di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)
La giustizia (da intendersi come il tentativo, mai definitivo, di materializzazione della giustezza) è sicuramente la tematica centrale intorno alla quale si impernia l’etica, si potrebbe anzi dire che la giustizia rappresenti il “motore” dell’etica, la questione per rispondere alla quale nascono le etiche, intendibili, quindi, come soluzioni diverse ad una medesima domanda.
Per riuscire a mettere in pratica la giustizia, si è dato luogo ad una sua istituzionalizzazione: il diritto, all’interno del quale si pongono i diritti umani che, pertanto, sebbene si manifestino sotto forme istituzionalizzate, originano anch’essi (come lo stesso diritto e la stessa giustizia) da una interrogazione etica. In questo scenario, la politica si pone come il “filtro” tramite il quale avviene il passaggio dal piano etico-valoriale a quello pratico-istituzionale, ovvero, come un’infrastruttura necessaria per conquistare e mantenere il potere che, a sua volta, rappresenta il primario mezzo per la concretizzazione/istituzionalizzazione dei valori. Pertanto, la definizione dello status concettuale e pratico della giustizia, del diritto e dei diritti umani, si pone come uno dei primi e imprescindibili compiti che ogni associazione umana deve soddisfare, senza però avere mai la pretesa di esaurire poiché, sebbene la chiarificazione di dette questioni sia indispensabile perché si dia una pacifica convivenza umana (dal momento che quei concetti sono depositari di universali e legittime esigenze umane derivanti dalla basilare costituzione antropologica), non va però dimenticato come ogni loro specifica definizione sia costantemente “precaria” (in quanto storicamente determinata).