mercoledì 13 novembre 2024

L’intelligenza artificiale. Cui prodest?

di Leonardo Conti (conti.leonardo@hotmail.it)

Devo premettere che non sono del tutto contrario all’intelligenza artificiale. Avere dei computer che prendono decisioni da soli potrebbe essere utile. Nello specifico potremmo aver bisogno di qualcuno che prende le decisioni in nostra vece quando siamo assenti od occupati a fare altro, impossibilitati ad agire oppure quando la situazione è talmente ingarbugliata che ci troviamo in un tale ginepraio che, come si suol dire, “come fai sbagli”.
 
AI
Potremmo immaginare molti campi di applicazione, ma lascio al lettore immaginare gli utilizzi possibili. Io penso che sfruttare l’intelligenza artificiale così come utilizziamo altre macchine (per esempio un auto o un telefono), vale a dire per aiutarci nei nostri compiti quotidiani e anche, perché no?, per i nostri svaghi, sia una cosa utile. Semplicemente sono quelli gli scopi, come di tutte le nostre invenzioni, dal fuoco in poi.

venerdì 1 marzo 2024

La forma odierna del potere

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

 La forma odierna del potere – Discussione con i filosofi Francescomaria Tedesco e Federico Sollazzo


sabato 16 dicembre 2023

Tutto scorre, nulla si crea, nulla si distrugge… a parte una cosa!

di Leonardo Conti (conti.leonardo@hotmail.it) 

Sai cos'è un piumino?

Una trapunta.

Una coperta, solo una coperta. Perché due come te e me sanno cos'è un piumino? È essenziale alla nostra sopravvivenza nel senso cacciatore-raccoglitore? No, allora cosa siamo?

Siamo... Che so? Siamo consumatori? 

Prendo in prestito un breve dialogo di un film che molti di voi avranno visto, vale a dire Fight Club (regia di David Fincher, 1999), non perché mi importi molto di cosa sia un piumino o di come sopravvivano i cacciatori-raccoglitori.
Semplicemente, perché c’è una domanda.
Una domanda fondamentale: “allora cosa siamo?”.
E l’interlocutore risponde: “siamo consumatori?”
Esatto.
Anzi noi non siamo “consumatori”, siamo “sprecatori”, passatemi il neologismo.
La natura, vale a dire l’ambiente in cui siamo immersi, ammette la consumazione e, seppur più a fatica, anche lo spreco.
Il fiume, scorrendo su una pietra, consuma la roccia e deposita il minerale a valle. Quel minerale, mescolato ad altri elementi, aiuterà una pianta a crescere, la pianta verrà mangiata da un erbivoro, ecc. Oppure trascina una foglia, la foglia viene aggredita da batteri e funghi, si decompone e otteniamo gli elementi di cui è composta e arriva il solito erbivoro.
Sto dicendo un’ovvietà, vero?
Nel V secolo a.C. un filosofo di nome Eraclito diceva “panta rhei”, tutto scorre[1]. Pare perfetto per il discorso fatto poc’anzi.

Sulla base di questo concetto, nel 1700 il grande chimico e biologo francese Antoine-Laurent de Lavoisier, formulò questa legge di natura: “Tutto scorre, nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”[2]. Ancora più perfetto.
Tutto si trasforma, diventa altro, diventa qualcosa che un essere vivente o un agente impiega. La terra d’altra parte è composta da materiali sminuzzati. E più i materiali sono vari, meglio è. Poco, pochissimo riesce a resistere al tempo.
Del resto noi abbiamo pochissimi resti dal passato del nostro pianeta.
Abbiamo fossili, è vero, ma la fossilizzazione è comunque una trasformazione: le sostanze organiche, ossa, denti, conchiglie, eccetera, vengono sostituite nei millenni da roccia.
Un osso fossile, nella stragrande maggioranza dei casi, non è un osso, ma una pietra che ha la forma di un osso. E la fossilizzazione è un fenomeno tutto sommato raro, si realizza perché gli agenti decompositori non fanno in tempo a scomporre il corpo. Anche i mammut congelati in Siberia sono altro dalla forma originaria, sono carne congelata, che andrà a male rapidamente, se non si prendono opportune precauzioni.
Se andiamo più in là con gli anni, non abbiamo molti resti del passato, della nostra antichità. Particolari condizioni, vedi, per fare qualche esempio, la secchezza del deserto egiziano o il risultato delle disastrose eruzioni del Vesuvio o il ghiaccio in una valle alpina, hanno preservato delicate sostanze organiche nel tempo. Ci vuole fortuna, o nel caso di manufatti umani restaurati (un libro o un dipinto, per esempio), impegno e perizia.
È il tempo, con la sua azione inesorabile, a macinare tutto, perfino le pietre. Perfino l’uranio, una delle sostanze più radioattive di tutte, decadrà e si trasformerà in innocuo piombo. Ci vorranno decine di migliaia di anni, d’accordo, ma succederà.
Tutto, o quasi.
Perché l’uomo, fra le sue invenzioni mirabolanti che facilitano (o in alcuni casi complicano) la sua vita di tutti i giorni, ha inventato un materiale praticamente eterno: LA PLASTICA.
Allora potremmo modificare i postulati di Eraclito e di Lavoisier in questo modo:
Tutto si trasforma, nulla si distrugge… tranne la plastica.
Quando fu inventata si gridò con ogni probabilità al miracolo: una sostanza, economica, leggera, resistente, igienica, eterna. L’ideale insomma.
Ma anche una sostanza che la natura non aveva previsto e che non riesce a smaltire.
Difatti, al giorno d’oggi siamo invasi dalla plastica.
Soprattutto dalla plastica usa e getta, un vero flagello.
La troviamo dovunque e non sappiamo che farcene. Affolla le nostre spiagge, i nostri prati, i nostri boschi.
Una sorta di isola gigantesca, la Pacific Trash Vortex, è costituita da rifiuti plastici accumulati dalle correnti marine. Si trova nell’Oceano Pacifico, è grande forse più della superficie di tutti gli Stati Uniti (circa 10 milioni di km quadrati), per un peso stimato di 100 milioni di tonnellate.
Un accumulo di rifiuti immane, inimmaginabile.
E non solo: la plastica ormai entra dappertutto. Sminuzzata la troviamo nella carne degli animali che mangiamo (inutile dire che probabilmente è anche nella nostra), nei ghiacci eterni sulle montagne o ai poli. Perfino negli abissi marini. Niente può sfuggire a questa invasione incontrollata.
E non sappiamo, ripeto, cosa farcene.
Perché il legno può essere bruciato, la ceramica sminuzzata, il vetro e i metalli rifusi e rimodellati. La plastica no. Possiamo bruciarla, ma, senza accorgimenti, diventa ancora più tossica. Possiamo in parte riciclarla ma non siamo in grado di ricreare lo stesso materiale di prima.
E continuiamo ad usarla: l’imballaggio per una banale bistecca che i nostri nonni, senza morirne, avvolgevano nella carta, è di plastica. Un sacchetto di frutta che prima era di carta adesso è di plastica. Una scatola di biscotti, una volta di latta, è ora di plastica. Un tubetto di dentifricio, una volta di alluminio, è di plastica. I piatti, i bicchieri, le posate sono di plastica.
Non abbiamo molti suppellettili, indumenti o imballaggi dei nostri nonni, tranne quello che, per caso o per volontà precisa, si è conservato.
I nostri nipoti, invece, avranno con ogni probabilità un sacco di oggetti che ci sono appartenuti.
È dovunque, ci avvolge, soffoca l’ambiente, è eterna. È un incubo per la natura.
Chi scrive, passeggiando per la campagna o i boschi, si riempie spesso le tasche di rifiuti plastici trovati qua e là, per gettarli correttamente nel cestino.
Quanti anni hanno? Da quanto tempo sono lì? Sembra da ieri, ma magari sono lì da decenni.
I nostri pro-pro-pro-pronipoti (se mai ce ne saranno) troveranno oggetti di plastica intatti e quasi perfettamente utilizzabili (magari dopo una ripulita).

sabato 21 ottobre 2023

Cosa è una vita estatica?

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Cosa è una vita estatica?
Un mondo che divide, e in maniera binaria e manichea, tra conoscenza scientifica e pseudoconoscenza, pone questa domanda in maniera sarcastica, derisoria o con sincera incomprensione di cosa stia chiedendo.
Se qualcuno potesse rispondere definendo cosa sia l'estasi sarebbe già al di fuori dall'estasi stessa, quindi cosa essa sia è irrispondibile così come indomandabile, la domanda e la risposta, infatti, possono tutt'al più riferirsi agli esiti e alle tracce dell'estatico, non certo all'estasi in quanto tale.
Una vita estatica è quindi una vita che sa che la propria cifra resta sempre altrove rispetto a se stessa, condizione questa di ogni vita, e che si pone in un conseguente atteggiamento di ascolto verso quell'altrove. Come?

venerdì 1 settembre 2023

Un parere?

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Recentemente mi è stato chiesto un parere di lettura su un testo di critica filosofica, ho accettato per il rapporto amichevole con l'autore, ma la cosa mi è pesata poiché non mi sento (più) adatto (ammesso che in passato lo fossi) a fornire pareri del genere, ovvero su testi in cui la critica filosofica è preponderante rispetto alla parte filosofica vera e propria, testi in cui la formulazione di una proposta filosofica è necessariamente basata su una precedente opera di critica. Sono ben consapevole che questa sia la tendenza accademica (e non) odierna (diventata dominante nell'ultimo secolo), dalla quale a volte si tenta di prendere le distanze dicendo cose eccentriche, di maniera, compiendo l'errore speculare uguale e contrario, e sono quindi ben consapevole di trovarmi in una posizione di minoranza.

Ad ogni modo, riporto qui di seguito l'estratto di alcune annotazioni contenute in quel mio parere, perché credo che indichino dei temi sui quali sia interessante riflettere.

I. Definirei bene i concetti ai quali ci si riferisce prima di iniziare a lavorarci ma attenzione, non tanto dicendo cosa quei termini abbiano rappresentato per Tizio e Caio, bensì cosa rappresentino per chi scrive, adesso, nell'economia del suo discorso.

venerdì 14 luglio 2023

Il Silenzio si fa Voce in molti modi

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)
 
Il Silenzio si fa Voce in molti modi.
Quella che segue è una parodia sullo stato attuale di quella che passa per cultura. Ma, come Pulcinella, scherzando si dice la verità.
Essenzialmente, quel che conta è che i personaggi sono venuti da me, non sono andato io da loro.
Proprio così come leggendo un'opera di vera filosofia (o di fronte ad un'altra qualsiasi opera d'arte), solo letteralmente, alfabeticamente, grammaticalmente si può andare dall'opera, ma essenzialmente è l'opera che, eventualmente, viene da noi; pertanto non chi la computa, ma solo chi ha la fortuna di essere scelto dall'opera stessa per il manifestarsi del suo senso, la comprende, e proprio per questo non può dirne qualcosa, ovvero può solo lasciare che appaia il nulla; al nulla ci si può solo girare intorno dicendo niente.
Quanto ai personaggi (che nella mia follia vorrei che mi venissero a visitare ancora) mi rendo conto ex post che non sono apparsi a caso.
Ve li presento brevemente, per come li ho conosciuti io; ovvero, appunto, giro attorno al nulla.
 
Rico Fede
Chiaramente mio alter ego. Diffusore culturale, perché oggi la cultura non la si divulga più (e già quella era una blasfemia), ma la si diffonde negli ambienti per renderli più gradevoli, come un profumatore spray.
 
Lesperto
Perché oggi non esistono più uomini di cultura, ma solo esperti di qualcosa. Non usa l'apostrofo perché oggi bisogna essere veloci e questa velocità gli impedisce anche di essere consapevole della sua ignoranza. È cool. A differenza dell'uomo d'arte, che dice il niente per lasciar apparire il nulla, lui non dice letteralmente niente, e anche quando dice qualcosa è come se letteralmente non avesse detto niente.
 
ILPUBBLICO
Massa uniforme e indistinta che si scrive quindi tutto in maiuscolo e senza spazio. Il soggetto per elevare il livello del quale il diffusore culturale fa da mediatore con lesperto, e il cui livello è, non contraddittoriamente e non paradossalmente ma coerentemente e consequenzialmente, proprio quello derivante dall'azione congiunta del diffusore e de lesperto: ipersemplificazione del niente con perdita di sensibilità nella percezione del nulla e conseguente decadimento di tutto.

mercoledì 21 giugno 2023

Et in Italia ego

di Fulvio Sguerso (fulviosguerso@libero.it)
 
Solo in questo nostro Paese di atei devoti e dai facili entusiasmi per i demagoghi di turno, credo, avrebbe potuto attecchire e prosperare un fenomeno come quello del berlusconismo, cioè di un misto di peronismo, populismo e cesarismo in salsa familistico-aziendale. Personalità indubbiamente carismatica e anche per questo divisiva, così in vita come in morte, Silvio Berlusconi è ancora oggetto di accese polemiche mediatiche: “Ha vinto lui” (La Verità); “La Repubblica del Banana” (il Fatto Quotidiano), come si vede si va da un estremo all’altro, dagli Osanna agli anatemi; dal Santo subito a Che l’inferno ti sia lieve; da Unto del Signore a Corruttore seriale, insomma Berlusconi è stato ed è a tutt’oggi una figura controversa dalla personalità multipla e trasmutabile in tutte le guise: segno d’immensa invidia / e di pietà profonda, / d’inestinguibil odio / e d’indomato amor.
 
 – Continua su Trucioli savonesi
 

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mercoledì 31 maggio 2023

Dare un senso alla vita può condurre a follia

di Leonardo Conti (conti.leonardo@hotmail.it)

Dare un senso alla vita può condurre a follia,
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio.
È una barca che anela al mare eppure lo teme.

Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, trad. di Fernanda Pivano, Einaudi, 1943.

Il senso della vita… una domanda vecchia come il mondo.
Nasciamo, cresciamo, ci riproduciamo, moriamo. La natura ci dice questo, gli esseri viventi, in soldoni, fanno così. Siamo esseri viventi anche noi, dopotutto.
Siamo anche esseri pensanti, altresì, e come tali, dobbiamo dare un senso alla vita. Ne sentiamo il bisogno.
Ma dare un senso alla vita, come dice la poesia citata, porta alla follia. Proprio perché non ha un senso, alla fine. Nascere e morire in continuazione, ogni giorno è così. Ogni giorno un uomo muore e un altro nasce, moltiplicato per gli otto miliardi che siamo, risultano centinaia di migliaia, forse milioni, di nascite e morti ogni volta che il Sole si leva.
Se uno ha la fortuna, di non avere incidenti, di essere in salute, di nascere ed abitare in un Paese ricco e in pace, vive a lungo e bene. Altrimenti no. È un senso questo? Apparentemente no: nel caso, nella fortuna, che è notoriamente cieca, non c’è un senso.
Ma un senso dobbiamo darglielo, dobbiamo vivere. Ci dobbiamo buttare nell’avventura dell’esistenza.
Come in tutti gli animali, il rischio che qualcosa vada storto c’è, ma, dal momento che siamo sulla Terra, dobbiamo vivere.
Siamo navi, come dice la frase citata, navi pronte per prendere il largo. Nel mare aperto ci potrebbe essere una tempesta, potremmo finire le scorte alimentari, prendere uno scoglio, scontrarci con altre navi o con una balena bianca, come Moby Dick.

domenica 30 aprile 2023

Mi sono fatto male oggi, per vedere se ho ancora sensazioni

di Leonardo Conti (conti.leonardo@hotmail.it)

I hurt myself today
To see if I still feel
I focus on the pain
The only thing that's real

Mi sono fatto del male oggi
Per vedere ho ancora sensazioni
Mi concentro sul dolore
L'unica cosa che è vera

Dalla canzone Hurt degli Nine Inch Miles (1995) da cui Johnny Cash ha tratto una cover nel 2002.
 
Cosa vogliono dire queste parole? Apparentemente parlano di autolesionismo, un qualcuno che si fa male un po’ per gioco. Più in là nel brano si parla di un ago, di un buco. Parlerà di droga, come molte altre canzoni.

mercoledì 1 marzo 2023

Fino al sublime. Testimoni di ciò che si testimonia da sé

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

(Si pubblica di seguito il video dell'intervento tenuto di Federico Sollazzo al convegno "Testimonianza e testimoni", tenutosi online nel giugno 2022, intitolato Fino al sublime. Testimoni di ciò che si testimonia da sé.)