di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)
La parola tecnologia deriva da tecnica che a sua volta viene da téchne il cui significato è molto vago, spaziando da arte a mestiere a capactà pratica, ma una precisa caratteristica è che essa rappresenta un insieme di regole utili al raggiungimento di uno scopo che è esterno alla tecnica stessa che, quindi, rappresenta unicamente un mezzo e non il fine: la tecnologia, allora, costituisce la concretizzazione della tecnica (p. es. già nel Capitale del 1867 Marx usava il termine tecnologia per indicare l'applicazione degli studi tecnico-scientifici ai processi produttivi dell'industria).
Ma la tecnologia non è un'esclusività dell'uomo, infatti anche gli animali, sebbene guidati dal solo istinto, sono in grado di modificare l'ambiente per i propri scopi (p. es. un castoro che costruisce una diga). Qual è allora la differenza tra la "tecnologia animale" e quella umana? Un animale che si costruisce un nido, che devia il corso di un fiume, che abbatte un albero o che crea uno stagno artificiale, con queste azioni danneggia l'equilibrio naturale di un habitat, o del mondo intero, rendendolo, nel lungo periodo, inadatto alla sopravvivenza delle future generazioni? No. L'uomo si. E' sufficiente ricordare brevemente tutti i danni (inquinamento, buco atmosferico, effetto serra...) arrecati dall'uomo tecnologico alla natura. Due sono le possibilità: o la distruzione della natura è necessaria poiché l'uomo tecnologico è inevitabilmente nocivo per l'ambiente (in tal caso l'unica possibilità di salvezza sarebbe legata al ritorno a stadi pre-tecnologici o tecnologicamente limitati), o gli squilibri inseriti dall'uomo nell'ambiente che lo ospita dipendono da un "cattivo" uso della tecnologia, un uso nel quale si perseguono unicamente scopi utilitaristici come, ad esempio, il massimo ricavo dal tempo di lavoro. Da qui il passo è breve in direzione della società dei consumi: massimizzazione tecnologicamente supportata della prestazione lavorativa - (ri)produzione di beni e servizi - consumo (forzato) degli stessi - parvenza di benessere derivante dal consumismo. Eppure l'attuale livello tecnologico è, potenzialmente, in grado di migliorare la nostra esistenza. Ma allora la tecnologia costituisce un "pacchetto" unico che o si scarta o si accoglie in toto nel bene e nel male? O forse questo è un modo totalmente sbagliato di porre la domanda, poiché la tecnologia in sé non è né buona né cattiva ma diventa l'una o l'altra a seconda dell'uso che se ne fa.
Probabilmente la questione della tecnica può essere affrontata solo inserendola all'interno di un progetto umano radicalmente innovativo, nel quale si abbandoni del tutto la smania di possedere cose e persone e la si smetta di leggere il mondo in chiave utilitaristica, recuperando un senso della misura (di platonico equilibrio) in base al quale la vita non sia intesa come un mero mezzo per-, bensì come un bene in sé da godere senza limitazioni eccetto quella della responsabilità, dell'aver cura di questo bene.
(«Tabula Rasa», n. 3, 2004)
La parola tecnologia deriva da tecnica che a sua volta viene da téchne il cui significato è molto vago, spaziando da arte a mestiere a capactà pratica, ma una precisa caratteristica è che essa rappresenta un insieme di regole utili al raggiungimento di uno scopo che è esterno alla tecnica stessa che, quindi, rappresenta unicamente un mezzo e non il fine: la tecnologia, allora, costituisce la concretizzazione della tecnica (p. es. già nel Capitale del 1867 Marx usava il termine tecnologia per indicare l'applicazione degli studi tecnico-scientifici ai processi produttivi dell'industria).
Ma la tecnologia non è un'esclusività dell'uomo, infatti anche gli animali, sebbene guidati dal solo istinto, sono in grado di modificare l'ambiente per i propri scopi (p. es. un castoro che costruisce una diga). Qual è allora la differenza tra la "tecnologia animale" e quella umana? Un animale che si costruisce un nido, che devia il corso di un fiume, che abbatte un albero o che crea uno stagno artificiale, con queste azioni danneggia l'equilibrio naturale di un habitat, o del mondo intero, rendendolo, nel lungo periodo, inadatto alla sopravvivenza delle future generazioni? No. L'uomo si. E' sufficiente ricordare brevemente tutti i danni (inquinamento, buco atmosferico, effetto serra...) arrecati dall'uomo tecnologico alla natura. Due sono le possibilità: o la distruzione della natura è necessaria poiché l'uomo tecnologico è inevitabilmente nocivo per l'ambiente (in tal caso l'unica possibilità di salvezza sarebbe legata al ritorno a stadi pre-tecnologici o tecnologicamente limitati), o gli squilibri inseriti dall'uomo nell'ambiente che lo ospita dipendono da un "cattivo" uso della tecnologia, un uso nel quale si perseguono unicamente scopi utilitaristici come, ad esempio, il massimo ricavo dal tempo di lavoro. Da qui il passo è breve in direzione della società dei consumi: massimizzazione tecnologicamente supportata della prestazione lavorativa - (ri)produzione di beni e servizi - consumo (forzato) degli stessi - parvenza di benessere derivante dal consumismo. Eppure l'attuale livello tecnologico è, potenzialmente, in grado di migliorare la nostra esistenza. Ma allora la tecnologia costituisce un "pacchetto" unico che o si scarta o si accoglie in toto nel bene e nel male? O forse questo è un modo totalmente sbagliato di porre la domanda, poiché la tecnologia in sé non è né buona né cattiva ma diventa l'una o l'altra a seconda dell'uso che se ne fa.
Probabilmente la questione della tecnica può essere affrontata solo inserendola all'interno di un progetto umano radicalmente innovativo, nel quale si abbandoni del tutto la smania di possedere cose e persone e la si smetta di leggere il mondo in chiave utilitaristica, recuperando un senso della misura (di platonico equilibrio) in base al quale la vita non sia intesa come un mero mezzo per-, bensì come un bene in sé da godere senza limitazioni eccetto quella della responsabilità, dell'aver cura di questo bene.
(«Tabula Rasa», n. 3, 2004)
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grazie
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