giovedì 10 dicembre 2020

Cambiamento?

di Luca Rota (luca@lucarota.it)

Una delle parole che più viene spesa, in questo periodo pandemico e emergenziale, è sicuramente “cambiamento”. Il coronavirus chi ha cambiato la vita, dovremo cambiare le nostre abitudini, c’è la necessità di un cambiamento dei nostri stili di vita, niente sarà come prima e tutto cambierà, eccetera.
Ok, tutto giusto, tutto comprensibile.

Ma cosa vogliamo intendere, poi, con la parola “cambiamento”?

Ci sto pensando di frequente, in questi giorni, leggendo appunto un po’ ovunque di questi inviti o di intenti sul cambiare, e mi pare che, a fronte di quanto sia invocata la parola con tutti i suoi derivati, molto meno ci si esprima concretamente sul cosa cambiare, come, quanto, perché.

A parte che già molti, in filosofia, hanno cercato di disquisire sulla questione fin dai tempi antichi, da Aristotele – che sosteneva (nella Fisica) che se c’è il tempo c’è il cambiamento e solo se c’è un cambiamento può esistere il tempo – in poi, e di recente è uscito questo interessante libro di Federico Sollazzo che offre uno sguardo moderno-contemporaneo sul tema. Ma qui, senza andar troppo sul filosoficamente difficile, vorrei mantenere la mia riflessione su un piano più pratico e quotidiano, in particolare riguardo cosa si possa considerare un “vero” cambiamento, nel presente e nel mondo in cui viviamo.

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domenica 1 novembre 2020

Dimenticanza dell'essere: quando la traduzione sbagliata di un titolo presuppone altro

di Michele Ragno (micheleragnoph@gmail.com) e Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Le lezioni di Martin Heidegger ci hanno insegnato il valore della “parola” e, di conseguenza, quanto una traduzione non sia mai innocente: ogni traduzione infatti nasconde e presuppone una determinata “posizione” di pensiero. Abbiamo applicato questa idea analizzando il problema delle traduzioni del testo heideggeriano Die Frage nach der Technik.

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sabato 31 ottobre 2020

Brevi osservazioni sulla concezione di "mutazione antropologica" in Pasolini

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

(Trad. redazionale dall'inglese all'italiano del mio articolo Brief Remarks on the Pasolini’s Conception of “Anthropological Mutation”.)


Come è noto, Pasolini elaborò il concetto di "mutazione antropologica", negli ultimi anni della sua vita, prima del suo assassinio il 2 novembre 1975, in particolare attraverso articoli pubblicistici sui maggiori quotidiani del periodo, che ora sono contenuti, in Italia, nei libri Lettere luterane e Scritti Corsari, e di cui l'incompiuto Petrolio rappresenta la trasposizione in forma mitica. In realtà, la prima cosa che dobbiamo sottolineare è che questo concetto non è isolato nei suoi ultimi scritti, ma è in relazione con altri concetti principali, espressi con formule particolari, come ad esempio: "l'antropologia classica", "il genocidio culturale", "la nuova preistoria", "il dopostoria", tutti termini con cui si fa riferimento, infatti, alla situazione socio-antropologica-culturale, fenomeno della "mutazione antropologica".

– Continua su Pagine corsare (scorrere fino al di sotto del testo in inglese)

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martedì 22 settembre 2020

"Krinò” e l’altrove

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

"Krinò"

Come molti probabilmente avranno notato, oggi iniziano a proliferare discorsi e attività extra-, quando non anti-, accademiche e, come sempre, sono le sottigliezze a fare la differenza.

L’esperienza di “Krinò”, iniziata nel 2017 come seminario universitario e proseguita dal 2018 come centro culturale indipendente, non è assimilabile alla filosofia pratica, alle pratiche filosofiche, alla consulenza filosofica, né è un discorso che vuole dire che siamo tutti filosofi, né però che lo siano coloro che studiano la filosofia. Mi spiego meglio.

lunedì 31 agosto 2020

Sulla filosofia

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it) 

E' stato detto.
Ed è stato detto proprio da coloro che oggi vengono studiati da quelli che, studiandoli, mettono in scena proprio ciò che essi criticavano.
Eppure è stato detto.
Allora, un passo più in là dell'analfabetismo funzionale, esiste anche un'impermeabilità al senso.



Coloro che sperano di diventare filosofi studiando la storia della filosofia dovrebbero, piuttosto, ricevere da essa l'idea che filosofi si nasce proprio come avviene per i poeti, anzi assai più di rado. 
– Arthur Schopenhauer, Sulla filosofia e il suo metodo, in Parerga e Paralipomena

I primi due requisiti del filosofare sono questi: prima di tutto che si abbia il coraggio di non serbare nel proprio cuore alcuna domanda e, in secondo luogo, che si porti a chiara coscienza tutto ciò che si capisce da sé per concepirlo come problema. Infine, per filosofare davvero, lo spirito deve essere veramente ozioso: non deve perseguire degli scopi e dunque non deve essere guidato dalla volontà, bensì dedicarsi integralmente all'ammaestramento che gli danno il mondo intuibile e la sua stessa scienza.  I professori di filosofia, invece, pensano al loro utile e vantaggio personale, a ciò che serve in questo senso: qui risiede la loro serietà. Per questo non vedono affatto tante cose che invece sono chiare; anzi non giungono mai alla meditazione, sia pure soltanto sui problemi della filosofia.
 Arthur Schopenhauer, Sulla filosofia e il suo metodo, in Parerga e Paralipomena

lunedì 20 luglio 2020

G. Agamben, "Idea della prosa" (estratto)

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

(Si pubblica di seguito un estratto del libro di Giorgio Agamben, Idea della prosa, Quodlibet, 2002, nuova edizione illuminata e accresciuta, 2020;
nello specifico, la parte intitolata "Soglia", pp. 11-16 – per la quale, proprio per amor di prosa, si immagina il seguente sottotitolo, "La grandezza del pensiero non risiede nel pensato, ma nella pensosità".)

Nell’anno 529 della nostra era, l’imperatore Giustiniano, istigato da fanatici consiglieri del partito antiellenico, decretò con un editto la chiusura della scuola filosofica di Atene.

Toccò così a Damascio, scolarca in carica, di essere l’ultimo diadoco della filosofia pagana. Egli aveva cercato, attraverso funzionari di corte che gli avevano promesso la loro benevolenza, di scongiurare quell’evento; ma aveva ottenuto soltanto che gli venisse offerto, in cambio della confisca dei beni e delle rendite della scuola, uno stipendio di sovrintendente in una biblioteca di provincia. Ora, temendo probabili persecuzioni, lo scolarca e sei dei suoi collaboratori più stretti caricarono libri e masserizie su un carro e cercarono rifugio alla corte del re dei persiani, Khusraw Anōshakrawān. I barbari avrebbero salvato quella purissima tradizione ellenica che i greci – o, piuttosto, i «romani», come ora si chiamavano – non erano più degni di custodire.

lunedì 6 luglio 2020

Filosofia e arte: "farmaci emozionali" che curano mente e spirito

di Elisa Dipré (sentieridellaragione@gmail.com)

Vincent van Gogh, "Notte stellata" (1889)

“… i filosofi sono in qualche modo pittori e poeti; i poeti son pittori e filosofi; i pittori son filosofi e poeti. Donde i veri poeti, i veri pittori e i veri filosofi si prediligono l’un l’altro e si ammirano vicendevolmente” (Giordano Bruno – Explicatio triginta sigillorum)

Due grandi filosofi, Alain de Botton e John Armstrong, credono fermamente che l’arte abbia un impatto sulla nostra intimità e sulla nostra quotidianità, aiutandoci a pensare fuori dagli schemi o semplicemente alleviando tutti quei problemi legati allo stress della vita quotidiana.

Quando si parla di arte mi viene immediato pensare al piacere che si può celare dietro la visione di un’opera. In molti si recano nei musei per poter passare qualche ora ad ammirare tutte le meraviglie custodite all’interno.

Siamo ancora in grado di meravigliarci di qualcosa nell’epoca in cui viviamo? Cosa provoca in noi meraviglia e stupore? Cosa muove il nostro animo, coinvolgendolo ed emozionandolo?

– Continua su I sentieri della ragione

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lunedì 22 giugno 2020

Pasolini in Ungheria. Una rassegna

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

(Si pubblica di seguito la seconda e ultima parte (la prima è stata pubblicata come precedente pubblicazione del presente sito, "CriticaMente") del saggio di Federico Sollazzo, Pasolini in Ungheria. Una rassegna, apparso sul n. 8, del 2014, della rivista "Studi pasoliniani".
A causa delle restrizioni alla diffusione in open access imposte dall'editore, il presente scritto è qui offerto in un formato diverso rispetto alla pubblicazione in rivista e tuttavia conforme alla stessa pubblicazione in rivista. Chi desiderasse avere informazioni sul numero di pagina di un determinato passo del presente scritto nella versione edita in rivista, può contattare l'autore all'indirizzo: p.sollazzo@inwind.it)

Miscellanea
Nel composito panorama della ricezione ungherese di Pasolini, sono da segnalare anche alcuni eventi, iniziative, attività di varia natura che paiono di particolare interesse.
            Già in occasione del ventesimo anniversario della morte il museo «Ludwig» di Budapest ha organizzato una mostra dal titolo Pier Paolo Pasolini avagy a határátlépés – Megszervezni az átlényegülést (“Pier Paolo Pasolini o attraversare la frontiera Organizzar il trasumanar”) costituita da fotografie e proiezioni di film e arricchita dall’esposizione di una serie di documenti originali.
                Nel 2000 Béla Szemán e Zoltán Zubornyák hanno organizzato a Budapest una settimana commemorativa della vita e dell’opera di Pasolini, con un buon impatto massmediatico e successo di pubblico, con proiezione di film e dibattiti pubblici. Ospiti dell’iniziativa sono stati anche Giuseppe Zigaina e Ninetto Davoli. Da tale evento ne è poi derivato uno simile, ma più ricco, organizzato per il trentesimo della morte con la collaborazione dal Centro Culturale di Ferencváros, dell’Istituto Italiano di Cultura di Budapest, dell’Istituto Cinematografico Ungherese, del Teatro Nazionale di Budapest e il patrocinio di Gyula Hegyi, membro della Commissione Cultura e istruzione del Parlamento Europeo, e diretta da Miklós Jancsó, regista. 
            Nel 2006 è stato realizzato, dall’emittente Duna TV, un documentario di 53 minuti per la regia di Attila Mispál: Egy eljövendő élet (“Una vita che verrà”). Il documentario mette in rilievo la poliedricità espressiva di Pasolini, presentandolo come poeta, romanziere, drammaturgo, giornalista, pittore e regista, e il contenuto al tempo stesso artistico e politico della sua opera.
            Nel medesimo anno ancora Béla Szemán organizza la mostra “Pasolini és én” – Pasolini emlékkiállítás (“Pasolini e me” – Mostra commemorativa su Pasolini”) presso la galleria Örökmozgó di Budapest.
            Sempre nel 2006 viene realizzato il dramma radiofonico in due parti Persona non grata diretto da Csaba Molnár. Presentato in anteprima presso l’IIC di Budapest, sostenuto dal noto portale web di letteratura «Litera» e poi trasmesso da «Magyar Rádió / Bartók Rádió», Persona non grata (titolo in italiano) ha avuto un ottimo riscontro di pubblico e di critica. Il dramma ruota attorno al processo a Giuseppe Pelosi ed è debitore, per indicazione degli stessi autori, a quanto contenuto su tale vicenda sul sito web «Pagine corsare» curato da Angela Molteni[1] e nel volume miscellaneo Omicidio nella persona di Pasolini Pier Paolo (Kaos, 1992), e agli atti processuali e ai documenti dell’Autorità giudiziaria.
            Infine, mi permetto di segnalare le mie due conferenze Guida alla visione di Mamma Roma di Pasolini e Pasolini és az "antropológiai átalakulás" (“Pasolini e la ‘mutazione antropologica’”; in italiano con traduzione simultanea in ungherese), rispettivamente tenute nel 2011 e nel 2012 entrambe presso la Facoltà di Lettere dell’università di Szeged, ed il mio corso Pasolini as a Philosopher svolto nell’anno accademico 2013/2014 presso il Dipartimento di Filosofia della medesima università.

sabato 13 giugno 2020

Pasolini in Ungheria. Una rassegna

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

(Si pubblica di seguito la prima parte (la seconda verrà pubblicata come prossima pubblicazione del presente sito, "CriticaMente") del saggio di Federico Sollazzo, Pasolini in Ungheria. Una rassegna, apparso sul n. 8, del 2014, della rivista "Studi pasoliniani".
A causa delle restrizioni alla diffusione in open access imposte dall'editore, il presente scritto è qui offerto in un formato diverso rispetto alla pubblicazione in rivista e tuttavia conforme alla stessa pubblicazione in rivista. Chi desiderasse avere informazioni sul numero di pagina di un determinato passo del presente scritto nella versione edita in rivista, può contattare l'autore all'indirizzo: p.sollazzo@inwind.it)

Federico Sollazzo [*] 
Il presente articolo presenta un quadro della ricezione di Pasolini in Ungheria; benché vengano considerati lavori a partire dagli anni Sessanta, l’articolo è focalizzato sulla ricezione a partire dagli anni Duemila. Si cercherà di evidenziare sia quelli che appaiono come meriti che quelli che appaiono come punti critici di tale ricezione, e di offrire una prospettiva sia dei lavori accademici che della penetrazione di Pasolini presso un pubblico più ampio.
This article presents an overview of the reception of Pasolini in Hungary; although are considered works since the Sixties, the article is focused on the reception since the early millennium. It will try to underline both those appear as positive elements and those emerge as problematic points of the reception, and to provide a framework both of academic works and of the reception of Pasolini by a broader audience.

La ricezione di Pasolini in Ungheria presenta delle caratteristiche peculiari che la rendono alquanto problematica ma, proprio in virtù di questo, con ampi margini di intervento e perfettibilità, supportati da un crescente interesse, anche e forse soprattutto extra accademico, che andrebbe pertanto indirizzato con il dovuto rigore filologico e concettuale.
            Il primo elemento da considerare, databile agli anni Sessanta e Settanta, consiste in un inizio difficile e centellinato della penetrazione, limitata a poche traduzioni sparse su alcune antologie e riviste. Situazione, questa, certamente fortemente influenzata dalla censura, più o meno esplicita, operata verso di lui dal regime di allora. Ciò fece di lui una sorta di autore semi-clandestino, noto perlopiù ad una ristretta cerchia di “adepti”.  
            Successivamente, soprattutto a partire dagli anni Novanta, la produzione di Pasolini ha iniziato a trovare più margini di ricezione, una certa ricezione, caratterizzata da almeno tre fattori determinanti. In primo luogo, il Nostro è stato presentato al pubblico ungherese prevalentemente, se non quasi esclusivamente, come regista e teorico del film (che si prodigava anche in prose e poesie, benché la sua attività fondamentale fosse quella cinematografica); nelle riviste in cui ci si occupava di lui, quali «Filmkultúra», «Filmvilág», «Nagyvilág», «Színház», era infatti trattato sempre come cineasta. Inoltre, se il vecchio regime ne aveva ostacolato la divulgazione, al crollo di quello, nell’euforia sempre poco lucida tipica di tutti i grandi cambiamenti sociali, le sue idee politiche gli valsero l’etichetta di “sporco comunista”. Infine, soprattutto nell’ultimo quindicennio circa, la diffusione commerciale delle sue opere, sempre ruotante prevalentemente attorno alla produzione filmica, su un circuito relativamente ampio (recentemente diversi suoi film sono stati riproposti anche in versione DVD), senza però una preliminare conoscenza organica della complessità del suo pensiero e del resto della sua produzione (romanzi, poesie, drammi teatrali, saggi, articoli pubblicistici, ecc.), ha determinato una conoscenza più che dimidiata e quindi distorta di Pasolini, imperdonabilmente semplificata, epurata dai suoi elementi di maggiore complessità concettuale ed esaltante gli elementi “perturbanti”, ai fini della commercializzazione della sua produzione; insomma, il critico dell’omologazione capitalistico-consumistica è stato fagocitato da tale dinamica, in un Paese bramoso di entrare anch’esso (una sorta di “mamma Roma”?) nell’omologato e omologante mondo occidentale.
            Tuttavia, a fronte di queste problematiche, stante una conoscenza relativamente di nicchia di Pasolini, esistono ancora i margini, prima che un processo di iconizzazione pubblica ne precluda una comprensione critica, per quell’operazione, di cui dicevo in apertura, di rigoroso indirizzamento filologico e concettuale degli studi pasoliniani.    

domenica 31 maggio 2020

Appunti sparsi

di Antonio Mariani (ippovitamina@yahoo.it)

Nel mezzo del cammin di nostra vita (anche più) sono arrivato alla conclusione che l'intelligenza
coincida con il coraggio.
È un coraggio particolare o meglio una forma del coraggio che non prevede performance fisiche o il rischio della vita (almeno non sempre e non direttamente).
È il coraggio, notato in tutte le persone intelligenti, di organizzare il pensiero in forma autonoma.
Si fa presto a dire "autonoma"... il pensiero degli uomini è largamente collettivo ed il pensiero di ciascuno deve fare i conti con quello degli altri, fossero anche i migliori ed i più evoluti, deve fare i conti con i pensieri dominanti i quali, se non vi aderisce, lo escludono relegandolo ad una condizione subumana (tanto l'essere umano è gregario per natura).
Il pensiero intelligente si sporge sull'abisso non solo per un attimo fugace (che per un attimo a tutti è capitato), ma per il tempo necessario affinchè l'abisso parli.
Non c'è da immaginarsi abissi alla sturm und drung o allucinazioni da film gotico ma... l'abisso che circonda, appena un millimetro oltre, le cose più banali, quelle definite stra-ovvie, al limite, stupide!
Prova a mantenere l'attenzione su un orologio osservando la lancetta dei minuti per un banale, stupidissimo minuto e poi se ci riesci (è in realtà difficilissimo) prova a chiederti cosa è successo veramente, dove sono davvero finiti quei secondi trascorsi e se davvero sono trascorsi e se tu abbia osservato il vero scorrere del tempo o solo una stanghetta di ferro che si muoveva.
Vedrai un abisso, ti spaventerai, vedrai crollare la cosa più ovvia che esista: il passaggio di un minuto, vedrai insinuarsi un dubbio sottile che ti escluderà dal pensiero comune e quotidiano, tanto utile per sopravvivere e per sentirsi parte di un gruppo umano.
Ecco, se seguirai quel dubbio e perderai la giornata a contemplare quel mistero, se nei giorni e mesi successivi ti occuperai ancora, ogni tanto, di quella sensazione inquietante cercando di tenere a bada la paura che ti mette, ecco, io dico che tu sei intelligente, cioè che la paura di perderti completamente, la paura della follia e dell'esclusione non ti ha abbattuto, non ti ha fermato.
Questo, per me, si chiama anche coraggio.
Guardare il mondo come lo guarderebbe un cane, per esempio.

sabato 11 aprile 2020

Transizioni. Filosofia e cambiamento

di Giacomo Pezzano (giacomo.pezzano@unito.it)

Parlando di transizioni (F. Sollazzo (a cura di), Transizioni. Filosofia e cambiamento, goWare, 2018), la prima cosa che salta all’occhio di questo testo è che la sua stessa natura sembra prendere sul serio il problema delle trasformazioni in cui siamo immersi: si tratta infatti di un e-book, anziché di un libro “analogico”. Certo, la sua forma e la sua organizzazione sono ancoraquelle del libro in senso stretto, ma è perché non siamo comunque (ancora?) in grado di articolare concetti indipendentemente dalla forma-testo in quanto forma-libro. [Il volume è disponibile anche in formato cartaceo, N.d.R.]
L’idea di fondo che percorre gli otto contributi di questo lavoro è tutt’altro che scontata, ed è altresì feconda: la filosofia ha qualcosa da dire sulle trasformazioni, sul problema delle transizioni.

– Continua su Scenari

Federico Sollazzo (cura), Transizioni. Filosofia e cambiamento. In movimento con Heidegger, Adorno, Horkheimer, Marcuse, Habermas, Wittgenstein, Gramsci, Pasolini, Camus (saggi di: M. Viscomi, P. Beretta, L. Baldassarre, M. De Iaco, V. Ferraretto, F. Sollazzo, F. Giacomantonio, S. Scrima), coll. di Filosofia meme, goWare, Firenze 2018.

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martedì 7 aprile 2020

Le bussole che orientano il lungo interregno

di Ruggero D'Alessandro (ruggero.dalessandro@bluewin.ch)

Come si legge programmaticamente nell'Introduzione di Federico Sollazzo, curatore de Transizioni. Filosofia e cambiamento (goWare, pp. 155), due sono i caratteri di fondo che legano i nove saggi del volume: l'essere giovani autori; il concentrarsi sulla tematica del cambiamento. E si sa quanto la questione del divenire sia da sempre centrale nella storia della filosofia.

– Continua su il Manifesto

Federico Sollazzo (cura), Transizioni. Filosofia e cambiamento. In movimento con Heidegger, Adorno, Horkheimer, Marcuse, Habermas, Wittgenstein, Gramsci, Pasolini, Camus (saggi di: M. Viscomi, P. Beretta, L. Baldassarre, M. De Iaco, V. Ferraretto, F. Sollazzo, F. Giacomantonio, S. Scrima), coll. di Filosofia meme, goWare, Firenze 2018.

giovedì 12 marzo 2020

Martin Heidegger: Che cos’è la metafisica?, a cura di Federico Sollazzo

di Marco Viscomi (marcoviscomi@libero.it)

La riedizione del testo heideggeriano Was ist Metaphysik? proposta dall’editore goWare presenta almeno due originalità interessanti. Per un verso, il volume ripropone la nota traduzione di Armando Carlini ad uno scritto essenziale nello snodo del pensiero di Martin Heidegger, nel quale le parole del filosofo tedesco sono correlate dalle osservazioni in margine dell’importante interprete italiano. Sebbene una simile operazione editoriale contravvenga alle misure predisposte da Heidegger nel dare alle stampe la sua opera omnia presso la Klostermann, l’impegno ermeneutico del Carlini rilancia oggi più che mai la necessità di impugnare la parola heideggeriana con un nuovo spirito critico. Vale a dire: non l’interesse di fare del proselitismo sulla personalità speculativa del filosofo di Messkirch, ma piuttosto l’intento di appropriarsi di questa tipicità teoretica, nel tentativo ormai maturo di superarla in un orizzonte metafisico contemporaneo ulteriore.
Per altro verso, il testo pubblicato dalla goWare si mostra consapevole di un simile intento riflessivo e si propone in prima linea nella rilettura della traccia heideggeriana. Nel saggio introduttivo di Federico Sollazzo viene infatti ribadita la necessità di tornare a tematizzare l’essenza originaria della filosofia oltre e ben al di là della mera dimensione del tecnicismo accademico. L’impegno è quello di assumere la “fatica del concetto” in una dimensione non meno originaria dell’analitica esistenziale heideggeriana, in direzione di un ripensamento dell’umano e-sistere nella verità e nella storia dell’essere. È esattamente in questo impegno speculativo d’insieme che si intuisce la proposta editoriale di rilanciare Was ist Metaphysik? attraverso la lettura critica del Carlini in funzione di un impegno, del quale Sollazzo si mostra ben conscio e impegnato in prima persona.


Martin Heidegger, Che cos'è la metafisica? e altri scritti (con estratti dalla Lettera sull'"umanismo", trad. di A. Carlini, con saggi di Federico Sollazzo, Hans-Georg Gadamer, Armando Carlini), a cura di Federico Sollazzo, coll. di Filosofia meme, goWare, Firenze 2018.
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domenica 23 febbraio 2020

La philosophia naturalis di Davide Gariti

di Chiara Taormina (chiara.taormina@gmail.com)

La philosophia naturalis o filosofia naturale era la riflessione su base razionale applicata alla natura e alla sua osservazione.
Leggendo i versi di Davide Gariti mi viene spontaneo questo accostamento e più precisamente quello al neoplatonismo rinascimentale. Tale corrente filosofica sosteneva la stretta relazione esistente tra la naturalità delle cose con una visione magica ed esoterica del loro svolgimento. Così nella profondità dei versi di Davide ho riscoperto il gioco alchemico della poesia, per ricercare quel sapere unitario che ristabilisca l'equilibrio e il legame tra le variegate emozioni umane, partendo dalla molteplicità delle sensazioni per giungere all’unità, dalla diversità all’identità di chi legge:

Un cane lento dorme,
la coda nel fango
il muso sulle sue orme.

"Già il Sommo Padre, Dio Creatore, aveva foggiato, questa dimora del mondo quale ci appare. Ma, ultimata l'opera, l'Artefice desiderava che ci fosse qualcuno capace di afferrare la ragione di un'opera così grande, di amarne la bellezza, di ammirarne la vastità".
Così affermava Pico Della Mirandola, che nella Cabala cercava di capire i misteriosi legami tra i vari aspetti della natura.

martedì 11 febbraio 2020

Martin Heidegger, Che cos'è la metafisica? e altri scritti

di Alida Airaghi

Nato come lectio magistralis tenuta da Martin Heidegger nel 1929 all’Università di Friburgo, Che cos’è la metafisica?, testo fondamentale della filosofia novecentesca, è stato successivamente arricchito dall’autore con un Poscritto nel 1943 e una nuova Introduzione nel 1949. Oggi viene riproposto dalle edizioni fiorentine goWare con un’ampia prefazione del curatore Federico Sollazzo, e due importanti contributi di Hans-Georg Gadamer e di Armando Carlini, a cui si devono anche la traduzione, le note e il commento del saggio.

– Continua su Alida Airaghi o su Solo Libri

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venerdì 31 gennaio 2020

Galimberti ricordando Severino: professori e maestri

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Nel seguente video in ricordo di Emanuele Severino, Umberto Galimberti dice diverse cose importanti.
Ne isolo alcune, che mi stanno particolarmente a cuore.