domenica 27 settembre 2015

Il programma di un umanesimo. Verso la liberazione dell’uomo. Herbert Marcuse. Eros e civiltà

di Pietro Paolo Piredda (pietropaolo.piredda@istruzione.it; II di 2)

II parte: Origine e sviluppo della civiltà repressa

Per capire questa dialettica di costruzione e distruzione della civiltà è bene vedere la connessione tra la psicologia individuale e la teoria della civiltà in Freud (Il disagio della civiltà).

La ricerca delle origini della repressione ci riporta all’origine della repressione degli istinti, che ha luogo durante la prima infanzia. (…) È nel bambino che il principio della realtà compie la sua opera (p. 96).

Marcuse in questa seconda parte usa le suggestive immagini e analisi di Freud sulla nascita della civiltà : il “padre primordiale” che domina l’orda primitivorum” e quella del “clan fraterno”. E’ chiaro che l’analisi di Freud non sia scientificamente dimostrabile, ma Marcuse ne assume il valore simbolico:

Se l’ipotesi di Freud non è confermata da alcuna prova antropologica, essa dovrebbe essere scartata in pieno salvo il fatto che condensa (…), la dialettica storica del dominio, e in questo modo getta luce su aspetti della civiltà ancora inspiegati. Noi usiamo la speculazione antropologica di Freud solo in questo senso: per il suo valore simbolico (p. 100).

Nella teoria di Freud tutti gli atteggiamenti infantili non sono altro che il ripresentarsi di espressioni della specie. La matura civiltà di oggi è regolata dalla immaturità psichica arcaica e il materiale represso ritorna sempre; l’individuo è continuamente punito per azioni mai commesse.
Ora precisiamo meglio la profonda connessione tra psicologia individuale e sociale.
Il primo gruppo umano fu governato da un solo individuo che si impose a tutti; dal suo dominio nacque l’organizzazione sociale: è il ‘padre primordiale’. Segno del suo potere è il monopolio della donna, considerato piacere supremo; l’orda primitivorum è sottomessa a questo potere. Questo monopolio rappresenta la distribuzione ineguale del piacere e della sofferenza ma chi non sottostà a questo dominio è ucciso, castrato o esiliato.
Reprimere il piacere è essenziale per tenere in vita questa società, dominarla. Il lavoro per portar avanti l’orda era affidato ai figli che:

in seguito alla loro esclusione dal piacere, riservato al padre, erano diventati liberi di incanalare le energie istintuali in attività penose, ma necessarie (p. 101).

Questo modello diventerà paradigmatico per lo sviluppo successivo della civiltà: il padre crea le pre-condizioni per la disciplina futura della forza-lavoro per mezzo di costrizioni imposte al piacere. Inoltre l’amore e la protezione giustificano questa organizzazione, considerato che ad imporla era il padre e a lui era anche legata. Senza il padre primordiale, il suo dominio, questa civiltà si sarebbe dissolta. Il favorito per ereditare questo potere è il figlio minore: protetto dalla madre. Tutto appare più che efficiente ma l’odio dei figli ribelli esiliati dal piacere aumenta sempre di più e culmina nel “parricidio originario”, il quale viene divorato collettivamente.
Al potere del padre si sostituisce quello del “clan”, il quale deifica il padre ucciso e così tutti i tabù e le costrizioni da lui imposte vengono introiettate in ciascun membro: nasce così, da questa strutturazione colpevolizzante la coscienza sociale.
Dal “senso di colpa” dipende tutto lo sviluppo della civiltà.
Dopo la morte del padre si aprono due possibilità:
1)  il dissolvimento del gruppo, tenuto in piedi dal potere paterno;
2)  il miraggio di una società senza padre, libera dal suo dominio.
Il primo pericolo è sventato dallo stesso senso di colpa del gruppo che ha introiettato tutti gli ordinamenti paterni. D’altra parte vi è la diffusione del piacere, ma l’introiezione del senso di colpa impone l’auto-repressione.
In seguito sarà il “clan fraterno” a tenere in piedi l’organizzazione sociale ma la promessa di libertà è stata tradita, la nuova libertà è repressa dalla loro stessa autorità.
Dopo il patriarcato ci fu il matriarcato che il clan fraterno però frenò: nella nuova società vi è l’assoluta esclusione della donna per evitare l’incesto.
L’infanzia ripercorre quest’archetipo: il bambino lo prova nel complesso d’Edipo.
Anche lo stesso “crimine primordiale” si ripete nella storia: sono i cosiddetti conflitti generazionali in cui l’anziano o il vecchio rappresentano l’autorità costituita.
La religione cristiana, da Freud, è letta sotto la stessa luce: la vita e la morte di Cristo rappresentano la lotta contro il padre.
Il messaggio di Cristo è la liberazione dalla legge, dal dominio in favore dell’Agape (Eros). Cristo rappresenta il redentore della carne, ma gli apostoli tradirono il suo messaggio divinizzandolo: allontanarono il suo messaggio dal mondo e perpetuarono sofferenza e repressione.
Le guerre contro i poveri cristiani” è voler dimenticare il crimine del figlio, nell’uccisione di coloro le cui pratiche rievocano il crimine.
La religione opera così una deviazione storica dellenergia da un miglioramento reale, storico, a favore di un mondo immaginario di salute eterna.
La religione, come la scienza, si è fatta strumento distruttivo.
È il perpetuarsi dell’alienazione, un ritorno del represso, di quella impressione del passato in tracce inconsce della memoria, asserisce Freud. Ciò si fa chiaro nei processi della pubertà: dopo le fantasie incestuose dell’infanzia vi è la rottura con l’autorità dei genitori e il sorgere dei conflitti generazionali necessari per il progresso della cultura. Tra situazione primordiale e ritorno storico vi è una differenza: il padre non è più ucciso, anzi appare vittorioso e garanzia della vita del figlio.
Come è riuscita la società a realizzare questo compromesso?
La funzione repressiva del padre viene trasferita all’individuo stesso, nel Super-Io, in seguito passa alla Società, alle Autorità, a Dio,  a tutto ciò che insegna al figlio a diventare membro maturo della società.
La repressione è distribuita più razionalmente tra padre, figlio, società. La famiglia monogamica limita il monopolio del padre sul piacere.
La proprietà privata ereditabile e il lavoro sono l’attesa del figlio di un proprio piacere secondo le prestazioni sociali.
Anche l’oggetto originario della lotta, la donna, che nel caso specifico era la madre, è modificato: l’amore sessuale verso la madre è trasformato in affettuosità.
Tra sessualità ed affettuosità vi è una rottura che poi si reincontrerà nella donna propria del figlio. La donna quindi, da una parte, rappresenta la “meta inibita”, dall’altra, la “meta raggiunta”.
In un sistema di inibizioni ricompensate il padre può anche essere rovesciato perché ormai la sua immagine ritorna in ogni figlio, si fonde in ogni autorità costituita.
Il dominio è cresciuto sempre più razionalmente ed è proprio questo sviluppo che mina la base costitutiva della realtà, di questa civiltà così come costituita.
Il progresso contiene in se stesso la sua condanna; porta con sé la re-gressione; ogni agio e ogni ricerca scientifica non rappresentano altro che un continuo tentativo di ri-creare nel mondo esterno quello che fu lo stato intrauterino.


III parte: Fantasia e lavoro: premesse di libertà nell’Utopia

Una volta trovate le cause della repressione, dare delle soluzioni esaurienti diventa la parte di lavoro più ardua. La storia dimostra come anche nelle nuove prospettive offerte da Marcuse, pur con valida analisi, via sia una certa dose di insufficienza e una buona dose di utopismo.
Quali sono le soluzioni di Marcuse?
Per il nostro autore bisogna andare al di là del principio di Realtà ed elaborarne uno nuovo. Occorre cioè cambiare le condizioni della civiltà perché se ne modifichino gli istinti principali che ne sono alla base: Eros e Thanatos.
Per il Marcuse di Eros e civiltà è possibile arrivare ad uno sviluppo non repressivo della libido anche nella società matura, e lo fa seguendo quelle che lui stesso chiama ‘speculazioni’ di Freud (pag. 156, ed. 2001); e non è detto che la parola “speculazione” sia necessariamente assunta come positiva.
Quali  sono gli strumenti per il recupero di questo “nuovo” principio di realtà?
Il primo mezzo individuato da Marcuse è la “fantasia”, ossia l’unica attività umana “slegata” dalla realtà:

una sola attività del pensiero è scissa dalla nuova organizzazione dell’apparato psichico, e rimane libera dal dominio del principio della Realtà: la fantasia che è protetta contro alterazioni culturali e rimane legata al principio del Piacere (p. 61)

E con essa la restaurazione della memoria, e non il semplice recupero di essa:

Il fatto che nella psicanalisi la memoria abbia una posizione centrale come modo decisivo di cognizione, è è molto più che un semplice espediente terapeutico; la funzione terapeutica della memoria deriva dal valore di verità della memoria. Il suo valore di verità sta nella sua funzione specifica di conservare promesse e potenzialità che sono state tradite., (…) dall’individuo civile e maturo (p. 65)

e ancora

La restaurazione della memoria è accompagnata dalla restaurazione del contenuto cognitivo della fantasia (p. 66)

Insomma, la recherche du temps perdu” diventa mezzo per la futura liberazione; il passato riscoperto offre le norme critiche che il presente ha represso.
Il secondo strumento è il lavoro, o meglio, una nuova concezione di esso. La soddisfazione dei bisogni umani fondamentali, siano essi sessuali come sociali ( alimentazione, abitazione ecc…) non sono più concepiti come “fatica del lavoro”, ossia ciò che caratterizza il lavoro alienato.
Il lavoro alienato, infatti, non deve più dominare l’esistenza umana:; l’automatizzazione generale del lavoro porta alla riduzione della durata e ad una intercambiabilità di funzioni.
Ma ciò che è essenziale è l’annullamento del concetto di produttività che regola la società industriale avanzata.
Ridurre il lavoro però significa ridurre lo stesso tenore di vita il quale è determinato in termini di possesso e di accumulo secondo le logiche imposte dal mercato, il quale rappresenta il tipico esempio del p. di Prestazione e la sua riproduzione sociale; il benessere è misurato in aerei, macchine, ecc…
Ciò che determina la società è la misura a cui è legata: i sensi di colpa e la paura; poter soddisfare i bisogni umani fondamentali deve porsi come nuova misura della civiltà. Legare quindi il lavoro non per la produttività autoreferenziale e che determina la riproduzione dei modelli sociali alienati da lui analizzati ma il lavoro visto in prospettiva della liberazione degli istinti dell’Eros slegato dal principio di Thanatos e per la liberazione del p. di Piacere, e quindi conseguimento del benessere condiviso.
L’umanesimo cui aspira Marcuse è l’uomo restaurato nella “libertà di ciò che dovrebbe essere” piuttosto che in ciò che si ritrova ad essere. Qui la filosofia pratica: il pensiero come silenzio, il silenzio della teoria (quella che Habermas teorizza come funzione vicaria) che si fa custode della parola, e la parola avvocato del silenzio. Non afasia non mutismo ma pensiero meditante alla ricerca della verità dell’uomo sull’uomo. Come dice Sollazzo (in alcuni luoghi di “CriticaMente”, cfr. http://costruttiva-mente.blogspot.com) un ex-stare, uscire dal rumore, per fare della meditazione la possibilità della parola sensata nella ricerca della Bellezza o della Verità che le è pari.

Così Marcuse:

Nella critica del Giudizio, la dimensione estetica e il corrispondente senso di piacere, non sorgono soltanto come una terza dimensione e come una facoltà della mente, ma come un centro, come mezzo per tramite del quale la natura diventa possibilità di libertà, necessità di autonomia. In questa mediazione la funzione estetica è una funzione ‘simbolica’. Il famoso paragrafo 59 della Critica porta il titolo “Della bellezza come simbolo della morale”. Nel sistema di Kant la morale è il regno della libertà nel quale la ragion pratica si realizza sotto che essa detta a se stessa. (…) Poiché la libertà è un’idea alla quale non può corrispondere alcuna percezione sensoriale, questa dimostrazione può solo essere “indiretta”, simbolica, per analogia (p. 196, ed. 2001)

La stessa sessualità, non più repressa ma sublimata, atta a creare rapporti umani di “alta civiltà”, trasformata questa in Eros come Agape (Agaton): con-vivialità condivisa.

Vale quindi la pena per concludere, esulando per un momento dal nostro autore, notare che l’Amore (Eros) e la soddisfazione dei bisogni (appetitus), in un’autrice quale H. Arendt trovino convergenza per definire il Bene assoluto dell’uomo «l’appetitus o Amor è la possibilità dell’uomo di entrare in possesso del suo Bonum» (H. Arendt, Il concetto d’amore, Milano 1992).

Qui, oltre l’immanenza l’Assoluto, quello che appartiene allo Spirito piuttosto che alla materia.


Appendice

Marcuse precisa la distinzione tra fisiologia del capitalismo, metafisica del capitalismo e la sua critica storica che resta compito aperto, (differenziando materialismo naturale da materialismo storico), categoria del ‘Geist’. E’ una forma di materialismo rozzo quello che vede l’essenza della realtà come sola materia. La materia, aspetto propriamente quantitativo è ciò che costituisce la sofferenza. Il materialismo nella visione dei Francofortesi resta inerente lo Spirito, seppur nella sua mediazione storica.
E’ il primato dello Spirito che salva dalla prepotente repressione della materia. La scuola di Francoforte dà un significato ben specificante alla categoria estetica ( ex-stare ) come forza liberante rispetto la materia.
E’ frutto di una falsa coscienza fare ristagnare l’esistenza umana sulla materia. Il male assoluto non è il capitale ma il processo della sua formazione stagnante in quella logica che Hegel definì dialettica servo-padrone secondo la determina della “la bilancia dei Balek” nell’omonimo racconto di H. Boell ma ben indagato dalla filosofia weberiana.
La falsa coscienza è la manifestazione mascherata dell’essenza di una società ( p. di Realtà ), viene teorizzato come naturale qualcosa di storico ( così fa Freud, il quale Adorno demolisce nella sua pretesa di sondare una supposta profondità sotto una supposta superficie ) ; è una reificazione per cui la realtà come la divisione del lavoro, il profitto, la penuria, la povertà sono considerate legge di natura anziché influsso e risultanza di processi storici:

A seconda del grado in cui corrispondono alla realtà data, pensiero e comportamento esprimono la falsa coscienza , che si adatta e contribuisce a mantenere un ordine di fatti inautentico. Questa falsa coscienza è ormai incorporata nell’apparato tecnico dominante, che a sua volta lo riproduce (H. Marcuse, L’uomo a una dimensione. L’ideologia della società avanzata, trad. it. Einaudi, Torino, 1991, p. 159)

La reificazione si impone quindi con la stessa pretesa di essere struttura portante sociale non modificabile (con razionalizzazione onto-filogenetica ).
Dal punto di vista dialettico critico si impone l’esigenza di operare sempre un rovesciamento di questa falsa coscienza ( che Freud vede cristallizzata nel disagio della civiltà fin dalla sua origine), vedere come non ovvio ciò che si manifesta epifenomicamente (legge naturale immodificabile) per cui la stessa etica politica si fissa su esigenze macro-economiche svalutando i micro-sistemi dell’individuo innestato nella società; è la divisione del lavoro, è lo sfruttamento della forza lavoro secondo logiche unidimensionali: quelle del plus-valore. Il male non è il capitale ma il processo della sua formazione secondo la logica e la dialettica servo-padrone.
L’unica unidimensionalità possibile è nel rapporto alla verità: «pensare in accordo con la verità significa impegnarsi ad esistere in accordo con la verità (…) Il carattere sovversivo della verità conferisce quindi al pensiero una qualità imperativa» (H. Marcuse, Eros e civiltà, trad. it Einaudi, Torino, p. 148). Il riferimento marcusiano è platonico-socratico.
La riflessione che si impone,  se non si vuole percorrere un cammino di disperazione (ossia di disgregazione, discrasia, disfunzione, ingiustizia) significa attivare le forze capaci di fare scomparire questa reificazione alienante che vige nella società intesa come solo fare secondo un p. di Prestazione e negando spazio alla fantasia della vita personale, insondabile ed inviolabile ( che si esplicita come estetica in versione etica, ossia ex-stasi : uscire dallo stato di apparente stabilità che il sistema economico sembra saper imporre a discapito della vita e i suoi ritmi. L’accellerazione sociale che viviamo ciò non vuole permetterlo:

L’Io deve diventare libero, ma se il mondo ha “carattere di negatività”, la libertà dell’io dipende dall’essere “riconosciuto”, “accettato” come padrone – e questo riconoscimento può essere offerto soltanto da un altro Io, da un altro soggetto che abbia coscienza di se stesso. (…) L’autocoscienza può raggiungere la propria soddisfazione in un’altra autocoscienza. (…) L’atteggiamento aggressivo verso il mondo degli oggetti, il dominio della natura mirano quindi in definitiva alla dominazione dell’uomo sull’uomo. “E’ la relazione negativa” (ibid., pp. 145-146).

L’estetica, nella specificità Etica, è quindi attivare quelle forze ( esulanti dal lavoro, poiché anche la cultura abbia il suo spazio espressivo non vincolato esclusivamente alle esigenze economiche-finanziarie, è in definitiva l’evangelico ‘non di solo pane vive l’uomo’; è quindi sottolineata la necessità della cultura. Sviluppare la capacità di dire che questo sistema può essere un metafisico inganno, poiché «Quando la logica ridurrà la verità di pensiero a segni e simboli, le leggi del pensiero finiranno col diventare tecniche di calcolo e manipolazione» (ibid., p. 144).
Si tratta cioè di scoprire le leggi e i complessi movimenti per cui questa superficie, falsa coscienza, si presenta come profondità (ciò che Marcuse cerca di far capire riflettendo simbolicamente  sulla teorizzazione simbolica freudiana) vista come essenza immodificabile (ontologicamente e filologicamente fondate).
Il pensiero ha la sua plausibile credibilità fin tanto che si pone come barriera all’accecamento, si fa riflessione critica e rovesciamento dell’ovvietà, e resistenza contro le istanze manipolatorie dell’essere.
La maggior comprensione della realtà implica una maggior responsabilità dal punto di vista decisionale; ma il decisionismo (che esula dal ciò che si fa, come si fa e perché lo si fa) è indice di “falsa coscienza”, supportata ideologicamente e perseguita demagogicamente. La sovrastruttura degli interessi si oppone alla struttura stessa, de-responsabilizzandosi e negando la responsività (ossia il dare ragione e conto di ciò che si attua col "fare" decisionale); vivere la notte in cui le lucciole sono prese per fari e le motivazioni sovra-strutturali di un sistema destabilizzante che vuol perseguire “nel tanto peggio tanto meglio” gli obiettivi dello speculum di  Prometeo (homo agens) opposto a quello di Narciso (un Narciso che riesca a vedere l’altro nell’io, piuttosto che specularmente ammirare la propria “bellezza”) e di Orfeo. Orfeo come Narciso non sono principi civilizzatori (come Prometeo), ma essi stessi parte di un principio di Realtà, sebbene “altro” (cfr. ibid., pp. 185-188), e ancora, ad osservazione attenta delle trasformazioni sociali succedutesi anch’essi ormai inglobati in un principio di Prestazione, sebbene occultato nel suo manifestarsi (cfr. G. Debord, La società dello spettacolo, trad. it. Baldini & Castoldi, Milano, 2013)
Non si può  costruire un edificio minandone le fondamenta: «La teoria di Freud segue la tendenza generale: nella sua opera, le posizioni razionali del principio di realtà soppiantano le speculazioni metafisiche sull’Eros» (ibid., p. 156).
Questa risultanza dell'attualità della “politica” trova nell’”inattualità” del pensiero critico la ricerca del senso. La nottola di Minerva che arrivi a non considerare solamente ed esclusivamente “il già dato”. Interpretare le strutture del presente, e le connesse sovra-strutturalità, pongono le basi d'intendimento del futuro: ma altra è la sua com-prensione e successiva legittimazione. E’ utile ricordare che l’obiettivo finale della critica marcusiana ripresa ne L’uomo a una dimensione sarà la cosiddetta “società dell’opulenza” che si lascia per strada tanti “resti”: “è solo a favore dei disperati che ci è data la speranza”.
                                                                                                                  
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H. Marcuse, nato a Berlino nel 1898, morto negli USA nel 1979; laureatosi nel 1921 a Friburgo; con lui anche Heidegger. Fece parte dell’Istitut fur Sozialforschung di Francoforte, di cui fu insigne rappresentante. Insegnò in varie Università americane, dopo aver lasciato la Germania a seguito dell’ascesa di Hitler e del Nazismo al potere e l’emanaziane delle leggi razziali contro gli ebrei.

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3 commenti:

  1. Il materialismo nella visione dei Francofortesi resta inerente lo Spirito, seppur nella sua mediazione storica. Capisco che la frase possa sembrare esprimere un non-sense. Qui si intende precisare quando espresso in Appendice per una maggior comprensione del testo, il quale resta un’approccio determinato al saggio Eros e civiltà.
    Quando si fa cenno allo Spirito –Geist– è chiaro che la risonanza semantica porti a diversità interpretative, (come d’altronde nel senso comune è lo spirito del tempo, lo spirito faustiano, persino la battuta di spirito, spiritosaggine ecc…), in questo caso la matrice del pensiero di Marcuse fa leva sul sistema hegeliano e con esso può essere recepito il senso -come orientamento più che significato- (da ricordare che Hegel, quale enciclopedico, riprende molta parte della tradizione attinente questa categoria modale che si fa sostanza nel Geist), poiché lo Spirito è espressione della linearità del tempo nel suo sviluppo (prova ne sia lo sforzo preminente che fa nel suo Estetica per ricomprendere la Fenomenologia dello Spirito attraverso il suo sviluppo storico e il suo emergere di senso e significato). Lo spirito (necessariamente scritto in minuscolo) è invece lo sforzo determinato che viene enunciato nella mediazione prettamente culturale (e quindi in tutte le sue forme di manifestazione storica: dalle più semplici alle più complesse, dalle più rozze e meschine alle più elevate e raffinate) e include, nel pensiero dei Francofortesi, l'accentuazione critica derivata dalla seconda istanza del procedimento triadico-dialettico cui fa leva, procedimento triadico che si pone in una forma sillogistica aperta, rozzamente e manualisticamente posta come un movimento di tesi-antitesi-sintesi. La negazione determinata (antìtesi) è la forza del negativo (ma come negazione determinata e non assoluta) che si espande non chiudendosi, volutamente, in una sintesi (che è positivo in quanto negazione della negazione). Ciò equivale a rendere aperta l'istanza critica (discrimen come discernimento del non detto, il non-ancora in Bloch) prima ancora che si possa affermare in una sintesi; in Hegel questa sintesi -negazione della negazione che si pone come positivo in-sé-per-sé- è chiamata Aufhebung termine che racchiude in sé la paradossalità del togliere mantenendo allo stesso tempo!

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  2. Togliere in maniera determinata e com-prendere assorbendo i termini precedenti ma, aprendosi ancora ad un ulteriore movimento in cui si pone-si toglie in modo determinato e si sintetizza ancora una volta in un positivo che a sua volta si progetta (similare al Dasein heideggeriano; e il punto di partenza logico-dialettico in Hegel è Essere-Non-essere-Divenire) in un ulteriore movimento triadico-dialettico-sillogistico. Ciò rende il pensiero critico occhio vigile sul tempo vissuto nell'attualità delle mutazioni, con la pretesa (tale finchè non legittimata) di custodire quella linearità dello Spirito che esprime la Ragione e la ragionevolezza seppur senza chiudere in una sintesi positiva ciò che appare, quindi fenomelogicamente o come epifenomeno, instabile (T.W.Adorno, Dialettica negativa, Einaudi, 2004, p.158: E’ bene mantenere criticamente la dualità di soggetto e oggetto contro la pretesa di totalità inerente al pensiero). Ossia è un aspetto che rivela una certa entropia (o eclissi per M.Horkheimer) non ancora chiarificatasi. Questo commento per meglio intendere che non si può fare filosofia senza la sua storia (ciò differenzia la filosofia dalle altre scienze: nessun fisico si sognerebbe, per fare fisica, studiarsi prima Tolomeo e nessun chimico studiare l’alchimia per fare chimica; si può fare fisica prescindendo, anzi doverosamente farlo, da questi passaggi storici della loro scienza; non altrettanto è per il filosofo che comunque si confronta con Eraclito o Parmenide, Platone, Aristotele o Kant ecc…e non si potrebbe fare filosofia senza studiarne la storia ed evoluzione) e senza i suoi termini e, soprattutto va ricompreso il pensiero di Marcuse nella tradizione del pensiero hegeliano da cui scaturisce (anche per le teorizzazioni della sinistra hegeliana) e la frattura, iato, aperto dalla filosofia heideggeriana (che allo stesso modo di Hegel vuol ri-comprendere tutta un’intera tradizione; niente vieterà in un futuro di parlare di una destra e sinistra heideggeriana come già per Hegel, soprattutto alla luce della recente pubblicazione dei cosiddetti Quaderni neri, ma in nuce già nella riflessione della scuola di Francoforte con la meditazione di Adorno: Ma l’essere heideggeriano, senza molto differire dallo spirito, suo antipode, non è meno repressivo; solo più opaco di quello, il cui principio era la trasparenza; perciò ancor più incapace di autoriflessione critica sulla propria essenza dispotica di quanto lo siano mai state le filosofie dello spirito. (op. cit., p. 91)

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  3. Ma è quasi controcanto alla filosofia di Jaspers –filosofo psichiatra– che Marcuse si spinge nello sforzo determinato della critica; ossia esulando dalle consuete domande: da dove vengo, chi sono, dove vado con un netto: ci siamo! e da qui partire: Se chiamo mondo tutto ciò che, attraverso l’orientazione conoscitiva, può esserci accessibile come contenuto che tutti possono conoscere in termini logicamente vincolanti, allora nasce il problema se la totalità dell’essere si esaurisce nell’essere nel mondo, e se nel pensiero conoscitivo si conclude con l’orientazione nel mondo (cfr. C. Jaspers, Filosofia 2, Chiarificazione dell’esistenza, Mursia, 1978, p. 25). E ancora, in perfetto accordo: Quale che sia la nostra origine, esistiamo. Ci troviamo nel mondo con altri uomini, (cfr. C. Jaspers, Piccola scuola del pensiero filosofico, Ed. SE, 1998); in altra direzione fa lo stesso Bloch nell’Intenzione del suo Spirito dell’utopia (1923): Io sono, Noi siamo. E’ abbastanza. Ora dobbiamo cominciare. La vita è nelle nostre mani. Barcolla insensatamente, ma noi siamo fermi e vogliamo diventare il suo pugno e le sue mete. Anche se ritornerà sui suoi passi nell’enunciare Il principio speranza (1959) in cui appunto esordirà così: Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Che cosa ci aspettiamo? E cosa ci aspetta?
    Questo è il motivo per cui la filosofia critica si pone come tale -dialettica negativa- e si immerge nella sociologia; ossia diventa fuga dalle, hegelianamente intese, anime belle: coloro che non si sporcano le mani nella situazione storica determinata (cfr. Adorno, op. cit., p. 206: La libertà è concepibile soltanto nella negazione determinata della corrispondente figura concreta dell’illibertà.) e conclude Marcuse, L’uomo a una dimensione, Einaudi, 1991, p. 265: La teoria critica della civiltà non possiede concetti che possano colmare la lacuna tra il presente e il suo futuro; non avendo promesse da fare né successi da mostrare, essa rimane negativa. In questo modo essa vuole mantenersi fedele a coloro che, senza speranza, hanno dato e danno la loro vita per il Grande Rifiuto. Inutile dilungarsi sulla natura del Grande Rifiuto cui Marcuse si riferisce.

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