martedì 6 maggio 2014

Democrazia e democrazie (Appunti sulla democrazia)

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Benché possa sembrare superfluo ripeterlo, dall’osservazione della realtà che ci circonda risulta invece come non sia affatto pleonastico (e questo già ci dice qualcosa su questa realtà): la democrazia è un valore, le democrazie dovrebbero rappresentare la realizzazione, mai definitiva, dello stesso. Cerchiamo allora di chiarire qualcosa su quel valore in sé e sulle sue realizzazioni.
Norberto Bobbio (che al tema, latu sensu, della democrazia dedicò tutta la sua attività intellettuale) individua come valori ultimi «in base ai quali noi distinguiamo i governi democratici da quelli che non lo sono, (…) la libertà e l’eguaglianza» (Democrazia Totalitarismo Populismo). A proposito della libertà poi, divide la stessa in “libertà da (libertà negativa)” e “libertà di (libertà positiva)”. In sintesi, la libertà da (libertà negativa) è quella in cui un soggetto ha la possibilità di agire senza essere impedito e/o costretto da altri soggetti, è la libertà d’azione, è la forma di libertà dei moderni, ha il suo prototipo nelle libertà civili, nasce da autori quali Thomas Hobbes, John Locke e Montesquieu; la libertà di (libertà positiva), è quella in cui un soggetto ha la possibilità di orientare il proprio volere verso uno scopo senza essere determinato dal volere altrui, è la libertà della volontà, è la forma di libertà degli antichi, nasce da autori quali Jean-Jacques Rousseau, Immanuel Kant e Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Esse si co-implicano, infatti «la ‘libertà da’ e la ‘libertà di’ si implicano nel senso che, essendo due aspetti della stessa situazione, l’uno non può stare senza l’altro o, in altre parole, in una situazione concreta nessuno può essere ‘libero da…’ senza essere ‘libero di…’ e viceversa (…) non vi è ‘libertà da’ che non liberi una o più ‘libertà di’, così come non vi è una ‘libertà di’ che non sia una conseguenza di una o più ‘libertà da’» (N. Bobbio, (voce) Libertà, in «Enciclopedia del Novecento»). Già da queste considerazioni risulta chiaro come la concretizzazione dei valori ritenuti alla base della democrazia (libertà, nelle due varianti identificate da Bobbio, e uguaglianza) non possa essere perseguita attraverso degli automatismi che ne garantirebbero la realizzazione. Diversamente, ai valori si può tendere solo tramite dei principi generali, ri-disegnando di volta in volta, di contingenza (storico-geografico-culturale) in contingenza la metodologia ritenuta idonea alla loro attuazione. In questi termini, la democrazia si configura allora non come uno status quo, ma come un ideale, la cui importanza pertanto non risiede affatto in una sua istituzionalizzazione (inevitabilmente contingente, quindi sempre rivedibile e da rivedersi), bensì nella costante tensione ad esso. Sotto questa luce risulta evidente come la stessa “regola di maggioranza”, ormai acriticamente propagandata e accolta a livello mondiale come spartiacque tra il bene e il male, possa e debba essere sottoposta a critica, evidenziando come essa non sia necessariamente garanzia di libertà ed uguaglianza. «Che cos’è esattamente la democrazia? Innanzitutto occorre evitare l’identificazione fra democrazia e governo della maggioranza. La democrazia ha esigenze complesse, fra cui, naturalmente, lo svolgimento di elezioni e l’accettazione del loro risultato, ma richiede inoltre la protezione dei diritti e delle libertà, il rispetto della legalità, nonché la garanzia di libere discussioni e di una circolazione senza censura delle notizie. In realtà, anche le elezioni possono essere del tutto inutili se si svolgono senza avere offerto alle diverse parti un’adeguata possibilità per presentare le loro posizioni, o senza concedere all’elettorato la possibilità di avere accesso alle notizie e valutare le opinioni di tutti i contendenti. La democrazia è un sistema  che esige un impegno costante, e non un semplice meccanismo (come il governo della maggioranza), indipendente e isolato da tutto il resto» (A. Sen, La democrazia degli altri). È infatti da evitarsi il «considerare la democrazia in modo troppo ristretto e limitato — in particolare, soltanto nei termini di votazioni pubbliche — e non nei più ampi termini di ciò che John Rawls definiva “l’esercizio della ragione pubblica” (…) Nella più ampia prospettiva della “discussione pubblica” (…), la democrazia deve assegnare un posto di primaria importanza alla garanzia di un dibattito pubblico libero e di interazioni deliberative nel pensiero e nella pratica politica, non semplicemente attraverso e in vista di elezioni» (N. Bobbio, Elogio della mitezza), poiché «che una decisione collettiva sia presa a maggioranza (…) non prova assolutamente nulla rispetto alla minore o maggiore libertà con cui quella decisione è stata presa. E pertanto attribuire alla regola della maggioranza il potere di massimizzare la libertà o il consenso è attribuirle una virtù che non le appartiene. Spesso, purtroppo, le maggioranze sono formate non dai più liberi ma dai più conformisti. Di regola, anzi, tanto più alte sono le maggioranze, specie quelle che sfiorano l’unanimità, tanto più sorge il sospetto che l’espressione del voto non sia stata libera» (N. Bobbio, Democrazia Totalitarismo Populismo). Osservazioni sulle quali meditare, anche in considerazione della triste e preoccupante cronaca politica di questi tempi, in cui si vuole far passare una investitura popolare (vera o falsa che sia) come un nulla osta per l’investito per compiere qualsiasi genere d’azione.
Ora, stendendo un velo sulle strumentalizzazioni intellettualmente disoneste di questi temi ad opera di alcuni politici e dei loro cortigiani, e dedicandoci invece alle oneste e serie argomentazioni di teoria politica, si deve notare come la moderna cultura politica occidentale abbia sviluppato pressoché un solo versante della questione della libertà sopra esposta, quello della libertà negativa, la libertà da, trascurando il versante della libertà positiva, la libertà di. Ovvero, ci si preoccupa molto (giustamente) di rimuovere le limitazioni alla libertà d’azione e d’espressione, ma non ci si preoccupa altrettanto (colpevolmente) di considerare i condizionamenti, in una certa misura strategicamente pianificati e in una certa misura inevitabili, che pur in presenza di condizioni formali di libertà, influenzano, determinano il nostro pensare e agire (per un approfondimento su ciò, cfr. il mio Potere amministrante e libertà controllata. Esiti morali della moderna configurazione del potere, in «Lo Sguardo», n. 13, 2013). Insomma, si considera la libertà come una sostanza anziché come una relazione, come un oggetto che può essere collocato qua e là (sempre rimanendo uguale a se stesso) anziché come la risultanza (sempre in fieri) di determinati rapporti sociali e individuali. Per cercare di superare questa problematica ho già proposto, in altra sede (cfr. la registrazione della mia conferenza Nuove configurazioni del controllo sociale. Dalla libertà negata alla libertà apparente, ora disponibile come Totalitarismo e democrazia, su «Radio Radicale»: http://www.radioradicale.it/scheda/384096/totalitarismo-e-democrazia), di sostituire il termine libertà con quello di autodeterminazione, che mi sembra sia più adeguato per rendere l’idea di una relazionalità (già colta da Michel Foucault a proposito del potere e del sapere) inaggirabilmente sempre presente nella determinazione delle nostre vite. Quindi il fatto che una assoluta (per dirla con Bobbio) libertà positiva, libertà di, sia del tutto impossibile.
Applicando le considerazioni sopra svolte, al tema della democrazia, appare evidente come essa non possa essere fatta coincidere con una regola, con un meccanismo, con una formula scientifica ma – per far posto al tema fondamentale dell’autodeterminazione tramite relazionalità – debba essere basata sulla dinamicità di ragionamenti e argomentazioni costanti, che assicurano la possibilità di scegliere e riscegliere, strutturare e ristrutturare la forma associativa ritenuta di volta in volta più adeguata al perseguimento dell’autodeterminazione. Affiora così un altro tema fondamentale, quello dell’(auto)educazione al ragionare e all’argomentare e (come ho già avuto modo di scrivere sulle pagine di «Critica liberale», cfr. Tecnologia, politica e complessità e Se una para-democrazia si fa dogma) della rimozione di tutti quegli elementi che coprono, ottundono e confondono tale (auto)educazione.

In Italia, e forse non solo, si è democratici non per convinzione, ma per assuefazione e l’assuefazione può portare alla noia, perfino alla nausea e al rigetto
G. Zagrebelsky, Decalogo contro l’apatia politica

(«Critica liberale», 09/08/2013, e «CPD Veritas Venezia», 18/09/2013)

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