di Pietro Piro (sekiso@libero.it; I di 2)
La cancellazione della personalità accompagna fatalmente le condizioni dell’esistenza sottomessa concretamente alle norme spettacolari, e in tal modo sempre più separata dalle possibilità di conoscere esperienze autentiche, scoprendo così le sue preferenze individuali. Paradossalmente, l’individuo dovrà perennemente rinnegare se stesso, se tiene ad essere un po’ considerato in tale società. Infatti questa esistenza postula una fedeltà sempre mutevole, una serie di adesioni continuamente deludenti a prodotti fasulli. Si tratta di correre rapidamente dietro l'inflazione dei segni svalutati della vita. La droga aiuta a conformarsi a questa organizzazione delle cose; la pazzia aiuta a fuggirla.
G. Debord, Commentari sulla società dello spettacolo
I.
Il tema che affrontiamo oggi,[1] ritorna ossessivamente nel mio ragionare e questo è dimostrato da alcuni miei lavori passati[2] e recenti.[3] Oggi torniamo a riflettere insieme. Non ho nessuna pretesa di pensare per voi, ma vorrei riuscire a pensare con voi. Insieme.
Non ho nessuna verità sensazionale da rivelare né tantomeno discuto di argomenti nuovi o d’interesse vitale. Anzi, direi che le cose di cui vi parlo potrebbero essere classificate come un esercizio di ripetizione, il cui giovamento è valido nella misura in cui aiuta la memoria a rinforzarsi e a integrare sempre nuovi stadi di coscienza.
Integriamo dunque piani, stati di ragionamento, misure di senso in un ragionare sempre identico a se stesso e che tuttavia si rinnova continuamente in una metamorfosi che rende sempre nuovo l’eterno già detto.
Il Carnevale è una festa che si ripeteva con cadenza regolare in un preciso momento dell’anno. Il fatto che si ripetesse con regolarità e costanza è un fatto essenziale. Questo significa che il tempo è ciclico e ritorna esattamente nel punto in cui lo si era creduto finito.
Così noi, oggi, in questa classe, in quest’Università, ripetiamo il gesto del dire e dell’ascoltare che da moltissimo tempo si ripete e si rinnova. Siamo dunque anche noi inseriti in un tempo ciclico? Oppure la nostra vita insegue una direzione lineare che parte da un’origine e insegue una meta in un lontano futuro?
Se siamo inseriti in una ruota temporale, possiamo essere certi che questo nostro gesto si ripeterà ancora e ancora. Altrimenti, dobbiamo dubitare, provare l’angoscia della morte eterna, della fine. Il Carnevale non è festa per uomini che vivono in un tempo lineare. Per loro il Carnevale è solamente un momento di disordine, di confusione e un ostacolo per le magnifiche sorti e progressive.
Per comprendere a fondo le feste del Carnevale è necessario inserirle in un tempo che ritorna, che si ripete, che si annuncia in ogni direzione nei segni della natura, nelle foglie ingiallite, nell’odore umido della terra nera.
Ma un uomo della nostra specie tecno-mediale, che vive in una società burocratizzata, totalmente proiettato in una dimensione del tempo lineare, un adoratore della razionalità digitale, può avvertire i segni premonitori dell’arrivo del tempo di Carnevale?
E noi che ci siamo posti l’obiettivo di filosofare, sentiamo di essere inseriti in una logica eterna che non fa altro che ripetere i suoi gesti ripetitivi o siamo lanciati come un razzo verso un destino ignoto?
Vorremmo far chiarezza, collocarci, darci una destinazione. Posizionare la nostra anima in una rete cartografica per realizzare esplorazioni sempre più audaci. Invece, l’accelerazione tecnica ci tramortisce, ci oscura la visuale prospettica, ci dis-integra.
Ci domandiamo del Carnevale, del suo senso e perdiamo di vista il fatto che il senso del Carnevale è così radicato nella carne dell’uomo tradizionale, l’uomo legato ai ritmi del tempo naturale che si rinnova nel suo continuo dramma, da renderci impossibile appropriarci del suo senso profondo. Direi proprio della sua configurazione essenziale.
Il Carnevale c’è totalmente ignoto. Ne intravediamo uno spettro smunto e svilito e crediamo che vi siano ancora ossa e sangue. È una truffa.
Noi siamo schiacciati, siamo percossi, siamo avviliti dal tempo che avanza in avanti e che frantuma questo momento. Il Carnevale riporta la ruota del tempo indietro. Rinnova il tempo. Lo partorisce. Non possiamo fare altro che parlare del Carnevale come di un oggetto da museo. Catalogarlo, categorizzarlo, imporlo alla razionalità burocratica della tassonomia.
Odio parlare di cose morte. Ma devo farlo per comprendere le cose vive. Parliamo dunque di questo cadavere. Cerchiamo di tracciarne il carattere. Che cosa succedeva durante il Carnevale quando era ancora vivo?
Durante il Carnevale, tutti i valori che stabilivano le norme del vivere comune erano sospese e rovesciate. La donna che generalmente era pudica e riservata, si spogliava in pubblico e bestemmiava, l’uomo sobrio e severo si abbandonava all’ubriachezza molesta e rumorosa. L’uomo si travestiva da donna e la donna da uomo. La violenza del pugno e del bastone erano tollerate. Il ricco s’intrufolava nei letti delle povere serve e le serve, si accomodavano al lungo tavolo della nobiltà, servite da signore travestite da domestiche. I balli vorticosi prolungati sino alla perdita dei sensi, non prevedevano distinzioni di classi. Il ventre prendeva il predominio sul cervello e la fornicazione, finalmente tollerata, si mostrava anche in pubblico, senza il timore della ritorsione. L’ordine del discorso era rovesciato, la parola del potere era in bocca ai diseredati e i potenti parlavano la lingua dell’escluso. La fame era sconfitta dall’abbondanza e la sobrietà dal vino che scorreva a fiumi. La lotta di classe era solo un ricordo lontano. Tuttavia, dopo giorni e notti di bagordi, il tempo ordinario ripristinava tutta la gerarchia del potere e l’ordine del discorso riprendeva il suo processo distintivo e reificante. Il povero, l’escluso, il diseredato, che avevano trovato durante il Carnevale un principio di uguaglianza che li rendeva meno soli e disperati, si ritrovavano nuovamente con il muso schiacciato sulla terra.[4]
Il Carnevale è la festa del ribaltamento, in cui la realtà si rovescia e i valori s’invertono spesso violentemente. Emmanuel Le Roy Laduire analizzando la festa di Carnevale della cittadina di Romans in Francia – che nel febbraio del 1580 vide la popolazione protagonista prima di bagordi e festeggiamenti carnevaleschi e poi, in seguito a un’imboscata organizzata dal giudice Guérin, di una strage fratricida – sintetizza le funzioni della festa di Carnevale elaborando lo schema dagli studi di Julio Carlo Baroja:[5]
Scopo del Carnevale è assicurare il buon andamento della società locale:
1) Mediante l’espulsione del male (biologico, sociale o peccaminoso-anticristiano) prima della quaresima definitivamente purificatrice;
2) Mediante riproduzioni dell’andamento normale della vita umana, ottenute grazie alle figurazioni concatenate della nascita, della copulazione, della morte e della rinascita;
3) Mediante imitazioni di lavori agricoli o no, essenziali alla sopravvivenza del gruppo e mediante parate militari;
4) Mediante la rappresentazione degli animali di maggior interesse economico;
5) Mediante atti come comportamenti chiassosi che sono utili all’espulsione del male, al processo contro le attività normali, ecc.[6]
Lo schema è ottimo e ci aiuta a raggruppare una serie di fenomeni in una successione di eventi che spesso sono mescolati, confusi, intrecciati e rendono la funzione principale inaccessibile perché nascosta e ricoperta da strati molteplici di disordine. Possiamo dunque cominciare a intravedere questa funzione:
Il Carnevale [intendi] rappresentava una specie di descrizione globale e poetica della società, dei quartieri, delle professioni, dei gruppi di età, dei giovani, dei maschi, ecc. E tutte queste cose contemporaneamente, e ciò lo rende eminentemente adatto a partecipare alle procedure di mutamento sociale […] non è soltanto un’inversione dualista scherzosa e puramente momentanea del sociale, destinata in fin dei coni a giustificare in modo “obiettivamente” conservatore il mondo così com’è, ma è piuttosto uno strumento d’azione dunque, eventualmente modificatrice, nel senso di un cambiamento sociale e di un progresso possibile nella società nel suo assieme.[7]
Il Carnevale non è solo una festa limitata nel tempo. Ci permette di guardare in profondità nell’animo nascosto della società e di scorgervi le “forze ctonie” che in essa si agitano.
Questa visione profonda può essere spaventosa, terrificante, angosciante. Dobbiamo riprendere il ragionamento di René Guénon, perché mi pare abbia saputo cogliere perfettamente il senso di questo guardare in profondità nel sociale:
L’impressione che si trae dalle feste carnevalesche è sempre, anzitutto, un’impressione di disordine nel senso più completo della parola […] vi è sempre nelle feste di questo genere, un elemento ‘sinistro’ e anche ‘satanico’, ed è da notare in modo del tutto particolare che proprio questo elemento piace al volgo ed eccita la sua allegria: è infatti qualcosa di molto adatto, anzi più adatto di qualunque altra cosa, a dar soddisfazione alle tendenze dell’ ‘uomo decaduto’, in quanto queste tendenze lo spingono a sviluppare soprattutto le possibilità meno elevate del suo essere. Ora, proprio in ciò risiede la vera ragione delle feste in questione: si tratta insomma di canalizzare in qualche maniera tali tendenze e di renderle il più possibile inoffensive, dandogli l’occasione di manifestarsi, ma solo per periodi brevissimi e in circostanze ben determinate, e assegnando così a questa manifestazione degli stretti limiti che non le è permesso oltrepassare.[8]
Durante il Carnevale dunque, tutte le energie negative accumulate – soprattutto dagli oppressi – trovano una valvola di sfogo, una legittimità, una strada per giungere al reale.
Il sociale si manifesta non per come esso deve apparire ma per come esso apparirebbe[9] se i freni inibitori della morale, della religione e della forza coercitiva dello Stato, non esprimessero attraverso i propri funzionari repressivi il loro potere di controllo e di misura.
Il Carnevale non è dunque solo rito che integra ma anche realtà profonda che si auto rivela che si mostra in tutta la sua verità. La verità del mondo è l’orgia carnevalesca che la morale combatte e teme.
Il Carnevale rivela la natura rizomatica del sociale il suo procedere per agglutinazioni caotiche e meticce, il Carnevale è una carta del reale mentre l’ordine giuridico non è altro che un calco, una foto.
II.
Il Carnevale quindi, poteva avere un senso profondo dove la morale era messa al centro della vita civile e dove l’ideale del Santo forma e informa tutta la società. Ma quando questo ideale comincia a frantumarsi[10] anche il Carnevale inizia a perdere di significato. Per questo motivo Guénon si chiede:
come potrebbe, infatti, esserci ancora il problema di circoscrivere il disordine e di rinchiuderlo entro limiti rigorosamente definiti, quando esso è diffuso dappertutto e si manifesta costantemente in tutti gli ambiti in cui si esercita l’attività umana?. Così, la scomparsa quasi completa di queste feste […] costituisce[…] un sintomo assai poco rassicurante, poiché testimonia che il disordine ha fatto irruzione nell’intero corso dell’esistenza e si è a tal punto generalizzato da far si che noi viviamo in realtà, si potrebbe dire, in un sinistro ‘carnevale perpetuo’.[11]
L’aspetto sinistro della perdita d’interesse per il Carnevale è dimostrato dal fatto che nessuno si sognerebbe di aspettare un anno per potersi abbandonare a ogni genere di vizio quando il vizio è socialmente accettato, organizzato, pubblicizzato e moralmente innocuo. Lo è ancora meno quando un potente apparato mediale rende accessibile ogni genere d’immagine perversa con un semplicissimo gesto.
Le tendenze negative, aggressive, distruttive, sono state disinserite dal tempo ciclico e si manifestano senza nessuna ritualità, la violenza sacrale e rituale[12] è stata sostituita da una perenne condizione di rischio diffuso e imprevedibile che contribuisce insieme alle modalità proprie dell’agire economico a rendere le esistenze precarie e fragili. Ma c’è un aspetto ancora più sinistro nella già grave perdita di organicità del tempo ciclico.
Ritengo che il potere che ci domina e ci opprime dopo aver sperimentato la vertigine totalitaria, abbia intrapreso una nuova strada che ha saputo comprendere profondamente la funzione del Carnevale, infatti:
concedendo più volte al giorno attimi di rovesciamento e d’inversione di tutti i valori, confonde e debilita l’individuo, rendendolo incapace di stabilire su quale piano di realtà avvengono gran parte degli eventi nei quale è coinvolto. Delirio carnevalesco in stati alterati di coscienza ordinaria in cui è impossibile distinguere il serio dal faceto, il bello dal brutto, il morale dall’amorale.[13]
La sensazione permanente e diffusa in cui vivono oggi milioni di persone è quella di non riuscire più a capire che cosa sia reale, importante, degno di essere vissuto, degno di essere intrapreso.
Si tratta di una vera perdita di senso della realtà, percezione di ribaltamento, di rovesciamento caotico di tutti i valori. Quello che ci permette di ridere delle cose è di esserci messi prima d’accordo su ciò di cui non possiamo ridere. Il serio genera necessariamente il suo opposto. Senza una condivisione sociale delle norme non c’è possibilità nemmeno di stabilire ciò che va contro la norma.
In un mondo in cui è possibile ridere di tutto, non c’è più niente su cui valga la pena ridere. Se si perde il senso del pudore, scompare anche il senso della trasgressione.
[1] Testo della conferenza all’Università di Palermo del 06/12/2013. Laboratorio: Logos e racconto. Ringrazio il Prof. Fabio Treppiedi per avermi invitato.
[3] P. Piro, Nuovo Ordine Carnevale, Mimesis, Milano-Udine 2013, pp. 11-15.
[4] P. Piro, Nuovo Ordine Carnevale, Mimesis, Milano-Udine 2013, p. 11-12.
[5] Cfr. J. Caro Baroja, Il carnevale, Il Melangolo, Genova 1989.
[6] E. Le Roy Laduire, Il Carnevale di Romans, Rizzoli, Milano 1981, p. 321.
[7] Ivi., pp. 324-325.
[8] R. Guénon, Sul significato delle feste ‘carnevalesche’, in Id., Simboli della Scienza Sacra, Adelphi, Milano 1990, pp. 133-134.
[9] «Infatti le maschere di carnevale, sono generalmente orride ed evocano il più delle volte forme animali e demoniache, tanto da essere quasi una sorta di materializzazione figurativa di quelle tendenze inferiori, o addirittura infernali, cui è permesso così di esteriorizzarsi. Del resto ognuno sceglierà naturalmente tra queste maschere, senza neppure averne una chiara coscienza, quella che rappresenta quanto è più conforme alle sue tendenze, sicché si potrebbe dire che la maschera, che si presume nasconda il vero volto dell’individuo, faccia invece apparire agli occhi di tutti quello che egli porta realmente in se stesso, ma che deve abitualmente dissimulare», R. Guénon, op. cit., pp. 134-135.
[10] «Possiamo dire, semplificando, che fino alla fine del Medioevo le società che avevano “riconosciuto” il “fatto anomalo” accaduto nella storia individuano come origine, destino, ideale del cammino qualcosa di più grande: Dio. La varietà dei fattori costituenti la personalità umana e l’umana convivenza erano protesi a una unità, a comporsi e a realizzarsi in una unità, assicurando così una concezione non frammentata della persona e quindi del cosmo e della storia. L’impegno ideale che caratterizzava il medioevo poneva la figura del Santo come immagine esemplare della personalità umana: una figura d’uomo che avesse realizzato l’unità di sé con il proprio destino. È la frantumazione di questa unità e di questa figura d’uomo il grande cambiamento», L. Giussani, La coscienza religiosa nell’uomo moderno: note per cattolici impegnati, Jaca Book, Milano 1985, p. 19.
[11] Cfr. R. Guénon, op. cit., p. 135.
[12] Cfr. R. Girard, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano 2005.
[13] P. Piro, Nuovo…, op. cit., p. 12.
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