di Patrizio Paolinelli (patrizio.paolinelli@gmail.com)
Trame esili. Personaggi tagliati con l’accetta. Passioni travolgenti. Il bene da una parte e il male dall’altra. Di cosa stiamo parlando? Del romanzo d’appendice. Per la precisione del ritorno sulla scena di Carolina Invernizio (1851–1916) di cui l’editore Avagliano ha appena pubblicato Peccatrice moderna (tascabile di 343 pagg., 14,50 euro).
Forse il nome della Invernizio dice poco al pubblico odierno. Ma tra fine ‘800 e primi del ‘900 questa donna è stata un’incredibile macchina da best-seller: 123 libri in quarant’anni di carriera e milioni di copie vendute in Italia e all’estero. Certo, si tratta di romanzi rosa, scrittura “di servizio”, letteratura minore. Anzi, per i critici del suo tempo non si poteva neppure parlare di letteratura. Mentre negli anni ’70 del secolo scorso avevamo assistito a una prima rivalutazione della scrittrice sull’onda dell’interesse della critica per la cultura di massa. La sua narrativa si ispira infatti alle storie d’amore, al gotico, al giallo, tanto che cinema e televisione adattano diversi suoi lavori. Poi di nuovo l’oblio. Ma agli inizi di questo nostro XXI secolo ecco Invernizio riemergere. Probabilmente non avrà l’immenso successo popolare di cui ha goduto quando era in vita. Ma è significativo che venga oggi riproposta una scrittrice che appartiene a un altro mondo. Il mondo dell’Italia umbertina che la espelle dal collegio per aver pubblicato sul giornale scolastico un racconto di “perdizione”. Bramosia, pene d’amore e strazianti drammi interiori sono tra gli ingredienti essenziali dei suoi lavori. Ingredienti che troviamo enfatizzati nella trama di Peccatrice moderna.
La peccatrice è la gentildonna Sultana Flaminio, decaduta contessina andata in sposa all’avvocato Bruno Sigrano. Uomo mai amato dal quale ha due figli e la cui ricchezza le permette di condurre una vita agiata nell’alta società torinese. Dietro una maschera di perbenismo e un’indiscussa reputazione Sultana nasconde la realtà di una donna dalle passioni torbide, incontrollabili e tempestose. Tanto tempestose da arrivare a sparare in fronte ad Alceste Bianco, lo chauffeur di casa Sigrano, con cui ha una relazione. Come se non bastasse è anche l’amante di un giovane ufficiale, Mario Herbert, che dopo l’omicidio dell’autista – fatto passare dalla diabolica Sultana per un incidente – decide di troncare la relazione clandestina. Sultana non ci sta. E’ una dominatrice e il demone della passione si è impadronito di lei. Ha bisogno di Mario come dell’aria per respirare: simile a Dioniso porta il disordine dove regna l’ordine. A ripristinarlo è Anna Maria, tenera fidanzata di Alceste, che con calcolata perseveranza sottrae il bell’ufficiale dalle grinfie della peccatrice, lo sposa, gli dà un figlio. Seguono alterne vicende e alla fine Sultana non paga per il suo delitto e continua a vivere nell’ipocrisia.
Con Invernizio l’innocenza vince. Perché questo cliché viene riproposto oggi in un mondo che ha completamente perduto l’innocenza? Perché gli esseri umani sono essenzialmente creature emotive e hanno uno spasmodico bisogno di evadere la realtà. E più la realtà è corrotta più aumenta il bisogno di sognare la purezza. Ma oggi anche i sogni sono imprigionati. Imprigionati da un marketing che costruisce a tavolino mode, desideri, personaggi. Artificio che va avanti da troppo tempo e ormai l’industria culturale (cinema, Tv, pubblicità, ecc.) non sa più cosa inventare per stupire il pubblico. In nome del fatturato tutti i tabù sono caduti, l’intimità è estinta e il privato è quanto di più pubblico ci sia. Oggi non c’è più nulla di cui arrossire. E allora Invernizio torna a svolgere una sua funzione sociale: riproporre una struttura dei sentimenti andata perduta da quando il corpo e le emozioni sono diventati oggetti da spremere in nome del business o per avere un surrogato di personalità in mancanza di una propria autonomia soggettiva.
Al di là della venatura tradizionalista, dichiarata sin dal titolo, Peccatrice moderna offre al lettore di oggi significati di cui ha forte bisogno e solo un vago sentore: il senso del pudore, i turbamenti della coscienza, una precisa idea di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Sotto questo profilo i libri della Invernizio – come quelli di Liala e della Peverelli – offrono un compatto mondo della vita quotidiana e una solida rete di legami che la post-modernità ha definitivamente distrutto. Si pensi a un dettaglio: lo sguardo. Sultana e i suoi amanti, Anna Maria e Mario si parlano con gli occhi. Un linguaggio andato perduto nell’epoca dei pantaloni a vita bassa e del desiderio rimasto senza parole.
(«VIAPO», 19/11/2011)
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