giovedì 11 ottobre 2018

Su Heidegger, Novalis e l’arte

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Ho recentemente intrattenuto una corrispondenza estremamente piacevole con un giovane dalla mentalità genuinamente filosofica, Michele Ragno. 
Lui mi ha sollecitato sul valore dell’arte in Heidegger e Novalis. Sulla delusione, del primo, per un’arte che non è più percepita come espressione del vero e l’auspicio, del secondo, ad una interazione poetica con il mondo, e se queste due prospettive possano ritenersi affini.
Di seguito, un estratto della mia risposta.

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La questione che poni è assolutamente affascinante – e certamente non esauribile in una corrispondenza come questa.
Come credo che pensi anche te, rispondono subito: sì, si può dire che la posizione di Heidegger sia vicinissima a quella di Novalis. D’altronde Heidegger era un lettore di Novalis, lo cita nell’Introduzione alla Metafisica: “Novalis afferma: La filosofia è propriamente nostalgia (…). Colui che non conosce la nostalgia non sa filosofare”. 
Quel che cambia è la prospettiva da cui osservano la questione, ma la osservano con la stessa sensibilità.
Ovvero. Heidegger ha uno sguardo più “sistemico”, rileva il distanziamento, l’espulsione dell’arte e del pensiero autentici dal mondo (discorso che nel secolo successivo verrà sviluppato nella critica francofortese alla cultura di massa, all’industria dell’intrattenimento, al kitsch, insomma alla falsa arte e al falso pensiero). In sintesi, se L’essenza dell’opera d’arte riposa sulla fidatezza (Verlässigkeit), che a sua volta dischiude L’essenza della verità, che non è un mero essere presente della verità (affermativamente), ma un non-esser-nascosto, allora l’oblio dell’Essere significa non riuscire a percepire quel non-esser-nascosto, quindi la verità (a-letheia), quindi la fidatezza che proprio su una simile verità riposa e dunque, infine, l’arte.
Novalis direi che ha uno sguardo più “poetico”, rileva lo stesso problema, ma lo osserva da dentro la poesia.
Qual è quindi il rimedio immaginato da Novalis? Ripoetizzare il mondo.
E come chiude Heidegger La questione della tecnica? (Opera dedicata proprio alla questione del Gestell, che sembrerebbe non avere nulla a che fare con l’arte). Richiamando l’essenziale affinità di arte e tecnica ed il fatto che in passato téchne significasse entrambe le cose (ovviamente, come ho scritto in conclusione di quell’articolo che so che consoci, non certo nel senso di una tecnologizzazione dell’arte, ma in quello di un’artisticità della tecnica: "Il senso perduto della tecnica").
E non è questo un invito, in pieno spirito novalisiano, ad una ripoetizzazione del mondo?
Insomma, se è vero che omnia munda mundis, tutto è puro per i puri, allora è altrettanto vero che tutto è artistico per gli artisti.
E allora qui si tratta dell’avere a che fare niente di più e niente di meno che con questo (un qualcosa che per Heidegger non può essere prodotto ma solo atteso, eventualmente facilitandolo): l’avvento di un’umanità poetica.  


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