lunedì 31 gennaio 2022

È stata la mano di Dio

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Nel seguente video di presentazione del suo film È stata la mano di Dio, Paolo Sorrentino fa alcune considerazioni sul processo creativo artistico, le cui implicazioni conducono oltre quanto viene detto in questo video stesso.


Vorrei ora soffermarmi brevemente su tre questioni che trovo di particolare interesse.

1. Sorrentino dice che nel processo creativo artistico si parte sempre dalla realtà ma poi la si trasfigura ("la realtà è il punto di partenza per tutti i racconti, però va reinventata") e che Napoli è una città ideale in tal senso data la capacità che ha, con le sue sfumature peculiari, di trasfigurare la realtà ("il metodo di reinventare la realtà dei napoletani è molto divertente, e questo sicuramente io l'ho rubato. È molto utile vivere qua, se si vogliono raccontare delle storie").
Questo sta ad indicare che la sede di quella che abitualmente chiamiamo creatività non è la realtà, che se fosse così la creatività si ridurrebbe ad una descrizione didascalica della realtà che meramente la ripete, ma ciò che la eccede e che quindi vi sta oltre, altrove. La città di Napoli, infatti, risulta essere fertilizzante per la creatività non perché contenga tanti stimoli nella (sua specifica) realtà, ma perché offre un (suo specifico) trascendimento della realtà.
Come dire che la creatività inizia, non banalmente quando si manifesta l'irreale ma quando nella realtà (ma non dalla realtà, altrimenti ne sarebbe mera ripetizione) appare l'altro dalla realtà. Il mistero.

2. Sorrentino dice che è ispirato da alcune statuine del presepe ("per me è fonte dove attingere i personaggi") senza però conoscerle in qualità di esperto in materia ("non è che sia un grande esperto, eh, cioè io rubo quello che vedo senza sapere bene che cosa sono").
Questo sta ad indicare che lo studio è irrilevante, se non deleterio, per l'ispirazione. Una musa è quel che è, non perché la si è studiata, ma perché, al di fuori di qualsiasi parametro di esattezza, lei ci ha parlato e noi siamo stati in grado di ascoltarla. 
Già Dante nella Divina Commedia, nel Canto XIV del Paradiso, dice (corsivo mio):

E come giga e arpa, in tempra tesa 
di molte corde, fa dolce tintinno 
a tal da cui la nota non è intesa,                                    

così da’ lumi che lì m’apparinno 
s’accogliea per la croce una melode 
che mi rapiva, sanza intender l’inno.                            

Ben m’accors’io ch’elli era d’alte lode, 
però ch’a me venìa «Resurgi» e «Vinci» 
come a colui che non intende e ode.  

Io m’innamorava tanto quinci, 
che ‘nfino a lì non fu alcuna cosa 
che mi legasse con sì dolci vinci.  
 
3. Sorrentino dice che Maradona, a Napoli, ha a che fare con il divino ("Maradona, in realtà, si può solamente comprendere attraverso il rapporto con il divino, cioè è una figura che ha a che fare con il divino. Maradona non è arrivato a Napoli, è apparso, è diverso; è una figura che intrattiene un rapporto con il divino molto stretto. E quindi era inevitabile che finisse in un presepe, era la sua destinazione naturale").
Questo sta ad indicare che quando si tende alla riconfigurazione della realtà, come abitualmente avviene a Napoli, la dimensione della non realtà, ovvero del mistero, non può che assumere tratti sacri, divini, non certo in senso religioso, ma nel senso della tensione al mistero da cui la realtà deriva.
E questo sentire deve essere stato all'opera in Maradona stesso se in occasione della sua partita di addio al calcio pronuncia una frase carica (che lui ne fosse consapevole o meno) dell'essenza di tutto ciò che è arte (corsivo mio): 

(Yo me equivoqé y pagué, pero la pelota no se mancha.)
Ho sbagliato e ho pagato, però la palla non si sporca.

Come dire che nonostante tutti gli errori (erramenti) mondani, quello da cui origina il senso di tutto ciò che è, rappresentato per ciascun uomo da un qualche simbolo mondano, resta altrove, nel divino, irraggiungibile, intoccabile, insporcabile.
 
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