lunedì 20 gennaio 2014

Il falso censore e il reprobo collaborazionista. Note sul margine della legge e della morale letteraria

di Maurizio Montanari (mauriziomontanari@libero.it)

Nel gergo comune il termine "perverso" ha assunto nel corso del tempo una connotazione totalmente negativa, usato non senza un fondamento nella maggior parte dei casi per descrivere soggetti dediti a pratiche sessuali particolari, devianti, fuori norma o percepite come bizzarre e pericolose. Dire "è un perverso" segna una mescolanza dei termini clinici col linguaggio comune che li utilizza con valenze che in molti casi si discostano molto dalla radice originaria. Perverso e perversione sono un esempio attuale di questa traduzione dal linguaggio clinico al gergo contemporaneo.
Con Lacan assistiamo ad una definizione del perverso che oltrepassa, se cosi possiamo dire, le manifestazioni esteriori e sopra descritte. Si va a sondare la struttura e la volontà del soggetto rispetto alla volontà dell’Altro. Il perverso si definisce per una sua capacità di collocarsi nella storia come individuo a margine, a lato. Capace di chiamarsi fuori come soggetto per delegare in toto il suo agire, e le responsabilità di questo, ad un ordine prestabilito del quale si sente un mero esecutore. Un tramite privo di volontàAllora l'uomo si alza, bussa alla porta accanto e, come agente sotto copertura contro i crimini sessuali, arresta Larry Craig. Il punto è che Craig, 62 anni e padre di tre figli, esponente di spicco della destra religiosa, è senatore repubblicano dell'Idaho, e da anni conduce una crociata anti-gay: da sempre si oppone al matrimonio gay e a includere la violenza omofoba tra gli hate crimes (o di tipo razziale o sessuale). 
L’ideale dell’Io è la pratica del buon dire, della buona legge. E' pronunciare le cose giuste, sensate, razionali, per un andatura equa e controllata. E’ il "politicamente corretto". Ma l'ideale dell'io, ha un osceno contrappeso. Il suo contrario, fatto nell’ombra. Anzi, la legge rigida e gridata vela una produzione oscena che sostiene la legge stessa.
Nel 1945 appare su «Le Temps Modernes» uno scritto di Jean-Paul Sartre dal titolo Ritratto di un antisemita. L’obiettivo de l’autore de La Nausea è Louis Ferdinad Céline, il Bardamu di Viaggio al termine della notte,  tacciato di collaborazionismo e di simpatie filonaziste. La deriva antisemita di Celiné sancita dalla sua produzione (Bagatelles pour un massacre, 1937, L'École des cadavres, 1938 e Les Beaux draps, 1941) non è mai stata messa in discussione dai suoi cultori e tantomeno dai suoi detrattori. Nell’Aprile del 1945 viene spiccato da un tribunale francese un mandato di cattura per Celinè accusato di "tradimento". Al netto di questa verità, Celinè non fu mai organico al regime di Vichy, e nemmeno all’establishment nazista. Tra il 1941 e il 1944 pubblicò infatti un articolo, venticinque lettere, e tre interviste. La sua inappartenenza strutturale si evince dal fatto che alcune delle sue opere vennero ostacolate sia dal Govenro di Vichy che dai tedeschi. Questo non gli eviterà di essere messo all’indice, allorquando iniziarono le epurazioni dei "collaborazionisti" che avevano, a vario titolo, sostenuto il governo di Vichy. Furono 40.000 i francesi messi all’indice, alcuni dei quali condannati a morte. 
Il "Conseil National des écrivains" fu l’organo deputato a stilare un elenco dei libri impubblicabili perché scritti da intellettuali compromessi con il regime.  La voce di Sartre fu assai determinante nel volere la messa al bando di Celinè. Nel 1945 le accuse di antisemitismo e di collaborazionismo gli valgono l’esilio, inzio di una tormentata vicenda umana che lo vedrà pellegrinare dalla Danimarca sino al ritorno nel 1951 in Francia, a Medoun, dove morì in una solitudine assoluta, circondato solo dall’amore della sua Lucette e dei suoi adorati animali. Sartre voleva che Celinè venisse ignorato al suo ritorno in patria.
Nel 1947 dopo aver appreso della pubblicazione del testo di Sartre (che recava le parole: «Se Celiné ha potuto sostenere le tesi socialiste dei nazisti, è perché era pagato») prende carta e penna e scrive A l’agité du Bocal, violento e dissacrante pamphlet rivolto contro Sartre, nel quale, tra le altre cose mette in luce cosa nasconda la veemenza delle accuse rivolte contro di lui: Sartre, il censore, il resistente, aveva avuto la possibilità di mettere in scena una sua opera teatrale Les Mouches in piena occupazione al teatro cittadino, con presenza di militari tedeschi. La frase «Il fallait bien vivre» pronunciata da Simone de Beauvoir, compagna di Sartre, segna un periodo ben stigmatizzato da Frederic Spotts nel suo libro The Shameful Peace: How French Artists & Intellectuals Survived the Nazi Occupation. In questo testo troviamo le parole di Sartre e della compagna «Un sottile veleno corrose le nostre migliori intenzioni» (Sartre); «Al principio ebbi un solo pensiero, non fare la fine del topo» (de Beauvoir). Picasso che continuò a lavorare sotto l’occupazione nazista disse :«Passivamente, non cedo al terrore e alla forza, ma non è coraggio, è inerzia». Quanto a Matisse, lamenta Spotts, «nel suo rifugio di Vence non avvertì nemmeno il problema morale della Resistenza».
Jean Paul Sartre, il più forte dito puntato contro gli scrittori collaborazionisti, non riuscì a nascondere allo spirito di Celinè le sue pecche.
Sartre, che prese posizione a favore di Israele al momento della creazione dello Stato ebraico (si veda: Riflessioni sulla questione ebraica del 1946), puntando il dito contro l'antisemitismo, si accomoda volentieri sulla cattedra parigina di Henri Dreyfus-Le Foyer, professore ebreo allontanato dall’insegnamento a causa della politica antisemita di Vichy. La de Beauvoir (la paladina del femminismo ante litteram) dirottava sul letto del "Cobra" (nominativo col quale chiamava Sartre) le studentesse più accondiscendenti, oltre a lavorare per la radio nazionale francese controllata dai tedeschi.  
E’ nelle righe del pamphlet che Celinè scoperchia e denuncia l’oscena verità nascosta da una corazza ideologica assemblata per la pubblica opinione, capace di velare quelle oscenità che l’occhio di Celinè scorge e denuncia.
«Tenia (..) e filosofo, per giunta… fa un po’ di tutto… Sembra che, in bicicletta, abbia anche liberato Parigi. (…) Voi avete avuto comunque il vostro piccolo successo al "Sarha", sotto lo stivale, con le vostre Mouches».
Ancora: «Elenchi? Elenchi? A quando quello integrale, nominativo, di tutti quelli che hanno guadagnato qualcosa con i tedeschi? Eccolo il vero elenco dei collaboratori»[1].
Queste doppie verità sono state dimenticate dalla storia, che ci consegna il paladino dei diritti e degli oppressi e il reprobo schifoso che giustamente schiatta in esilio.
E' talmente tanto degradato e marchettaro il panorama intellettualoide attuale, che già Pasolini sembra venire da un'altra epoca.

[1] A l’agitato in provetta (A l’agité du Bocal), a cura di Andrea Lombardi, Effepi, Genova 2005.

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