di Fulvio Sguerso (fulviosguerso@libero.it)
Una chiave interpretativa di questa prima silloge di testi poetici in versi e in prosa di Roberto Masi – appartenente, annota Daniela Matronola nel suo puntuale commento, a quel genere di composizione poetica tardoantica definito “prosimetro”, come ad esempio il De consolatione Philosophiae di Severino Boezio, presa a modello da Dante per la sua Vita nova e per il suo Convivio; nei tempi moderni la ritroviamo, in parte, nell’opera di Arthur Rimbaud Une saison en enfer e, nel Novecento, nei Canti orfici di Dino Campana – la fornisce l’autore stesso, a me pare, all’inizio del suo saggio breve Cosmo – Agonia dell’Essere. Trascendenza come relazione tra Enti, in cui delinea la sua visione onto-cosmologica ed esistenziale del Limite spaziotemporale di un universo che, o è sempre stato e sempre sarà; oppure, come una volta è nato uscendo dal nulla, un’altra volta può (deve?) tornare al nulla,esattamente come la vita di ciascuno di noi, ed è questo il motivo dell’angoscia che ci coglie quando pensiamo alla morte; visione delineata, ovviamente, entro il Limite connaturato al nostro umano linguaggio. Ma ascoltiamo l’autore: “Mi trovo al tavolino di un bar di Firenze con un amico scrittore, l’entomologo Tommaso Lisa, e mentre osserviamo scendere dal cielo una fine pioggerella primaverile, per ragioni che ci sovrastano veniamo raggiunti da un prolasso di malinconia: dubbi, stanchezza, timori. Nell’ultimo periodo ho meditato spesso sulla mole d’informazioni che mettono a dura prova la nostra r-esistenza; dovremmo ritrovare la comunione con la natura che ci circonda: i suoni della terra, gli odori, i movimenti della vita fatti ostaggio dai marchingegni dell’ Homo Faber. Tuttavia, Tommaso mi ha fatto riflettere sulla necessità che tutto debba fluire attraverso di noi, e non soltanto il gorgogliare di limpide acque, o il volo incerto d’un coleottero scampato alla rete del naturalista, ma anche il rumore del traffico cittadino, il suono di una sirena, il tintinnare del cucchiaino nella tazzina davanti a me, sul cui fondale residua un grumo di zucchero rappreso. Liquida armonia tra le cose dunque, allacciate da una fitta rete indimostrabile, per ritrovarci come uomini tra gli oggetti, come natura e stratagemma che non si sovrastano l’un l’altro ma si rintracciano per riconoscersi parte di un disordine armonioso. L’uomo è forse un ossimoro quando non si cataloga?”.