di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)
(Stefano Pignataro)
A quarant’anni dalla sua realizzazione, il film Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini, il suo film testamento, il film che lucidamente descrive un’intera classe sociale ed umana alle prese con il problema ancestrale dell’anarchia del potere e della divisione in tra possessione e privazione, libertà e schiavitù, è stato nuovamente posto oggetto di studio e di critica.
Con il professor Federico Sollazzo dell’l’Università di Szeged, (Ungheria), si è provato a comprendere meglio l’universo di Salò, (perché di Universo si tratta): letterario, cinematografico, simbolico ed artistico.
Anarchia del potere “Noi fascisti siamo i soli veri anarchici”. Da questa frase del Duca, interpretato da Paolo Bonacelli, si ricava l'essenza del film. In che luce, filosofica, onirica o politica deve essere vista l'anarchia del potere in Salò?
(Federico Sollazzo)
Credo che lo sguardo di Pasolini si sforzi sempre di essere realistico, il che è perfettamente compatibile con una lettura filosofica, onirica o politica. Ovvero, per Pasolini l’anarchia del potere e, si badi, la conseguente inesistenza della storia, non significa assenza di regole, bensì la capacità del potere di darsi da sé le proprie leggi. Nel film c’è una significativa scena in tal senso: quando i gerarchi fascisti annunciano ai ragazzi le ferree regole che vigeranno nella villa, arbitrariamente decise dai gerarchi stessi. Questa dimensione anarchica del potere, ancor più che nel fascismo, risulta evidente nella società dei consumi. Il fascismo infatti è ritenuto essere dall’autore nient’altro che “un gruppo di criminali al potere” che non ha determinato mutamenti nel corpo e nella coscienza degli italiani; solo la società dei consumi “manipola i corpi in un modo orribile […] Li manipola trasformandone la coscienza (istituendo così) un nuovo modello umano”.
Ma attenzione, non si deve ritenere che per Pasolini il potere sia anarchico perché semplicemente fa quel che vuole. Se il discorso fosse così lineare, allora sarebbe sufficiente voltare le spalle al potere e non prestargli ascolto per disinnescarne l’anarchia, facendolo così inceppare e collassare. Per Pasolini invece il potere è anarchico in un senso molto più profondo e articolato ovvero, non semplicemente perché fa ciò che vuole, ma perché produce preliminarmente le condizioni affinché possa poi fare quel che vuole fare, produce la propria stessa legittimità e, ancor più radicalmente, produce un’umanità che desidera quel che esso stesso vuole fare. Salò è del 1975, ma questo tema è presente fin da Mamma Roma del 1962, dove infatti è la protagonista a spingere il proprio figlio verso la società borghese. Come a dire che il nuovo Potere (quello senza volto e pertanto scritto con la P maiuscola) non ha più bisogno di rincorrere gli individui ma è tale per cui sono gli individui stessi ad andare da lui, a desiderarlo, a volerne far parte; esattamente questo dà al potere la possibilità di essere anarchico.
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