di Ausilia Gulino (redazione@nuovepagine.it)
A cosa è dovuto, secondo lei, il fatto che l’uomo non riesce a trovare se stesso?
Credo che certi argomenti non possano essere affrontati in maniera troppo generale. Per circoscrivere un po’ il campo vorrei citare una frase di Max Scheler: «In quasi diecimila anni di storia, noi siamo la prima epoca in cui l’uomo è diventato completamente e interamente “problematico” per se stesso; in cui egli non sa più cosa è, ma allo stesso tempo sa anche che non lo sa». Ecco, in quest’ultima frase «sa anche che non lo sa» credo sia riassunta la problematica a cui si fa riferimento nella domanda; per dirla con un altro importante antropologo filosofico, Arnold Gehlen: «la perdita degli immobili culturali». A ben vedere, come ha evidenziato Paul Ricœur con la formula “maestri del sospetto”, riferendosi a Karl Marx, Friedrich Nietzsche e Sigmund Freud, la messa in crisi di quelle che erano delle certezze consolidate è la cifra che caratterizza tutta la moderna cultura occidentale (oltre che, direi, qualsiasi tipo d’innovazione), anche se in epoca contemporanea questo processo è amplificato dalla velocità e dalla quantità dei cambiamenti che la tecnologia (pro/im)pone.
Di per sé, la messa in crisi dei vecchi paradigmi, quindi anche della precedente idea di uomo, non è un problema, anzi, come ormai si sente spesso ripetere (talvolta però strumentalmente da politici e economisti, ma questo è un altro discorso), ogni crisi contiene un’opportunità. Tuttavia nell’attuale crisi cultuale e valoriale c’è un problema peculiare. E attenzione, non è quello, come a volte si sente dire, che alla crisi dei vecchi paradigmi non segua la formazione di nuovi, ma, diversamente, proprio il fatto che i nuovi paradigmi ci sono e che la loro natura non sembra affatto incoraggiante. In sintesi, abbiamo costruito un’idea di uomo basata sui principi della razionalità economica e, ancor di più, della razionalità tecnologica, e gli stessi movimenti di critica appaiono spesso come semplici articolazioni ed evoluzioni di questa razionalità; mi viene in mente una delle ultime considerazioni di Pasolini che diceva che si cercano le alternative, ma non l’alterità. Il risultato di questo processo è la creazione di un nuovo tipo di vivente, talmente mutato dal precedente che bisognerebbe forse trovare un altro nome al posto di quello di uomo. Anche di questo mi occupo nella prima parte del libro (e nei miei correnti studi).