di Chiara Taormina (chiara.taormina@gmail.com)
Le parole tradotte in poesia racchiudono sensazioni intime ed esternazioni di un vissuto. Il poeta Amandola ha uno scrigno di valori che interpreta stoicamente, negando il vuoto intorno a sé e rappresentando l’universo come un grande contenitore omogeneo, alimentato dal soffio vitale che genera emozioni. I suoi versi propendono verso la visione romantica in cui la natura “è la veste vivente della divinità”:
Qui, l’autunno muove le montagne, le prime nebbie
nascondono i suoni delle campane, altre volte, invece,
nascondono i suoni delle campane, altre volte, invece,
fuori dalla finestra si alzano occhi di alberi.
La sua poesia è il silenzio dell’anima, il luogo della meditazione interiore, il viaggio verso la libertà di essere interprete e filosofo della vita.
La sua poesia è il silenzio dell’anima, il luogo della meditazione interiore, il viaggio verso la libertà di essere interprete e filosofo della vita.
L’archè dei versi è l’amore per le cose semplici, per la famiglia e gli affetti, vivendo nostalgicamente i ricordi che fanno di ogni vero poeta un attento ascoltatore della propria anima.
Tagore diceva: Il fiore si nasconde nell’erba, ma il vento sparge il suo profumo.
Così Amandola sparge il profumo di ogni piccolo bocciolo del cuore e non dimentica di dipingere i contorni di una poesia legata alla natura, alle vibrazioni di un animo nobile.
Le radici della propria appartenenza sono importanti nel percorso dell’introspezione e così in una lirica per il padre, il poeta recita:
solo perché il giorno è finito
e mi fa paura pensare che tu stia ordinando le tue cose
e mi fa paura pensare che tu stia ordinando le tue cose
per far spazio ad altre ben più grandi di un semplice trasloco.
L’immensità dei legami di sangue, la paura del destino e della perdita sono la chiave di lettura di questi versi così intensi, ma equilibrati e delicati, in armonia con il tutto che regola questo mondo e le leggi dell’esistenza.
L’immensità dei legami di sangue, la paura del destino e della perdita sono la chiave di lettura di questi versi così intensi, ma equilibrati e delicati, in armonia con il tutto che regola questo mondo e le leggi dell’esistenza.
Ed è l’incertezza e la mancanza di prevaricazione del sapere che rendono grandi questi versi, nel loro dolore amaro e dolce allo stesso tempo, nutriti di autenticità e spogli di malizia, concatenati in una musica costante e straripante, come un suono che si propaga senza esitazione dal centro dell’Io. Nel chiudere con la frase celebre di un grande del passato, posso solo auguravi una buona lettura alla scoperta di un poeta contemporaneo di valore e dalle grandi qualità umane.
Sfiderà il destino, disprezzerà la morte e spingerà le sue speranze oltre la grazia, la saggezza e la peritanza. Voi lo sapete, esser troppo sicuri è il nemico peggiore degli uomini.
(William Shakespeare)
Ti seguirà il mio amore dentro le rose
sul tuo balcone che hai curato come un rifugio.
Non è più il tempo di guardarle con nostalgia
mentre il profumo si sfalda e passa il tramonto per la via.
Chissà che luce ti coccola dal letto, dove il mare
luccica sul vetro delle fotografie ed il sole va alto
sui campanili e le voci dei negozi.
Qui, l’autunno muove le montagne, le prime nebbie
nascondono i suoni delle campane, altre volte, invece,
fuori dalla finestra si alzano occhi di alberi.
IL CIELO RIFLESSO
Non ho che da spegnere la candela
sull’orlo dell’ultima parola
lì dove andiamo le tracce accendono decenni
uguali agli anni le periferie
combaciano le notti visitate
il filo che ha cucito il silenzio dei rumori
mentre sognavamo.
Qualche volta, però, la luce si allunga
le rose escono fiere dalla notte
a passo di rugiada le illusioni
distillano le ore in gemme e soprano di fiori.
I poveri si odiano tra loro
i ricchi fanno concorrenza a chi più “signore”
Non mi resta che spegnere la candela
sul bordo di un nuovo giorno e riposare
aspetterò la sera come se avesse lunghi
capelli neri, un rossetto di papaveri
una lacrima di anni
ed un sorriso...
e fiori di vesti battuti dal vento dell’autunno.
(Piccola poesia per mio papà)
Una volta mentre mi portavi sulla tua bicicletta
mi sembrava di allontanarmi insieme a te da tutto quello
che era pericoloso e ti faceva soffrire
crescendo, mi sono abbandonato al buio dell’anima
a un insopportabile dolore
camminavo nei giorni cercando quell’unica cosa che avrebbe dato luce di nuovo alla mia anima spenta
oggi rivedo per caso la tua bicicletta
ha il tuo stesso silenzio
la stessa pace interiore della terra del tuo orto
sul quale ti appoggi
e solo ora sto iniziando a vedere ciò che sto diventando
e ciò che tu devi ancora essere
e faccio fatica a credere che tu stia sistemando i tuoi attrezzi
solo perché il giorno è finito
e mi fa paura pensare che tu stia ordinando le tue cose
per far spazio ad altre ben più grandi di un semplice trasloco.
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