CriticaMente di Federico Sollazzo è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale. Follow me on Academia.edu
giovedì 30 dicembre 2021
La filosofia come impiego
CriticaMente di Federico Sollazzo è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale. Follow me on Academia.edu
martedì 30 novembre 2021
Marcuse lettore de L’être et le néant di Sartre
di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)
Abstract: In this article I analyze the Marcusian critique to the famous book of Sartre L’Être et le Néant (1943), appeared (in 1948) in Philosophy and Phenomenological Research. In his review on the book of Sartre, Marcuse doesn’t deny some points of contact between him and the French thinker. However, Marcuse harshly criticizes the Sartrean Existentialism that, for the philosopher of Frankfurt, turns historical-materialistic elements in ontological ones, because of a wrong use of the philosophy of Hegel and Heidegger, and overlaps the individualistic level with the social one, loosing so the extremely important differentiation between them. The aftermath of this Sartrean lack of philosophical rigor is, for Marcuse, the confusion about, or even the loosing of, the realistic possibilities to change the concrete human condition.
Keywords: Jean-Paul Sartre, Herbert Marcuse, Existentialism, Materialism.
A. Camus, Il mito di Sisifo
Nel 1948, a cinque anni di distanza dalla pubblicazione del libro di JeanPaul Sartre, sulla pagine del n. 3 della rivista «Philosophy and Phenomenological Research» Herbert Marcuse dedica una lunga recensione a L’Être et Néant, in cui estende la sua analisi all’esistenzialismo sartriano in toto*.
*Cfr. H. Marcuse (Existentialism: Remarks on Jean-Paul Sartre’s L’Être et le Néant, 1948; ristampato come Sartre’s Existentialism in Studies in Critical Philosophy, 1973) Esistenzialismo. Note sull’Essere e il nulla di Jean-Paul Sartre, in Id., Cultura e società. Saggi di teoria critica 1933-65, trad. it. di C. Ascheri, H. Ascheri Osterlow, F. Cerutti, Torino, Einaudi 1969, pp. 189-222 (d’ora in poi nel testo come E, seguito dal numero di pagina dell’edizione originale) e J-P. Sartre (L’Être et le Néant. Essai d’ontologie phénoménologique, 1943) L’essere e il nulla. La condizione umana secondo l’esistenzialismo, trad. it. di G. Del Bo, Milano, Il Saggiatore 2008. Va subito precisato come Marcuse nel suo testo non distingua tra esistenzialismo sartriano o di altro tipo; l’aggettivazione sartriano è da me utilizzata nel presente testo per dar conto della presenza di altre posizioni, come ad esempio quella di Albert Camus, che pur ponendosi nell’alveo dell’esistenzialismo non possono essere imputate delle stesse critiche che Marcuse rivolge a Sartre (questione sfuggita o forse semplicemente elusa dal filosofo francofortese che nel suo scritto perseguiva altri obiettivi; lo stesso Marcuse infatti alla nota 5 del suo articolo avverte: «Unless otherwise stated, “existentialist” and “Existentialism” refer only to Sarte’s philosophy»). Per questo Marcuse scrive di un rifiuto dell’esistenzialismo da parte di Camus, rifiuto che io mi permetto invece di proporre che sia dell’esistenzialismo sartriano: «Camus rejects existential philosophy: the latter must of necessity “explain” the inexplicable, rationalize the absurdity and thus falsify the reality. To him, the only adequate expression is living the absurd life, and the artistic creation, which refuses to rationalize (“raisonner le concret”) and which “covers with images that which make no sense” (“ce qui n’a pas de raison”). Sartre, on the other hand, attempts to develop the new experience into a philosophy of the concrete human existence: to elaborate the structure of “being in an absurd world” and the ethics of “living without appeal”)», E, p. 310. Emblematica, a questo proposito, la breve pièce teatrale camusiana, evidentemente riferita a Sartre, (L’impromptu des philosophes, non datato, probabilmente 1947) L’improvvisazione dei filosofi, trad. it in «MicroMega» (numero monografico decicato a Camus nel centenario della nascita intitolato L’intellettuale e l’impegno e contenente fra gli altri testi camusiani, come quello qui citato, inediti in italiano), n. 6, 2013, pp. 159-183.
– Continua su Analele Universităţii din Craiova, Seria: Filosofie (qui nella versione estratta dalla rivista, su Marcuse.org)
CriticaMente di Federico Sollazzo è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale. Follow me on Academia.edu
domenica 31 ottobre 2021
"Le nuove forme del potere". Intervista al filosofo Federico Sollazzo
CriticaMente di Federico Sollazzo è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale. Follow me on Academia.edu
mercoledì 8 settembre 2021
I poeti laureati, ovvero l'uomo che se ne va sicuro
lunedì 16 agosto 2021
Anarchia del potere e modello di realtà in Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini: conversazione con Federico Sollazzo
CriticaMente di Federico Sollazzo è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale. Follow me on Academia.edu
giovedì 29 luglio 2021
Totalitarismo, democrazia, etica "Rai Educational – Filosofia"
martedì 29 giugno 2021
Giancarlo Calciolari intervista il filosofo Federico Sollazzo sulla questione Martin Heidegger
lunedì 31 maggio 2021
Della (non-)filosofia
CriticaMente di Federico Sollazzo è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale. Follow me on Academia.edu
venerdì 30 aprile 2021
Un'indagine filosofica sul mondo attuale
lunedì 29 marzo 2021
Un'indagine filosofica sul mondo attuale
mercoledì 17 febbraio 2021
Un'indagine filosofica sul mondo attuale
di Fulvio Sguerso (fulviosguerso@libero.it; II di 4)
(QUI la prima parte)
Noi diciamo ancora guerra, ma la guerra di oggi non è più quella di ieri, quando «Nel paradigma binario il nemico era, di massima, magari successivamente variato, ma poi assestato, sempre di fronte e ben percepibile»: di qua noi, di là loro; di qua gli amici, i compagni, i fratelli, di là i nemici; di qua dal fiume la nostra madrepatria, di là la loro: due (o più) patrie, due (o più) nazioni, due (o più) popoli, due (o più) Stati, con i rispettivi eserciti, le rispettive burocrazie, istituzioni, finanze, chiese, scuole, accademie, giornali… che si fronteggiano in armi… Quelli sì che erano bei tempi: non ci si poteva sbagliare riguardo a dove stesse il nemico (però qualcuno già allora insinuava il sospetto che il nemico non fosse davanti ma dietro): «La guerra come espressione di Stati e confini e con i suoi vari corollari ideologicamente pregni d’idealità assolute, fondava la sua stessa esistenza su una sicura esistenza del nemico»; dal che si deduce che, nel malaugurato caso in cui non ci fosse, per la salvaguardia della nostra preziosa identità (nonché della nostra salute mentale) bisognerebbe inventarlo (cfr. Umberto Eco, La costruzione del nemico, Bompiani, 2011). Ma oggi, come si è visto, il nemico può materializzarsi ovunque, tanto che «come sede d’insicurezze sconvolgenti bastano le masse anonime di una partita di pallone. Soprattutto su un terreno di cultura di più di un miliardo di potenziali “credenti” cui attingere, e con un impianto ideologico monoteisticamente fondato... le possibilità di difesa scompaiono alla vista e si affidano ai lavori di copertura di servizi di “intelligence” cui un po’ fideisticamente affidarsi. Già questo dover contare sull’“invisibile” di un supporto non ben identificato accresce l’insicurezza dello sguardo al mondo da parte di ciascuno, “affratellato” nella paura e “solo” nel regime di un’imprevedibile possibilità di difesa». Oltre che, ovviamente, di offesa.
In altri termini Girard ci vuol dire che il mondo attuale ha perso, anche a causa del terrorismo internazionale, le sue certezze, o meglio, le sue illusioni ireniche: altro che la fine della storia nel regime liberaldemocratico, oltre il quale, secondo il politologo statunitense Francis Fukuyama, non ci sarebbe stato niente di meglio per l’uomo! Dopo la fine della guerra fredda e la caduta del muro di Berlino sembrò per un momento che potesse cominciare finalmente un’epoca di convivenza veramente pacifica tra i popoli della terra, ma l’illusione durò l’espace d’un matin: al vecchio ordine bipolare (peraltro basato sul cosiddetto “equilibrio del terrore” dovuto alla possibilità non solo teorica dell’uso delle armi atomiche da parte delle due superpotenze) è subentrato il nuovo disordine mondiale; l’unificazione del mondo sotto il dominio dell’economia di mercato e della superpotenza rimasta padrona del campo dopo il crollo dell’ Unione Sovietica, cioè gli Stati Uniti d’America, è stata messa in questione non più dal conflitto tra Oriente comunista e Occidente capitalista ma tra il sovrappopolato e povero Meridione e il ricco e “decadente” Settentrione del mondo, nonché dall’inaudito e sconvolgente attacco del terrorismo islamista internazionale. Questa nuova situazione di instabilità e di conflittualità generalizzata e permanente, questa perdita delle coordinate geopolitiche insieme ai tradizionali punti di riferimento religiosi e anche alla fede nel continuo e irreversibile progresso scientifico di matrice illuministica e positivistica non poteva evitare ricadute sulla stabilità psicologica dei singoli “abitatori del tempo” (per usare un’espressione di Emanuele Severino) odierno. La messa in questione delle certezze acquisite, del paradigma dualistico per cui c’è netta separazione tra l’essere e il nulla, tra bene e male, tra vero e falso, tra giusto e ingiusto, tra bello e brutto e, persino, tra vita e morte, non è semplicemente un tratto caratterizzante del nostro tempo privo di conseguenze, ma è causa di un diffuso disagio psichico, come dimostra il fiorente mercato dell’aiuto psicoterapeutico: «La crisi di significato fa allora strutturalmente ingresso in una psicologia che entro certi limiti rinuncia alle certezze e si attesta su un fronte di resistenza più arretrato, fino a far risuonare come garanzia paradossale di sopravvivenza al meglio la capacità di una “accettazione profonda di un mondo incerto”. Questa è oggi la traccia essenziale delle terapie psicologiche».