di Alessandro Palladino (alessandropalladino@alice.it; II di 2)
Come è già avvenuto per Eichmann, anche per Ivan il percorso intrapreso costringe a non analizzare tutti gli elementi che riguardano il personaggio dostoevskiano. Ci si limita, quindi, a prendere in considerazione soltanto quegli aspetti ritenuti essenziali per giungere ad un possibile collegamento con Eichmann. Per far ciò, si tenta di ricostruire la personalità di Ivan seguendo le caratteristiche che Dostoevskij stesso disvela, così come esse si susseguono nel romanzo. Ogni aspetto meriterebbe più spazio; ma ai fini del presente studio ci si limita soltanto a ripercorrere brevemente gli episodi che chiariscono la “filosofia” di Ivan Karamazov.
I lettori di Dostoevskij che conoscono anche Eichmann, potrebbero pensare che non ci sia nulla in comune tra Ivan e Eichmann. Effettivamente la prima descrizione che Dostoevskij fornisce di Ivan sembrerebbe confermarlo:
“questo ragazzo cominciò molto presto, fin dall’infanzia (a quanto si diceva, almeno), a manifestare non comuni e spiccate attitudini allo studio.”[1]
A ciò va aggiunto che Ivan era anche laureato in storia naturale. Al termine del presente itinerario si tenterà, invece, di mostrare quanto Ivan ed Eichmann siano vicini.
Il primo episodio del romanzo che bisogna citare si svolge nella riunione della famiglia Karamazov presso lo starets Zosima. In questa occasione il liberale Miusov riferisce i contenuti di un'argomentazione tenuta da Ivan:
“egli dichiarò solennemente in una discussione che in questo mondo non c’è assolutamente niente capace di costringere gli uomini ad amare i propri simili; che non esiste affatto una legge naturale per cui l’uomo debba amare l’umanità; e che, se c’è e c’è stato finora amore sulla terra, non è per una legge di natura, ma unicamente perché gli uomini hanno creduto nella propria immortalità. Ivan Fedorovic aggiunse poi tra parentesi che appunto a questo si riduce ogni legge di natura, cosicché se si distruggerà negli uomini la fede nella propria immortalità, senz’altro si inaridirà in loro non soltanto l’amore, ma ogni energia vitale, capace di perpetuare la vita nel mondo. Non basta: allora non ci sarebbe più niente di immorale, tutto sarebbe lecito, perfino l’antropofagia. Non basta ancora questo: concluse affermando che per ogni singolo individuo, come noi per esempio, che non creda in Dio, né all’immortalità della propria anima, la legge morale della natura deve immediatamente trasformarsi nel perfetto opposto dell’antica legge religiosa, e che l’egoismo spinto magari fino al delitto non solo deve essere permesso all’uomo, ma addirittura riconosciuto come la soluzione più necessaria, più ragionevole e quasi la più nobile delle condizioni in cui si trova.”[2]