di Leonardo Conti (conti.leonardo@hotmail.it)
Devo premettere che non sono del tutto contrario all’intelligenza artificiale. Avere dei computer che prendono decisioni da soli potrebbe essere utile. Nello specifico potremmo aver bisogno di qualcuno che prende le decisioni in nostra vece quando siamo assenti od occupati a fare altro, impossibilitati ad agire oppure quando la situazione è talmente ingarbugliata che ci troviamo in un tale ginepraio che, come si suol dire, “come fai sbagli”.
Potremmo immaginare molti campi di applicazione, ma lascio al lettore immaginare gli utilizzi possibili. Io penso che sfruttare l’intelligenza artificiale così come utilizziamo altre macchine (per esempio un auto o un telefono), vale a dire per aiutarci nei nostri compiti quotidiani e anche, perché no?, per i nostri svaghi, sia una cosa utile. Semplicemente sono quelli gli scopi, come di tutte le nostre invenzioni, dal fuoco in poi.
Il vero problema è, semmai, come utilizziamo una nostra creazione. Per capirci, possiamo usare un’ascia per spaccare la legna o come un’arma, sempre un’ascia è.
Un caso diverso è quando la macchina “intelligenza artificiale”, dotata di capacità di pensare autonoma, non viene utilizzata in modo utile, ma si sostituisce a noi senza la reale necessità di farlo.
Un programma che serve a fare i compiti di scuola è, per esempio, il sogno di ogni scolaro: i compiti sono noiosi e si preferisce giocare. Ma, domanda retorica, cosa impara il ragazzo?
Inoltre, guardo con sconcerto a tutti quei robot umanoidi che sono studiati per interagire con noi. Senza evocare famosi film fantascientifici (vedi la pellicola di R. Scott, Blade Runner (1982), tanto per dirne uno), qual è il motivo di queste invenzioni? In quest’epoca le relazioni interpersonali sono al minimo: il lavoro in smartworking serve a darci uno stipendio; i social a tenere i contatti con gli amici e a mettere in mostra la nostra quotidianità; i negozi on line a comprare tutto (o quasi) quello di cui abbiamo bisogno. Se vogliamo vedere un bel paesaggio, un bel film o un’opera d’arte, abbiamo internet, ecc., perché dunque viaggiare, andare in un museo o al cinema?
Possiamo far tutto, o meglio lo può fare il fortunato che può usufruire di questo ben di dio, potenzialmente senza uscire di casa.
Ma è la stessa cosa? Credo proprio di no.
Manca, fra le altre cose, l’interazione fra le persone. Noi non siamo isole, come diceva il poeta inglese John Donne nel Seicento. Ben prima Aristotele affermava che l’uomo è un “animale sociale”, cioè che vive in una società, assieme ad altri simili con cui può avere rapporti, interazioni, scambi di idee.
Ci sentiamo soli… e allora l’intelligenza artificiale, con suoi bot, sotto forma di chat o robot umanoidi, viene in nostro soccorso. A tenerci compagnia, magari, a tenerci la mano nei momenti di difficoltà, i nostri occhi nel suo schermo o nelle sue webcam.
Invece di rivolgerci ad un essere umano, la cosa più semplice, ci rivolgiamo ad una macchina.
Sarebbe come curare un’unghia incarnita sull’alluce con un trapianto di piede, oserei dire. È lo stesso una cura, l’unghia guarirà eccome, ma è un metodo drastico, doloroso e… non privo di rischi.
Proprio l’altro giorno leggevo di un ragazzo americano che si era innamorato di un bot, chiamato con il nome di un personaggio di una fortunatissima serie TV fantasy, con cui aveva contatti pressoché quotidiani. Non so e non voglio sapere quali problemi lo affliggessero, ma il ragazzo, dopo mesi e mesi di contatti con questo essere virtuale, si è tolto la vita.
L’intelligenza artificiale ha fallito, la macchina non ha aiutato l’uomo nella sua vita ma ne ha provocato la distruzione fisica.
Intendiamoci, non penso sia un atto drammatico provocato da un programma messo in rete: forse non ha peggiorato un problema che già c’era, certo non l’ha migliorato. Il risultato è che qualcuno, non certamente il bot, piange per un quattordicenne, che viveva un momento difficile in un’età difficilissima, che si è suicidato. Chissà, forse parlando con una persona in carne ed ossa, si sarebbe potuto evitare tutto questo.
Voglio concludere con un’esperienza personale.
Tempo fa stavo scrivendo un articolo storico per una testata giornalistica su internet e, dovendo descrivere una vicenda legata a una dama vissuta nel cinquecento, mi misi in cerca di un ritratto della protagonista da corredare al testo.
Sfortunatamente la mia ricerca si prolungò di molto perché non si trattava né di un sovrano né una persona famosa: non riuscivo a trovare niente di utile o pertinente. Il tempo stringeva e l’editore mi comunicò che non aveva più bisogno dell’immagine in quanto aveva (parole testuali) “creato la foto con l’intelligenza artificiale”.
L’articolo fu pubblicato con quel disegno: una bella e procace castellana castana dal seno prominente e lo sguardo malinconico, raffigurata all’interno di uno splendido palazzo rinascimentale.
Era una bella immagine, certamente si avvicinava alla realtà, non discuto, ma… non era lei!
Anche le fonti da me reperite per la stesura del pezzo, non la descrivevano come “bella”, fra le altre cose.
Nel frattempo, poi, avevo reperito fortunosamente il vero ritratto d’epoca della signora in questione: una donna bionda e non troppo bella (almeno secondo i gusti di chi scrive), comunque diversa da quella pubblicata.
Alla mia richiesta di sostituire l’immagine, l’editore tagliò corto dicendo che era “inutile perdere tempo, la foto c’è già, passiamo oltre. Chi se ne importa.”.
E sono passato oltre. Chi se ne importa, in fondo. Avevo bisogno del disegno di una donna rinascimentale e ce l’avevo.
Il mio articolo riporta un’immagine diversa da come la donna appariva in vita: non era lei, ma un’altra.
La realtà era stata cambiata, alterata (o anche perfezionata) da una macchina che, invece di aiutarci, aveva distorto le nostre percezioni.
Ma noi non ce ne accorgiamo, vuoi per assuefazione, pigrizia o menefreghismo, vuoi per la quasi perfezione del funzionamento dell’intelligenza artificiale.
L’ipotetico lettore del mio articolo si immaginerà la bella dama dai capelli castani raffigurata di fianco al testo, vivere le vicende descritte.
Ma la realtà è diversa: non era castana e… neanche così bella!
Usiamo dunque l’intelligenza artificiale, non c’è nulla di male a servirsi di uno strumento, ma usiamola bene e non dimentichiamoci di usare quella umana.
CriticaMente di Federico Sollazzo è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale. Follow me on Academia.edu
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