lunedì 16 maggio 2016

Strumentalità e natura (umana)

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Le nuove frontiere della tecnica costituiscono anche le nuove frontiere della morale, delle quali si parla e si parlerà sempre più; in questo momento, ad es., a proposito del cosiddetto utero in affitto. A priori, non credo possano esserci obiezioni sul fatto che ciascuno possa vivere e agire come più gli piace (si badi, en passant, che questo discorso ne contiene un altro, ovvero il fatto che il limite di tale libertà non sia da intendersi come quel confine dove inizia la libertà altrui: questa è una visione della libertà a compartimenti stagni, a perimetri, a ghetti, una sorta sistema di celle contigue; il limite, se questa è la parola giusta, sta invece nell'interazione con l'alterità: la libertà non è un oggetto da possedere, è una relazione), ergo ogni pratica atta ad incrementare tale libertà è in linea di principio benvenuta.
Federico SollazzoE tuttavia una misura resta. Ma non mi sembra che possa essere quella che si sente andare per la maggiore: indignarsi perché l'utero in affitto, in questo caso, o altre pratiche in altri e/o futuri casi, è una strumentalizzazione della natura, segnatamente di quella umana, per di più fatta per denaro.
Questi argomenti non mi sembrano convincenti per delle ragioni molto semplici.
Quanto alla critica alla strumentalità, mi sembra una sorta di cecità selettiva. Vivere in una casa di cemento, plastica e acciaio per edificare la quale sono stati abbattuti alberi, spostarsi con mezzi di trasporto che emettono agenti inquinanti, trivellare in cerca di petrolio, ricevere una trasfusione di sangue o un organo trapiantato sono strumentalizzazioni della natura, anche di quella umana, che passano alquanto inosservate – altrimenti i fautori della non manipolazione della natura dovrebbero vivere in case sugli alberi (ma anche quella non sarebbe una manipolazione?), o spiegare perché alcune manipolazioni fanno problema ed altre no (come se vedere Jack lo squartatore all’opera con la vittima A o con quella B cambiasse l’essenza di quello che sta facendo).  
Ma l’uomo è naturalmente contro-, o meglio, oltre-natura. L’uomo è un essere strumentale. La vera domanda allora è: perché a volte strumentalizziamo la strumentalità e a volte no?
Quanto alla questione del denaro, è solo una delle forme di strumentalizzazione, a sua volta strumentalizzata da movimenti politici, religiosi e quant'altro, che non dice niente sulla questione della strumentalità in sé.
Voglio dire, la ricchezza è la direttrice fondamentale su cui viaggiano libertà e felicità? E quindi la povertà è il male assoluto? Non è questa una posizione che scivola pericolosamente verso il discorso capitalista/neoliberista? Si sente dire che nei Paesi del terzo mondo ci sarà chi accetterà di sottoporsi alla pratica dell’utero in affitto, e/o ad altre pratiche, solo perché costretto dall’indigenza. Questa è purtroppo una tragica verità. E tuttavia questo è un discorso politico, che in quanto tale continua a non dire niente sul significato delle cose di cui parla: strumentalità, natura, natura umana.
Meno che mai è spendibile per l’analisi di questi temi il fatto di stabilire una gerarchia universale di cosa sia meglio/peggio per tutti, ergo anche per l’altro da sé, la cui alterità viene così del tutto calpestata – discorso paternalistico, evangelizzante, pastorale che caratterizza tanto il cattolicesimo quanto quella versione rozza di neoillumismo che oggi va per la maggiore e che non è altro che la versione secolarizzata di quello: portare la Verità e portare la Luce, sono lo stesso discorso autoritario; se è la libertà che è in gioco, si deve rinunciare alla pretesa di decidere cosa sia meglio/peggio per tutti.
Diversamente da ciò, il limite di qualsiasi pratica umana, quindi non solo delle nuove frontiere che la tecnica dischiude, mi sembra sia da rinvenirsi in una certa forma di strumentalità (che è altra cosa dalla strumentalità in sé), quella che oggi viviamo. E che consiste in una strumentalità che non contiene nessun altro significato che la strumentalità stessa. E che rende tutti e tutto non strumenti che esprimono significati, ma strumenti che esprimono strumentalità. Basti notare che quando si prende posizione su un qualsiasi tema, lo si fa in base alle conseguenze che si ritiene possa generare, quindi in base ad una mera questione di calcolo, e non riflettendo sull’essenza in sé di quella cosa.
Il contributo che allora la filosofia e solo la filosofia può dare, come riflessione sull’essenza della condizione umana e di quella del vivere contemporaneo, è quello di mettere al centro del discorso non semplicemente gli effetti di un qualcosa, ma il suo significato. Questione che procedendo per mera logica formale non potrà mai essere affrontata.
Eppure, anche la filosofia ridotta sempre più, e proprio da chi se ne occupa, a un qualcosa di pratico, scientifico, misurabile, sta perdendo la capacità di riferirsi a ciò che sta oltre la pratica: il senso.

(«La chiave di Sophia», 14/03/2016)

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