mercoledì 12 settembre 2012

Totalitarismo, democrazia, etica pubblica. Intervista a Federico Sollazzo

di Giulietta Iannone (liberidiscrivere@gmail.com)

1. Sei nato a Roma nel 1978, hai compiuto studi scientifici prima di laurearti in Filosofia presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una Tesi dal titolo La concezione marxiana del lavoro alienato e il libero gioco delle facoltà umane in Marcuse. Hai proseguito conseguendo il Dottorato di Ricerca (PhD) in “Filosofia e Teoria delle Scienze Umane” con la Dissertazione Tra totalitarismo e democrazia: la funzione pubblica dell’etica. Parlaci di te, raccontaci parte del tuo percorso di formazione.

Quella di studiare filosofia direi che più che una scelta è stata una risposta ad un richiamo verso qualcosa che risuonava in me, che mi appariva, e mi appare, come famigliare. Dopo il conseguimento della Laurea sono acceduto, tramite concorso, al Dottorato ma dopo il conseguimento di quest’ultimo ho trovato (almeno fino ad ora) impossibile accedere ad una successiva posizione in Italia, tant’è che ho conseguito il Post-Dottorato, parallelamente all’attività di docenza, presso la Scuola dottorale in Filosofia dell’Università di Szeged in Ungheria (dove tuttora mi trovo). Direi quindi, niente di nuovo da segnalare: una formazione svolta in Italia, a carico di questa, e poi il riversamento all’estero delle competenze acquisite, presso chi beneficia così di studiosi già formati da altri.

2. Parlaci del tuo essere un giovane ricercatore italiano all’estero. Hai lasciato l’Italia come tanti giovani vittime della cosiddetta “fuga di cervelli” o è stata una scelta dettata da altre ragioni?

La risposta, purtroppo, è quella di cui sopra. Vorrei solo aggiungere che, benché questo (e molti altri) problema non si risolverà mai modificando i meccanismi reclutativi del personale docente, bensì modificando la mentalità, anche e soprattutto dei docenti, in materia, tuttavia anche i meccanismi hanno il loro peso specifico. In molti Paesi, ad esempio, si usa ufficialmente il metodo della cooptazione, che conferisce al cooptatore un grande potere decisionale ma allo stesso tempo un insieme di doveri, responsabilità, valutazioni a cui è sottoposto ed eventuali sanzioni, qualora egli usi in modo inappropriato l’autonomia decisionale di cui dispone; in Italia, invece, il metodo ufficiale è quello concorsuale, tuttavia il concorso è poco più di una cerimonia d’investimento per un cooptato, con il vantaggio, per il cooptatore, di essere esente da qualsiasi controllo, che invece ci sarebbe qualora la cooptazione fosse ufficiale.

Federico Sollazzo, Totalitarismo, democrazia, etica pubblica. Scritti di Filosofia morale, Filosofia politica, Etica, Presentazione di M. T. Pansera, Roma 2011


3. Dal 2010 sei Ricercatore Postdottorato di Filosofia Morale, Filosofia Politica, ed Etica presso la Scuola Dottorale in Filosofia e il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Szeged (Ungheria). Come ti trovi in Ungheria, come ti sei inserito nella realtà sociale del Paese?

La mia posizione è attualmente in cambiamento, ad ogni modo, per quanto riguarda il versante professionale, basti dire che nessuno mi ha chiesto «con chi ha studiato?» (domanda con la quale abitualmente si intende «chi hai alle tue spalle?», «se ti faccio un favore, con chi entro in credito?») ed hanno “addirittura” voluto leggere il curriculum. Quanto alla vita quotidiana, c’è un atteggiamento di ospitalità nei confronti degli stranieri, e questo credo che in parte sia una reazione, in alcuni casi anche eccessiva, alla situazione politica ungherese del secolo scorso, ma in buona parte credo che sia un tratto tipico del loro comportamento, che la modernità, per ora, non ha cancellato.

4. Sei fondatore e curatore di un blog “CriticaMente” http://costruttiva-mente.blogspot.com che si occupa di Filosofia e teoria delle scienze umane. Che linguaggio divulgativo utilizzi? Come ti poni di fronte ad un ipotetico interlocutore? Che rapporto hai con il web in genere?

“CriticaMente” è nato da una mia esigenza personale, senza pensare quindi al pubblico bensì al mio bisogno di dare spazio e vita a idee e persone che ritengo lo meritino e che sono invece occultate, per un verso dalla proliferazione indiscriminata di comunicazioni insulse (che non silenziano esplicitamente i discorsi significativi, ma li fanno scomparire nel mare magnum della confusione e della banalità), e dall’altro perché non fanno parte del “giro giusto” e delle logiche utilitaristiche che lo presiedono.

5. Con Aracne hai pubblicato da pochi mesi il saggio, Totalitarismo, democrazia, etica pubblica. Scritti di Filosofia morale, Filosofia politica, Etica. Come ti sei documentato? In cosa consiste il lavoro di analisi, di raffronto?

Come sempre avviene, o dovrebbe avvenire, per la saggistica, si parte da un argomento che appassiona particolarmente e lo si approfondisce con quella che si ritiene essere la più scientificamente rilevante, e aggiornata, bibliografia in materia.

6. Totalitarismo e Democrazia. Esiste una terza via?

Credo che le possibili vie si riducano e si moltiplichino a seconda del fatto che si analizzino concetti e fenomeni con uno sguardo critico o con una prospettiva catalogante; credo quindi che possa esistere una terza via, ed infinite altre, solo se si esce da una prospettiva, tipica del razionalismo occidentale, che vuole numerare, catalogare, definire scientificamente, e si recupera la capacità di osservare criticamente l’esistente, non con la ratio ma con il logos: un approccio critico contiene già in sé tutte le possibili alternative.

7. Il totalitarismo novecentesco in che modo pone le basi per il fenomeno oggi chiamato “globalizzazione”?

Credo che vi riferiate ad una parte del mio libro Totalitarismo, democrazia, etica pubblica, a proposito della quale mi permetto di auto-citare un breve passo che penso possa rispondere alla domanda: «L’avere interpretato il totalitarismo novecentesco come uno stadio del complessivo sviluppo capitalistico-industriale, che a sua volta è da collocarsi nel contesto dello svolgimento dell’ideologia occidentale di dominio, consente a Marcuse di intravedere, negli anni Settanta, l’avvento di una nuova fase di tale sviluppo, prefigurando quel fenomeno oggi chiamato “globalizzazione”».

8. Nel tuo testo analizzi le ragioni di fondo della Shoah, imputando ai meri esecutori di queste atrocità un decadimento delle facoltà di giudizio, facoltà che avrebbe creato una coscienza critica capace di opporsi e rifiutare gli ordini ricevuti. Gli errori del passato possono ancora ripetersi. Quali sono gli antidoti?

Un decadimento della facoltà di giudizio rende meri esecutori, funzionari, incapaci di comprendere e valutare ciò che viene chiesto di eseguire, poiché neanche ci si pone la questione, e quindi capaci di eseguirlo sempre con lo stesso distacco ed efficienza. In sintesi, ritengo che i totalitarismi novecenteschi siano solo una fase di un complessivo sistema di dominio costantemente in fieri; una fase ormai obsoleta, nella quale il dominio sugli individui passava attraverso un assoggettamento della dimensione esteriore, l’inserimento dei comportamenti in determinate pratiche disciplinatorie, che però, dato il loro superficiale e vuoto formalismo, non è garantito che producano un’introiezione di tali modelli disciplinatori; oggi invece, il dominio sugli individui viaggia attraverso la produzione di soggettività, tramite articolati, multiformi, policentrici dispositivi che inducono ad indossare una sorta di identità preconfezionata, quindi inautentica, divenendo così dei personaggi, dei gehleniani “titolari di funzioni”, dei marcusiani “uomini ad una dimensione”, dei foucaultiani “normalizzati”.

9. La libertà è ancora possibile nell’epoca moderna? Quali sono i suoi veri nemici?

Vi sono dei termini, come ad esempio quello di libertà, che sono talmente vasti che prima di iniziare dei ragionamenti su di essi bisognerebbe definire con precisione cosa intendiamo quando li nominiamo. In via approssimativa, credo che si possa dire che i nemici di tali termini e concetti siano coloro che ritengono che li si possano affrontare facilmente, ignorando la loro genealogia e quindi le complesse stratificazioni di cui sono depositari, appiattendoli su un unico significato.

10. Il potere ha quasi un’accezione “negativa” soprattutto quando da strumento diventa fine. C’è un accezione “positiva” del potere?

Più che fra un’accezione positiva ed una negativa, tenderei a distinguere tra un’accezione (di derivazione francofortese) del potere come dominio, ed una (di derivazione foucaultiana) del potere come relazione. Nel primo caso abbiamo a che fare con un sistema (che oggi, a differenza del passato, ritengo si sia autonomizzato, emancipandosi da chi l’ha prodotto e rispondendo solo alle proprie logiche interne) con un fine preciso, nel secondo con un insieme di dispositivi che si (ri)producono spontaneamente; ritengo che oggi queste due modalità (potere come dominio e potere come relazioni) siano in atto contemporaneamente.

11. Norberto Bobbio afferma che «La democrazia, o è la società aperta, in contrapposto alla società chiusa, o non è nulla, un inganno di più». Come ti poni di fronte a questa affermazione?

Nella prospettiva di un teorico della politica, illuminista, è un’affermazione sacrosanta. Tuttavia, mi permetto di rilevare come sia oggi urgente una chiarificazione linguistico-concettuale del termine democrazia, a proposito del quale, sembra che tutti sappiano talmente evidentemente cosa essa sia, da non essere più necessario soffermarsi sul suo significato, che viene così a ridursi in un apparato di meccanismi politici, sulla sua etimologia e sulla irriducibile differenza che c’è tra il riferire questo termine al mondo antico o alla modernità.

12. Quali sono i tuoi punti di riferimento? Ci sono pensatori, ricercatori che ti hanno ispirato, che in un certo senso ti sono stati maestri?

Tutti gli autori che ho citato nel recente libro Totalitarismo, democrazia, etica pubblica, sono per me, ciascuno a suo modo, importanti (credo che a un certo livello non vi siano differenziazioni gerarchiche, ma di merito); inoltre, piuttosto che per autori, preferisco muovermi per argomenti, teoria critica della società, genealogia e critica della modernità, sono le tematiche che più mi appassionano.

13. In che modo ritieni che il tuo saggio Totalitarismo, democrazia, etica pubblica sia innovativo e possa costituire un valido oggetto di studio a livello universitario?

Di fronte al proliferare nella modernità di significativi discorsi filosofici, che rischiano però di manifestarsi come tessere di un mosaico difficile da osservare nella sua interezza, credo sia utile ricostruire una sorta di mappa filosofica della modernità, rivolta a tutti gli interessati alla questione (in primis, studenti e studiosi); al termine della ricostruzione di ciascun “tassello” (il libro è infatti costituito da una serie di saggi autonomi, suddivisi in grandi ambiti argomentativi, Filosofia Morale, Filosofia Politica, Etica, che rendono sinteticamente la complessità dell’esistente) è poi offerta al lettore una nuova possibilità interpretativa.

14. In che misura la filosofia può aiutare l’uomo moderno?

Su questo credo si debba essere molto cauti, per non banalizzare la riflessione filosofica rendendola una sorta di terapia che scimmiotta la psicologia, che a sua volta scimmiotta la scienza, che a sua volta non è altro che un'oggettivazione della realtà per dominarla; diversamente, credo che la riflessione filosofica possa recare soddisfazione a chi la pratica (e così, come una sorta di indiretta e accidentale conseguenza, un miglioramento della propria condizione di vita) se è intesa come sguardo critico sulla realtà, non soggiacente ad alcuna legge, regola o norma (ratio) ma possibile solo con il ragionamento, l’argomentazione (logos).

15. Spunti di studio futuri.

Come accennavo, credo (e su questo vorrei lavorare in futuro) che le istituzioni e i meccanismi politici siano sempre storici, e che derivino gravi problemi dal confondere un mezzo, gli automatismi politici, con il fine, la tensione alla giustizia (o meglio, alla giustezza – da questa prospettiva, si deve quindi tenere ferma una differenza irriducibile tra la democrazia e le democrazie), per questo ritengo che i meccanismi politici occidentali di oggi necessitino di essere profondamente ripensati e radicalmente riconfigurati (è evidente, ad esempio, come essi non assicurino nessun filtro qualitativo – essendo basati sulla falsa sinonimia tra quantità e qualità – e come riproducano quei privilegi per combattere i quali nacquero), in direzione della comprensione in essi di criteri qualitativi (che non degradino in gerarchizzazioni despotizzanti); ma per far questo, è necessario partire da una preliminare riflessione antropologica.

(«Letterattitudine», e «Terzapagina», 26/09/2011)

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