mercoledì 15 aprile 2009

Scritture della liberazione

di Gustavo Sánchez Velandia (gustavo.sanchez@ehess.fr; IV di 4)

Mentre si trovava in questa ricerca artistica, Ochoa conobbe Simona Landolfi, insegnante di filosofia moderna alla facoltà di lettere e filosofia dell’Università Roma Tre. Simona Landolfi aveva l’idea di creare un laboratorio di pratica filosofica attraverso la scrittura, un opificio delle finzioni. Sebbene Landolfi sembrasse interessata soprattutto a esaminare problemi come il rapporto fra soggetto e verità attraverso la narrazione, o la relazione fra filosofia e letteratura (la filosofia come genere letterario) - ovvero problemi nei quali Ochoa sospettava un’integrazione dell’arte nella filosofia attraverso il paradigma verbale - probabilmente le conversazioni translinguistiche del nostro artista bogotano si sarebbero arricchite grazie all’allargamento della pratica filosofica che prometteva l’opificio delle finzioni. Così il laboratorio di Landolfi si trovò a patire le azioni trans-ontologiche del colombiano.
E’ importante che abbiamo ricordato adesso la nazionalità di Ochoa giacché proprio in quel momento egli cominciava a subire gli effetti della sua diversità culturale (della quale non era molto convinto) e che spesso occultava la sua alterità. Comparve nella sua ricerca un’altra variabile: il colonialismo.
Egli dedicò molte delle sue conversazioni translinguistiche con l’opificio al tema del colonialismo della scrittura e di come esso poteva essere condizione di possibilità del colonialismo dei saperi e del pensiero. Echeggiando il filosofo argentino Enrique Dussel, chiamò questa pratica filosofica di decolonizzazione della scrittura, scritture della liberazione:
“ La prima cosa da fare sarebbe liberare la scrittura: ------------------------------k, ....ùjkdsjkdsjbsdgvjb.,.,.,,.,,.,.,..,.lkk.---------=====++++èèèè[[[[]]]]]-------------
Ecco. Oppure: [Ochoa disegna uno scarabocchio] Ma si fa veramente lo sforzo di leggere queste cose? O semplicemente l’occhio salta con velocità nella zona sicura della scrittura lineare? Quindi mi costringo ad alternare la libertà con l’ordine di un certo tipo di scrittura che siamo abituati a chiamare LA SCRITTURA. Così non ci sarà dubbio che ho scritto (o piuttosto SCRITTO). Per fortuna la strategia necessaria si è manifestata da sola mentre scrivevo: Si parte dalLA SCRITTURA – da un certo ordine di cose – e la si allarga. La scrittura allargata (che chiamerò la scrittura) è metafisica poiché trascende la physis – l’ordine delle cose. Infatti, con LA SCRITTURA posso rappresentare tutto quanto è. Attraverso la scrittura, invece, può presentarsi altro di tutto quanto è. La scrittura è trans-ontologica. La scrittura, quindi, non ha mai fine. LA SCRITTURA tende a occultare la scrittura respingendola come scarabocchio, fregaccio, ghirigoro, smorfia, balbettio, borbottio, goffagine, barbarie, psicopatia... Non-senso o a-senso prodotti dal non-essere, da coloro che non sono o sono a metà o in potenza o hanno un essere incompiuto: schiavi, barbari, aborigeni, infantili, infanti, folli, effeminati, donne, meticci, mulatti, neri, sottosviluppati [...] LA SCRITTURA è un modo di essere della scrittura che una cultura ha imposto alle altre. Questo potere di dominio delLA SCRITTURA sulla scrittura è la colonizzazione (e quest’ultima è la grammatica della modernità) [...] ” (Ochoa 2004) [Grazie a quest’ultima riga potremmo riassumere la pratica artistica trans-ontologica, trans-linguistica, trans-grammaticale, trans-verbale, semplicemente come arte trans-moderna]. Questa critica della ragione scritta che Ochoa vuole attuare grazie alla sua arte trans-moderna si fonda nell’analogia che egli vede fra l’occultamento dell’altro(1) che Europa opera arrivando in America e l‘occultamento della corporeità che opera il pensiero occidentale. Si tratta di un’analogia più che casuale in quanto l’occultamento che Europa compie è l’occultamento della materialità concreta, storica e culturale dell’altro fino al punto di negare la sua corporalità annientandola. Così, l’incontro con l’altro che apre Europa alla coscienza della propria identità e di cui nasce lo stesso occidente è segnato da quest’occultamento della corporeità che offre la prima prova concreta alla possibilità di considerare la propria ragione come universale. L’occultamento della corporeità dell’altro farebbe parte della volatilizzazione del significante attraverso la quale il pensiero occidentale pretende universalizzarsi. Abbiamo visto che tale volatilizzazione ha a che fare con la sottomissione della concretezza del pensiero (il suo darsi nell’intercorporeità) alla funzione verbale. Inoltre Ochoa propone questo darsi del pensiero nell’intercorporeità come orizzonte proprio della scrittura. Questa liberazione della scrittura dalla funzione verbale sembrerebbe seguire le orme di Derrida. Tuttavia si è detto sopra che Ochoa distingue l’oralità dalla funzione verbale indicando che anche la prima può essere vissuta come una scrittura trans-moderna. La vicenda coloniale mostra, d’altronde, come la scrittura alfabetica si è imposta sia alle culture orali sia alle culture fondate in altri tipi di scrittura o nelle quali la grafia non è destinata a rappresentare la parola (la funzione verbale) o la narrazione. L’artista bogotano si allontana dunque, dall’opposizione fra oralità e scrittura che attraversa tutto il pensiero occidentale e si interessa piuttosto del modo in cui certe tracce dominano altre e come questo dominio è condizione di possibilità del dominio che alcuni corpi esercitano su altri.
Questa critica della ragione scritta si legava poi alla comunità trasversale di ricerca che lentamente si creava a Capodarco. La disabilità fisica impronta il pensiero con la sua particolare corporalità e la disabilità mentale lo lega a funzioni non verbali del cervello. Il modo diverso in cui disabili e normodotati si rapportano alle proprie tracce sembra, però, implicare una gerarchia fra i loro corpi-mente così come fra i corpi-mente dei disabili fisici e dei disabili psichici. Paradossalmente il corpo del disabile psichico resta più vulnerabile di tutti gli altri.
Finalmente nel 2005 le due comunità trasversali si toccarono creando nella facoltà di Lettere e Filosofia il progetto “immagine o dei mondi possibili” nel quale Simona Landolfi e Lucas Ochoa provarono a collaborare più strettamente. Grazie a questo laboratorio gli amici di Capodarco cooperarono strettamente con Ochoa nella progettazione ed esecuzione di alcune conversazioni translinguistiche con gli abitanti della facoltà e del quartiere in cui è inserità. Attraverso questo laboratorio ed un altro concepito in collaborazione con Michele Lucantoni e con il sostegno della stessa Simona Landolfi ed altri studenti della facoltà, l’artista colombiano esperimentò ciò che chiamò azione filosofica, ovvero la ricerca delle condizioni di possibilità della produzione e trasformazione di concetti attraverso l’arte trans-moderna dell’azione.

1) Vedere Dussel 1994

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