di Daniele Iannotti (fratelli.iannotti@alice.it)
Francesco Giacomantonio, Sociologia e Sociosofia. Dinamiche della riflessione sociale contemporanea, Asterios, Trieste 2012
La preoccupazione dalla quale l'autore del testo prende le mosse consiste nel constatare l'attuale statuto problematico della disciplina sociologica; nell'introduzione del volume, infatti, F. Giacomantonio ci ricorda il fatto che il peculiare oggetto di analisi di questa scienza, il collegamento con gli studi gemmatisi dalla filosofia ed il suo legame genetico e categoriale con quest'ultima, conferiscono alla riflessione sociologica la necessità costante di rivendicare una propria forma di autonomia. Il punto fondamentale si sposta perciò dall'oggetto di indagine al metodo in quanto «La sociologia è [...], la scienza segnata (consegnata al? Rassegnata al?) politeismo teoretico: in essa convivono e si confrontano continuamente paradigmi funzionalisti, strutturalisti e post-strutturalisti, marxisti», (p. 17) ecc. La questione, perciò, come ci rammenta l'autore, è la ricerca della piattaforma di senso sulla quale riflette la sociologia (cfr. p. 18).
Nel primo capitolo (pp. 19-42) viene evidenziata la difficoltà intrinseca del "moderno" che si costituisce come un miscuglio di progresso scientifico e tecnico, nonché di evoluzione politica ed economica accompagnate, però, da nuove forme di povertà, di alienazione dei singoli e smarrimento collettivo. Dinnanzi a questo oggetto mutato e mutevole, la sociologia deve ripensare le proprie forme e categorie interpretative della società, cercando di mostrare una maggiore duttilità senza però confondersi. La modernità ha abbattuto i limiti dello spazio e del tempo nelle relazioni intersoggettive (si pensi ai nuovi mezzi di comunicazione, ai social network, ecc.) e quindi al contempo si configurano nuove geometrie sociali. Coestensiva a questa deriva demiurgica della modernità è l'evoluzione del sapere da mezzo di emancipazione e collegamento tra ambiti di studio a strumento di irreggimentazione dei saperi stessi e delle diverse competenze; tale ingabbiamento si basa sul mito della specializzazione e dell'autonomia delle diverse discipline, le quali, seppur da salvaguardare, da sole non rendono giustizia della inedita complessità dell'evo contemporaneo. Questo sviluppo che procede per implementazione del "principio" di individuazione, si modifica in principio di individualità (assoluta), e dunque i soggetti contemporanei sperimentano nuove forme di individualismo che si esprime nelle modalità dello scambio, del consumo e del possesso. Ma, come sottolinea giustamente lo studioso, questo quadro: «ha avuto il limite di non eliminare la paura della possibile dissoluzione del senso» (p. 27).
Nel primo capitolo (pp. 19-42) viene evidenziata la difficoltà intrinseca del "moderno" che si costituisce come un miscuglio di progresso scientifico e tecnico, nonché di evoluzione politica ed economica accompagnate, però, da nuove forme di povertà, di alienazione dei singoli e smarrimento collettivo. Dinnanzi a questo oggetto mutato e mutevole, la sociologia deve ripensare le proprie forme e categorie interpretative della società, cercando di mostrare una maggiore duttilità senza però confondersi. La modernità ha abbattuto i limiti dello spazio e del tempo nelle relazioni intersoggettive (si pensi ai nuovi mezzi di comunicazione, ai social network, ecc.) e quindi al contempo si configurano nuove geometrie sociali. Coestensiva a questa deriva demiurgica della modernità è l'evoluzione del sapere da mezzo di emancipazione e collegamento tra ambiti di studio a strumento di irreggimentazione dei saperi stessi e delle diverse competenze; tale ingabbiamento si basa sul mito della specializzazione e dell'autonomia delle diverse discipline, le quali, seppur da salvaguardare, da sole non rendono giustizia della inedita complessità dell'evo contemporaneo. Questo sviluppo che procede per implementazione del "principio" di individuazione, si modifica in principio di individualità (assoluta), e dunque i soggetti contemporanei sperimentano nuove forme di individualismo che si esprime nelle modalità dello scambio, del consumo e del possesso. Ma, come sottolinea giustamente lo studioso, questo quadro: «ha avuto il limite di non eliminare la paura della possibile dissoluzione del senso» (p. 27).
È evidente, perciò, che si affaccia un nuovo paradigma di razionalità la quale cerca di interrogarsi su questa complessità di fondo; emerge, cioè, la necessità di superare la compartimentazione epistemologica con la quale gli strumenti scientifici della sociologia cercavano di leggere le strutture di una società ormai post-novecentesca e quindi post-dialettica e post-positivistica. A tal guisa, uno sguardo particolare è dedicato da F. Giacomantonio al rapporto con la scienza; ovviamente, a seguito di uno sviluppo senza precedenti, essa si è trasformata in «teoria della scienza o meglio nel metodo della scienza», evoluzione che «ha condotto alla cessazione di ogni forma di autoriflessione sulla conoscenza e sul soggetto conoscente e all'affermazione dell'assunto per cui contano solo i fatti e le relazioni che essi determinano» (p. 39). Le conseguenze più immediate di questa determinazione sono costituite da una inevitabile ideologizzazione della scienza; essa è vittima di un asservimento a mere logiche produttive che eliminano la differenza tra pratica e tecnica, colpendo così trasversalmente sia le scienze naturali che quelle dello spirito. Questa situazione ha degli indubbi riflessi sul tessuto sociale e sulla lettura che di esso viene fatta dalla sociologia. La fonte di legittimità sociale è nelle forze e forme di produzione (cfr. ibidem). È allora in questa cornice che il sapere stesso si piega alla rappresentazione di un conflitto perenne tra diverse forme di razionalità che coincidono con differenti esigenze di una ragione pluralista, il che vuol dire contesa, piegata a gruppi di potere e di interesse che rendono la ragione stessa una ragione strumentale; proprio per questo una società in cui il sapere è quantitativamente diffusissimo, soprattutto rispetto al passato, non riesce per lo studioso a farne una fonte di illuminazione. Si potrebbe dire in una battuta che si sa ma non si conosce.
Il secondo capitolo (pp. 43-58), invece, entra nel dettaglio della questione del rapporto tra cultura e sociologia, individuando il vulnus fondamentale della nostra epoca come quello di un deficit di idee che sussegue all'esaurirsi delle ideologie. Inoltre, proprio per quanto esposto nel primo capitolo, il testo mostra molto efficacemente come in realtà la società moderna abbia messo al bando ogni forma di mediazione intesa come forma di riflessione, come figura dell'impegno, tramutando le forze sociali da liberatrici a potenziali fattori di oppressione e di regolazione assoluta dei rapporti tra individui; in questo contesto sono le parole stesse, ubriache di nichilismo e relativismo, ad essere usate per isolarci in una sorta di sindrome autoimmune che ci affligge.
Se, dunque, è questo il quadro oculare col quale lo scienziato sociale deve interagire, non resta altro che articolare le linee essenziali della proposta "sociosofica" (terzo capitolo pp. 59-87). Molto brevemente ma altrettanto opportunamente, l'autore vuole spostare l'accento dal logos alla sophia ossia da un discorso ordinatore della realtà, la quale paradossalmente è appresa solo passivamente, ad una forma di conoscenza che recuperi il rapporto attivo tra soggetto ed oggetto, nel loro dinamismo e nella capacità da parte del primo di stupirsi, di provare meraviglia (cfr. p. 60). Tale progetto può senza ombra di dubbio partire dagli esiti e dalle considerazioni delle tradizioni novecentesche, tuttavia le deve necessariamente integrare; tale arricchimento è veicolato attraverso il recupero dell'universo del simbolico e della sociologia della conoscenza. Tramite queste due grandezze, in effetti, si assume che la realtà (così come la conoscenza) sia un costrutto sociale e quindi si determina attraverso l'interazione tra gruppi e tra singolo e gruppo, originando e ordinando istituzioni sociali la cui "aderenza" è giustificata proprio da tale attività; lì risulta decisivo l'investimento sulla mediazione simbolica, come accennavamo poc'anzi, grazie alla quale interpretare le vicende del singolo e delle formazioni sociali (cfr. pp. 63-64). Ultimo concetto è quello di reificazione – termine depurato da elementi politico-critici di origine marxiana (come nota l'autore in una nota a p. 64); essa, in altri termini, veicola il recupero della dimensione del senso della realtà anche se è preesistente all'uomo, in quanto viene vissuta come derivante dalla modalità teoretica di conoscenza del mondo posta in essere proprio dall'uomo stesso, come singolo o in relazione ad altri.
Non si dà una adequatio alla realtà stessa, non si fornisce una teoria che sia immune da esiti aporetici; la realtà va superata in un moto emancipativo, così come aveva annunciato la vicenda polifonica della teoria critica. Si crea, sostiene l'autore, «uno spazio di pensiero che vuole superare l'ontologia di un codice binario, che vede solo l'identificazione o l'annullamento» (pp. 69-70), una logica che oltrepassa la necessità, da parte del pensiero, di dover giustificare la propria utilità "produttiva" in quanto situa lo stesso nello spazio della mediazione. Se tutto ciò è vero e praticabile, osserva ancora F. Giacomantonio, allora il discorso sociosofico dischiude necessariamente anche delle conseguenze di tipo etico: al soggetto (ed evidentemente ai gruppi, dotati come sono di soggettività) è attribuita nuovamente la capacità di scelta razionale e libera.
Fornito questo nocciolo argomentativo per la prospettiva sociosofica, il testo si avventura in maniera molto pertinente in considerazioni critiche circa gli autori della cosiddetta "Scuola di Francoforte", cercando così di cogliere gli aspetti dei singoli impianti che possano fecondare la prospettiva oggetto della trattazione del volume. Emerge con chiarezza che i nuclei essenziali attorno ai quali fondare tale orizzonte si costituiscono in tre elementi: articolazione (la nuova possibile ontologia), apertura (l'eredità di tutta la teoria critica) e cura (riprendendo le brillanti intuizioni di M. Focault). Tali elementi, a loro volta, sono ibridati attraverso la mescolanza con diversi fattori: il rapporto dell'uomo col tempo (ovvero memoria, storia, ecc.), idea di libertà ed autonomia, la conoscenza e l'immaginazione (p. 82). Tra questi fattori, vorrei dedicare qualche considerazione proprio all'ultimo. Come scrive opportunamente lo studioso, essa esplica la sua forza attraverso il rinviare, il quale supera la rigidità del principio assiomatico di identità e non contraddizione, costituendo così lo strumento per poter applicare la medialità del simbolico; non è dunque eterodosso sostenere che la Sociosofia non «propone una riflessione sociale finalizzata a immaginare cose che non ci sono; piuttosto è in gioco una forma di riflessione sociale attenta a ricordare che posso esserci cose che non si immaginavano» (p. 87, corsivo mio).
Per tracciare un bilancio di questo testo, possiamo senza dubbio sostenere che in esso l'autore presenta le argomentazioni in oggetto con chiarezza espositiva e con una precisa analisi del contesto attuale, nonché del quadro teorico che ci viene consegnato dalla modernità sotto forma di diversi sistemi di pensiero filosofico, sociologico, scientifico e persino economico. La disamina dello statuto epistemologico e teoretico della sociologia non può che trovare condivisione, soprattutto quando a dominare sono tentativi sterili e velleitari di un eccessivo autonomismo rispetto al passato e alle altre forme di conoscenza. Tale prospettiva cerca di demolire non solo la logica manichea insita nel codice binario, la quale ci induce ad eccessive e fuorvianti semplificazioni ontologiche, ma tenta ancor più proficuamente di riscattare l'uomo ed il suo animo dalla deriva "oggettivistica" verso la quale naufraga ogni tentativo di pensare l'umanità altrimenti. È dunque difficile non accogliere tale visione con favore, anche se temo che, dato il quadro attuale degli ordinamenti di studio e vista la tendenza mondiale ad emarginare i saperi umanistici, sia difficile formare nuove leve di sociologi capaci di far dialogare fecondamente il rigore statistico e metodologico che si confà ad una "scienza" con il ruolo evocativo e rinviante dell'immaginazione, che non può escludere la preparazione umanistica ed i suoi strumenti. Chiederei perciò all'autore se siamo realmente capaci di prendere i cocci dei vecchi idoli abbattuti grazie al progresso scientifico e di non innalzarne degli altri; come facciamo a salvaguardare fantasia ed immaginazione quando abbiamo smesso di tentare di pensare il futuro?
Daniele Iannotti
Ph.D. in “Forme e storia dei saperi filosofici nell’Europa moderna e contemporanea”. Indirizzo: “Etica e Antropologia” – Università del Salento
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