mercoledì 6 maggio 2009

Incontro con José Saramago

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Josè Saramago, premio Nobel per la Letteratura nel 1998, ha, qualche tempo fa, partecipato ad una convegno letterario svoltosi presso l'Università Roma Tre, al quale ha preso parte, tra gli altri, anche Manuel Vàzquez Montalbàn, ed ha espresso il suo punto di vista su temi che, a partire dalla letteratura, si espandono poi alla creatività umana in toto, potendo così, soprattutto in un momento di offuscamento del pensiero, risultare sempre illuminanti.

Se la funzione dello scrittore è quella di evadere, e far evadere, dalla realtà, allora lo scrittore stesso si situa parzialmente al di fuori della realtà, percependola in modo diverso rispetto a chi vive unicamente in essa e costituendo un esempio di esistenza alternativa a quella considerata normale, ovvero a quell'esistenza incapace di pensare ciò che ancora non esiste. Il romanzo, quindi, rappresenta la creazione di un universo virtuale con leggi proprie, una dimensione, cioè, immaginaria, fantasiosa, frutto di una visione ma nella quale sono presenti norme ben precise che lo scrittore ha individuato e che derivano inevitabilmente dalla realtà. Quella stessa realtà che lo scrittore trascende ma dalla quale prende le mosse, ed è per questo che un simile tipo di romanzo rappresenta anche un'opportunità di formazione per i giovani, abituandoli a pensare oltre l'esistente cosicché diventino i diretti artefici del proprio futuro.
In epoca moderna si è creduto che la funzione pedagogico-formativa del romanzo potesse essere assolta dal cinema e dalla televisione, ma (tranne in casi unici) è attualmente evidente che non sia così, anzi, cinema e televisione svolgono spesso un ruolo antieducativo, ed è dunque pressante l'esigenza di tornare al mondo letterario, inglobando in esso anche il saggio inteso come
summa di conoscenze. Molte parole hanno oggi perso di significato a causa dell'inflazionamento al quale sono sottoposte (l'esempio più emblematico è quello del termine "democrazia"). In tale contesto il ruolo dello scrittore è quello di ridare senso alle parole, di far notare che ogni espressione, al di là della funzione che descrive, è una metafora dietro la quale è presente un pensiero, un concetto, quindi il compito delle parole non si esaurisce nell'immediata descrizione di qualcosa, bensì le parole sono allusioni a ragionamenti che le trascendono e ai quali esse possono solo accennare; le parole sono introduzioni verso ragionamenti. Lo scrittore, per assolvere a tale compito, non è chiamato ad inventare nuovi vocaboli ma a riscoprire quelli già esistenti, riallacciandoli all'eredità linguistica del passato, adattandola al presente.

In questo universo di comportamento parola e concetto tendono a coincidere, o meglio il concetto tende ad essere assorbito dalla parola. Il primo non ha altro contenuto che non sia quello designato dalla parola nell'uso pubblicitario, standardizzato di questa, né ci si aspetta che alla parola segua altra risposta che non sia il comportamento standardizzato, proposto dalla pubblicità
H. Marcuse, L'uomo a una dimensione

(«Tabula Rasa», n. 0, 2003)

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