di Fulvio Sguerso (fulviosguerso@libero.it; I di 4)
Che cosa caratterizza il mondo in cui viviamo? Quali “paradigmi” condizionano il nostro modo
di interpretare la realtà in cui siamo immersi? Su quali valori fondiamo la
nostra vita individuale e sociale? In che cosa crediamo (ancora) o non crediamo
(più)? È possibile vivere in pace in un mondo perennemente in guerra? Non sarà
che noi occidentali, cristiani o atei, basiamo la nostra (relativa) pace sulla
potenzialità distruttiva dei nostri armamenti convenzionali e non
convenzionali, sulle guerre combattute da altri, purché lontano dai nostri
confini? Come mai siamo considerati dai
fondamentalisti islamici una massa di infedeli materialisti ed edonisti da
convertire o da eliminare? Qual è il nesso tra monoteismo identitario e guerra?
Perché le cosiddette “religioni del Libro” sono state più foriere di conflitti
che di pace e di fratellanza tra i popoli? Chi possiede la giusta chiave
interpretativa dei sacri testi? Non sarà che le masse, occidentali e orientali,
acculturate o arretrate che siano, non sappiano andare oltre la lettera dei
loro libri sacri? E non ci sarà un nesso tra il letteralismo religioso delle
masse e il terrorismo? E tra le guerre, le diseguaglianze, la miseria e le migrazioni che tanto ci allarmano? Basterà
erigere muri e blindare le frontiere a salvaguardare la nostra sicurezza e a
tutelare la nostra economia? E sarà mai possibile una via di uscita dall’“invaso” epocale nichilistico, consumistico, massmediatico e ipertecnologico di questo nostro mondo in
cui l’apparenza vale più della realtà, l’immagine più della persona o della
“cosa in sé”, l’avere più del dare, i diritti più dei doveri e dove gli unici
valori che contano sono quelli quotati in borsa e l’immanenza ha sostituito la
trascendenza e la fisica la metafisica?
Di questi e di altri interrogativi su
chi siamo, da dove veniamo e verso dove stiamo andando, magari senza nemmeno
rendercene conto, tratta il libro del
filosofo e sociologo Giorgio Girard: Letteralismo
religioso delle masse, terrorismo e migrazioni, Mimesis, 2017.
Nella
prefazione l’autore traccia le linee portanti del suo saggio: «Da tempo la
filosofia s’interroga su cosa sia realtà. Ciò che, semplicemente vivendo, appare scontato, in questo libro viene interrogato».
Ad esempio: siamo sicuri di saper leggere? Eh sì, perché un conto è saper
leggere il giornale (ma, anche qui, non è detto che siamo tutti buoni lettori dei quotidiani, ricordo su questo
argomento il bel manuale di Paolo Murialdi intitolato Come si legge un giornale, Laterza, 1975; e, siccome ormai per
l’uomo-massa contemporaneo la preghiera del mattino non è più, come diceva
Hegel, il giornale ma il telegiornale, è opportuna almeno – sempre che non si
scelga di non guardare più la tv – la
lettura di Come si vede il telegiornale
di Omar Calabrese e Ugo Volli, Laterza, 1987) un altro saper leggere la Torah,
o il Nuovo Testamento o, tema attualissimo, il Corano. Ebbene, prosegue Girard, «Un aspetto possibile di questo domandarci passa per la differenza tra ciò che
è letterale e ciò che è allegorico». Non è una questione solo accademica o
esegetica se crediamo a quello che ha scritto san Paolo in 2Corinzi 3, 6: «Littera enim occidit, spiritus autem
vivificat», ma addirittura di vita e di morte, salvezza o perdizione; non
per niente così nella tradizione talmudica come in quella cristiana si insegna il modo
corretto di leggere “la parola di Dio”: oltre a quello immediato, letterale e,
per così dire, di superficie, ci sono
altri tre livelli di significato: l’allegorico-simbolico, il metaforico-morale e quello nascosto, mistico-esoterico. Anche i
versetti coranici, oltre al significato letterale, sono portatori di
significati simbolici (su questo aspetto ha insistito lo studioso egiziano contemporaneo
Abu Zayd) ma i fondamentalisti islamici – d’altronde anche quelli cristiani
rispetto al Vangelo – si fermano al
livello letterale, considerato dalla
scuola coranica più ortodossa immutabile
e intoccabile in quanto coeterno ad Allah, che ha voluto dettare al Profeta,
tramite l’arcangelo Gabriele, il Corano nella lingua araba del VII secolo e in nessun’altra.
Girard attribuisce questo fermarsi alla
superficie letterale dei testi sacri a quella che Jung chiama “ragione
unilaterale”, vale a dire a quel meccanismo psichico difensivo che «per non
soccombere all’insicurezza, si allinea risolutamente alle prime “ragionevoli
apparenze” della realtà rifuggendo dall’approfondimento». Che cosa significa
infatti “approfondire” se non rimettere in discussione le nostre certezze, le
idee ricevute, i giudizi e i pregiudizi acquisiti passivamente e acriticamente?
Nondimeno, se non vogliamo accontentarci del “si dice”, del senso comune e di
quello che appare, dobbiamo tener
presente che «l’“oltre” della realtà immediata configura nuovi significati ed
anche contribuisce alla costruzione di personalità diverse, rispetto a chi sa o
meno recepire il simbolico, cioè quella rete di significati che, pur
apparentemente reconditi, contribuiscono potentemente a strutturare ciò che
percepiamo, ciò che sentiamo e viviamo.
Potremmo dire che, in effetti, viviamo di simboli, ma che l’immediatezza
che non fruisca di “domande” ce li nasconde».
Ecco quindi la necessità di qualcuno
che ci risvegli dal nostro “sonno dogmatico”; come non pensare che questo
qualcuno sia lo schiavo autoliberatosi di cui parla l’allegoria platonica della
caverna? Senonché «Il riferimento principale di questo libro – avverte Girard – va a quanto è scritto nelle religioni
dette “del libro”, Bibbia e Corano, dunque ad alveo monoteistico. Il suo titolo
vuole richiamare la forza “letterale” delle parole, o meglio di alcune parole
particolari dei libri sacri, a caratterizzare l’azione. La parola “guerra” non
poteva allora che essere parola cardine per un libro che accentra la sua
attenzione su uno dei più macroscopici problemi dell’epoca che stiamo vivendo,
il terrorismo internazionale».
Noto di passaggio che il tema della guerra, in
greco pòlemos, è presente nel
pensiero occidentale fin dalla sue origini: per Eraclito di Efeso «Pòlemos è di
tutte le cose padre, di tutte re, e gli
uni rivela dei e gli altri uomini, gli uni rende schiavi e gli altri liberi».
Per l’aristocratico Eraclito, grazie alla guerra si forma una società
gerarchicamente ordinata e giusta dal momento che, essendo la guerra comune a tutte le cose «anche la giustizia è contesa e tutto nasce per contrasto e necessità». Quindi
la guerra di cui parla Eraclito è necessaria alla vita del cosmo e alla legge
dell’armonia universale che scaturisce
dalla tensione tra gli opposti. È questa la prima teorizzazione della coincidentia oppositorum che verrà
ripresa dalla scuola neoplatonica, che
la trasmetterà alla tradizione mistica
cristiana, soprattutto tedesca (Meister Eckhart), e alla teologia negativa del
Cusano, oltre che al panteismo di
Giordano Bruno e a quello di Baruch Spinoza e, per suo tramite, agli idealisti tedeschi. Tutti questi autori
hanno una visione del mondo che potremmo definire “monista” in quanto
riconducono la pluralità degli enti a un unico principio (il Logos, l’Uno, la
Sostanza, lo Spirito assoluto, Dio, la
Volontà, la Natura…), anche Giorgio Girard, come spiega nel suo precedente
libro, è un filosofo del Monos (cfr. Monos:
liberare la morte dalla paure. Viaggio ai dintorni del nichilismo e dell’eterno,
Rubbettino, 2015) e quindi sa bene che oltre al paradigma dicotomico dell’ aut aut oggi dominante ci possono essere,
sia pure marginali, altri paradigmi: «Ma
vediamo ora il paradigma destabilizzante che si sta aprendo con le nuove
impervie avventure conoscitive che io tenderei dunque a veder accentuate, se
non propriamente introdotte, dal terrorismo internazionale». Ma in che senso il
terrorismo di matrice islamista può in qualche modo accentuare «le nuove impervie
avventure conoscitive»?
Potrà mai il fanatismo omicida e suicida dei kamikaze avere,
per una sorta di eterogenesi dei fini, anche una qualche funzione euristica? Vediamo: «Pochi, anzi pochissimi (al Baghdadi, Boko Haram), sono riusciti ad accaparrarsi
l’attenzione ed il timore assoluto del mondo, contrapponendosi alle sue massime
tradizionali “potenze” (USA, Russia, Cina, Europa). Una posizione sconvolgente
che ha saputo esprimere un contropotere enorme chiamando a raccolta i “relativamente
tanti” disseminati un po’ ovunque disponibili ad attuare il terrore a costo
della loro stessa vita. Immaginiamo che questo “miracolo” cresciuto in pochi
anni sia stato reso possibile da “nuovi paradigmi” che la Storia ha
improvvisamente messo lì ad intralciare il nostro classico ed ordinato
pensare». Già, ma che cosa intende Girard con l’espressione «il nostro classico
e ordinato pensare»? Intende quello basato sul principio di sostanza e di non contraddizione, «riferimento cardine
nel quale siamo vissuti finora, prima, per almeno 1500 anni, “cristiano”, poi,
progressivamente, laico». Bene, Girard ci sta dicendo che il terrorismo
internazionale “destabilizza” questo paradigma così rassicurante: «Tendo a
scorgere come espressione paradigmatica di questo sconvolgimento la smentita
della modalità binaria e duale attraverso cui passarono, oltre l’assetto “civile” ordinato e accettato del mondo, anche indicibili orrori della storia:
la smentita della tradizionale precisa identificazione del nemico, islamici per
i crociati, fedeli per gli infedeli, o
viceversa, e così via per tutte le innumerevoli serie di controversie
duali, chiaramente contraddistinte».
Insomma, il paradigma politico duale di Carl Schmitt “amico-nemico” non
regge più, dal momento che il nemico non è più identificabile, in quanto «Passeggiando per strada e, soprattutto nei grandi raduni e concorsi di folla,
ogni vicino potenziale amico può essere un nemico e non c’è nessuna “dichiarazione di guerra” che possa rassicurare nel senso di consentire una
difesa, anzi l’imprevisto coincide con la fonte di ogni potenzialità di
terrore». Questo significa anche che viene meno la distinzione tra tempo di
pace e tempo di guerra: ormai la guerra, come il nemico, può essere tra noi e
scoppiare quando meno te lo aspetti.
CriticaMente di Federico Sollazzo è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
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