia, ideocrazia della violenza.
Proprio sulla correlazione come prosecuzione tra dimensione mitica e dimensione giuridica si sviluppa il discorso di Zur Kritik der Gewalt[2], scritto negli anni 1920-1921.
“Il compito di una critica della violenza si può definire come l’esposizione del suo rapporto col diritto e con la giustizia”[3]. Benjamin non è un filosofo del diritto stricto sensu, come dimostra la presenza a prima vista esorbitante del Mythus nella sua tematizzazione giuridica; tuttavia l’impostazione benjaminiana è di grande interesse in quanto evidenzia e mette a nudo alcune aporie della modernità giuridica.