giovedì 23 aprile 2009

Da Lògos a logo

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Quello di lògos è un termine che deriva dal greco antico (da léghein) e, come ogni buon termine sensato, è filosoficamente denso, non avendo un unico e ben determinato senso ma esprimendo piuttosto una molteplicità di significati: argomento, causa, concetto, discorso, definizione, enunciato, frase, parola, pensiero, proporzione, ragionamento, ragione, spiegazione ed altri ancora. Il termine ha una storia prestigiosa, essendo passato nel vocabolario personale di diversi pensatori. Per Eraclito esso è una "legge universale" che racchiude il senso di tutte le cose del mondo e dà armonia ai contrari che in esse si trovano. Platone, nel Teeteto distingue tre accezioni di lògos: come manifestazione del pensiero attraverso i suoni articolati di una lingua, come espressione di una cosa tramite la descrizione degli elementi che la costituiscono e come segno di individuazione di qualcosa tramite la differenza dalle altre cose; tutti significati che fanno del lògos un qualcosa di discorsivo-descrittivo. In Aristotele il lògos rappresenta il fulcro della teoria logico-analitica grazie alla quale si può valutare la veridicità di un'asserzione. Dagli stoici è definito come lògos spermatikùs, ragione seminale che feconda la materia. Dopo essere passato attraverso il Medioevo, il termine riappare significativamente in Fichte come manifestazione del divino sottoforma di sapere. Insomma il lògos è tipico di tutta la filosofia occidentale e, nonostante le diverse letture che ne sono state date, esso è sempre caratterizzato come un qualcosa che rimanda ad altro, come un'apertura su qualcos'altro, infatti la parola, il discorso non esaurisce un pensiero bensì vi allude, lasciandolo sempre disponibile ad altre vie di accesso, d'interpretazione.
Ora, anche il logo, inteso come marchio commerciale, rimanda a qualcos'altro (cioè ai prodotti contraddistinti da quel dato marchio), ed in ciò è "tecnicamente" affine al lògos. La differenza però (sperando che essa sia ancora praticabile e praticata) sta in ciò a cui rimandano: il logo rimanda (nella maniera più accattivante-istupidente possibile) ad una serie di prodotti da acquistare per consumare, il lògos rimanda ad un pensiero da cui, potenzialmente, infiniti altri ne possono nascere. Il logo, allora, somiglia ad una specie di vicolo cieco, di strada chiusa in cui l'oggetto al quale esso rimanda esaurisce completamente la funzione del logo stesso, mentre il lògos rappresenta un sentiero probabilmente infinito fatto di pensieri generanti altri pensieri. Da questa prospettiva logo e lògos sono incompatibili e, forse, è proprio per questo che in una società sempre più "logotizzata" il ragionamento è sempre meno stimato e chi lo pratica (o almeno tenta di praticarlo) è visto o come un eccentrico, una sorta di cabarettista della società contemporanea, o come un soggetto mentalmente disturbato, incapace di allinearsi alla moda della logo(lobo)tomizzazione.

(«Tabula Rasa», n. 2, 2003)

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