mercoledì 17 febbraio 2021

Un'indagine filosofica sul mondo attuale

di Fulvio Sguerso (fulviosguerso@libero.it; II di 4)

(QUI la prima parte)

Noi diciamo ancora guerra, ma la guerra di oggi non è più quella di ieri, quando «Nel paradigma binario il nemico era, di massima, magari successivamente variato, ma poi assestato, sempre di fronte e ben percepibile»: di qua noi, di là loro; di qua gli amici, i compagni, i fratelli, di là i nemici; di qua dal fiume la nostra madrepatria, di là la loro: due (o più) patrie, due (o più) nazioni, due (o più) popoli, due (o più) Stati, con i rispettivi eserciti,  le rispettive burocrazie, istituzioni, finanze, chiese, scuole, accademie, giornali… che si fronteggiano in armi… Quelli sì che erano bei tempi: non ci si poteva sbagliare  riguardo a dove stesse il nemico (però qualcuno già allora insinuava il sospetto che il nemico non fosse davanti ma dietro): «La guerra come espressione di Stati e confini e con i suoi vari corollari ideologicamente pregni d’idealità assolute, fondava la sua stessa esistenza su una sicura esistenza del nemico»; dal che si deduce che, nel malaugurato caso in cui non ci fosse, per la salvaguardia della nostra preziosa identità (nonché della nostra salute mentale) bisognerebbe inventarlo (cfr. Umberto Eco, La costruzione del nemico, Bompiani, 2011). Ma oggi, come si è visto, il nemico può materializzarsi ovunque, tanto che «come sede d’insicurezze sconvolgenti bastano le masse anonime di una partita di pallone. Soprattutto su un terreno di cultura di più di un miliardo di potenziali “credenti” cui attingere, e con un impianto ideologico monoteisticamente fondato... le possibilità di difesa scompaiono alla vista e si affidano ai lavori di copertura di servizi di “intelligence” cui un po’ fideisticamente affidarsi. Già questo dover contare sull’“invisibile” di un supporto non ben identificato accresce l’insicurezza dello sguardo al mondo da parte di ciascuno, “affratellato” nella paura e “solo” nel regime di un’imprevedibile possibilità di difesa». Oltre che, ovviamente, di offesa. 


In altri termini Girard ci vuol dire che il mondo attuale ha perso, anche a causa del terrorismo internazionale, le sue certezze, o meglio, le sue illusioni ireniche: altro che la fine della storia nel regime liberaldemocratico, oltre il quale,  secondo il politologo statunitense Francis Fukuyama, non ci sarebbe stato niente di meglio per l’uomo! Dopo la fine della guerra fredda e la caduta del muro di Berlino sembrò per un momento che potesse cominciare finalmente un’epoca di convivenza veramente pacifica tra i popoli della terra, ma l’illusione durò l’espace d’un matin: al vecchio ordine bipolare (peraltro basato sul cosiddetto “equilibrio del terrore” dovuto alla possibilità non solo teorica dell’uso delle armi atomiche da parte delle due superpotenze) è subentrato il nuovo disordine mondiale; l’unificazione del mondo sotto il dominio dell’economia di mercato e della superpotenza rimasta padrona del campo dopo il crollo dell’ Unione Sovietica, cioè gli Stati Uniti d’America, è stata messa in questione non più dal conflitto tra Oriente comunista e Occidente capitalista ma tra il sovrappopolato e povero Meridione e il ricco e “decadente” Settentrione del mondo, nonché dall’inaudito e sconvolgente attacco del terrorismo islamista internazionale. Questa nuova situazione di instabilità e di conflittualità generalizzata e permanente, questa perdita delle coordinate geopolitiche insieme ai tradizionali punti di riferimento religiosi e anche  alla fede nel continuo e irreversibile progresso scientifico  di matrice illuministica e positivistica non poteva evitare ricadute sulla stabilità psicologica dei singoli “abitatori del tempo” (per usare un’espressione di Emanuele Severino) odierno. La messa in questione delle certezze acquisite, del paradigma dualistico per cui c’è netta separazione tra l’essere e il nulla, tra bene e male,  tra vero e falso, tra giusto e ingiusto, tra bello e brutto e, persino, tra vita e morte, non è semplicemente un tratto caratterizzante del nostro tempo privo di conseguenze, ma è causa di un diffuso disagio psichico, come dimostra il fiorente mercato dell’aiuto psicoterapeutico: «La crisi di significato fa allora strutturalmente ingresso in una psicologia che entro certi limiti rinuncia alle certezze e si attesta su un fronte di resistenza più arretrato, fino a far risuonare come garanzia paradossale di sopravvivenza al meglio la capacità di una accettazione profonda di un mondo incerto. Questa è oggi la traccia essenziale delle terapie psicologiche».