domenica 12 ottobre 2014

Il ruolo della tecnica nell'antropologia gehleniana

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it; I di 3)

l . L’imprescindibilità dell’antropologia dalla tecnica

La questione della tecnica in Arnold Gehlen è comprensibile solo inserendola all’interno dell’intera concezione antropologica gehleniana: essendo l’uomo un “essere biologicamente carente”, egli è incapace di sopravvivere in un qualsiasi ambiente naturale ed è quindi costretto ad agire al fine di costruirsi il proprio “posto nel mondo”, avvalendosi della tecnica. L’uomo è perciò fisiologicamente inferiore agli animali in quanto non dispone di organi specializzati, la sua sopravvivenza dipende pertanto dalla sua capacità di compensare, tramite strumenti, le proprie carenze naturali. Da una simile impostazione deriva che solo l’uomo è quel vivente in grado di trascendere la propria condizione biologica, a partire da una marcata limitatezza della stessa, questo processo, però, non avviene grazie ad una scintilla divina presente in lui (come nell’antropologia scheleriana), bensì poiché egli rappresenta un “progetto particolare”(1) della natura, un essere “umanisticamente” in grado di progettare il proprio futuro svincolandosi da una specifica nicchia ecologica, pervenendo alla realizzazione di un mondo culturale: «La natura ha destinato all’uomo una posizione particolare o, detto in altri termini, ha avviato in lui una direzione evolutiva che non preesisteva, che non era ancora mai stata tentata, ha voluto creare un principio di organizzazione nuovo»(2). A partire da queste premesse Gehlen rinviene nella tecnica una triplice risoluzione delle carenze organiche umane, essa infatti sostituisce gli organi mancanti, potenzia quelli esistenti e agevola il lavoro dell'organismo,

cosicché accanto alle tecniche di “integrazione” che rimpiazzano le capacità non concesse ai nostri organi, compaiono le tecniche di “intensificazione”, che producono effetti superiori a quelli raggiungibili con le sole forze naturali […] Infine vi sono le tecniche di “agevolazione”, volte ad alleggerire la fatica dell’organismo e quindi in generale a permettere un risparmio di lavoro(3).

Il prodotto finale di tali tecniche rappresenta un qualcosa cli completamente nuovo, che non solo non ha un suo corrispettivo in natura ma si pone addirittura come un’anomalia rispetto ad essa, essendo una artificiale creazione umana. «Anche la tecnica è, come l’uomo, nature artificielle»(4).
Richiamandosi ad autori quali Max Scheler, Werner Sombart, P. Alsberg, e José Ortega y Gasset(5), Gehlen sostiene che la creazione di strumenti e di un conseguente mondo artificiale non siano azioni facoltative per l’uomo, non sono il frutto di una libera scelta; l’uomo è costretto ad agire in tal senso a causa delle sue insufficienze organiche: assenza di una specifica nicchia ecologica, mancanza di uno schema istintuale innato che ne possa orientare il comportamento, carenza di organi e/o sensi specializzati; proprio a causa di questa sua “nudità” egli è obbligato all’azione, intesa come la trasformazione dell’ambiente naturale che lo circonda, adattandolo (e non adattandosi, come gli altri viventi) alle proprie esigenze e necessità(6). La tecnica è quindi interpretata sia come un indicatore dell’intelligenza umana, sia come parte integrante dell’essenza dell’uomo, come un elemento da sempre e per sempre insito nella natura umana. Tuttavia, la tecnica non è un qualcosa di staticamente sempre uguale a sé stessa, è infatti riscontrabile in essa un’evoluzione storica derivante dal cambiamento dei materiali utilizzati: dall’antichità ai giorni nostri si è avuta una graduale ma costante sostituzione dei materiali naturali, organici con quelli artificiali, inorganici, sostituzione dovuta ad una maggiore comprensibilità e manipolabilità di ciò che è artificiale, rispetto agli elementi naturali.

Uno dei risultati principali di tutta la storia della civiltà umana è, senza dubbio, l’impiego sempre crescente dell’elemento inorganico in sostituzione dell’organico [...] La natura inorganica infatti è, per dirla in breve, meglio conoscibile di quella organica, circostanza che ha fatto rilevare con la dovuta energia Henri Bergson(7) [...] Queste ultime riflessioni concorrono a dimostrare come la tendenza, constatabile nello sviluppo della tecnica, a soppiantare l’elemento organico mediante materie ed energie inorganiche abbia la sua ragione nel fatto che la sfera della natura inorganica è la più accessibile ad una conoscenza metodica, razionale e rigorosamente analitica, ed alla corrispondente prassi sperimentale. La sfera biologica e quella psichica sono infinitamente più irrazionali(8).

La tecnica si pone dunque come un’imprescindibile azione di compensazione delle carenze organiche umane, azione finalizzata alla modificazione delle condizioni naturali in condizioni artificiali, le uniche nelle quali l’uomo possa (soprav)vivere. La tecnica è legata, quindi, all’azione che, a sua volta, deriva dal movimento; infatti, quando un movimento fortuito, casuale viene percepito come piacevole, questo viene ripetuto e confermato, ogni volta, dal suo esito positivo, si giunge così alla consapevolezza del movimento e, in seguito, alla sua automatizzazione “esonerante”.

Qualunque prestazione motoria inintenzionale ossia involontaria ha un esito stimolante, e ne nasce una particolare consapevolezza, un estraniato autoavvertimento, di questa prestazione, che ora può essere assunta, impegnata e, soprattutto, elaborata. È questo autoavvertimento estraniato della propria attività a governare l’ulteriore suo sviluppo(9).

A differenza dall’animale, che risponde istintivamente ed immediatamente sia agli stimoli sensoriali esterni, che alle pulsioni interne, l’uomo è in grado di scegliere il proprio comportamento, sulla base delle informazioni ottenute dal movimento iniziale, decidendo, di volta in volta, la risposta più adeguata alle varie situazioni; in altri termini, soltanto l’uomo interpone tra lo stimolo e la risposta uno iato razionale. Di conseguenza, l’immagine del mondo propria dell’uomo, il rapporto io-mondo, sarà contemporaneamente passivo ed attivo: passivo per la ricezione dal mondo esterno delle stimolazioni sensoriali, attivo durante la razionalizzazione di tali sollecitazioni sensoriali e la messa in pratica di una particolare risposta. Attraverso tale ragionamento Gehlen ravvisa nell’intelligenza razionale un fattore peculiarmente umano, senza però elevarlo al rango di unica modalità conoscitiva. La conoscenza, infatti, è veicolata dall’azione, la quale è sia attività percettiva che attività intellettiva, in altre parole, la conoscenza non si fonda sulla mera intelligenza ma sull’azione. Per questo Gehlen si oppone all’interpretazione dell’intelligenza come fondamentale tratto discriminante fra l’uomo e l’animale, l’originaria distanza tra i due risiede, invece, nelle loro elementari diversità anatomiche e fisiologiche; l’intelligenza, e di conseguenza anche la tecnica, rappresenta unicamente l’inevitabile approdo di determinate precondizioni biologiche: quelle dell’uomo. Inoltre, legando la conoscenza al concetto di azione (a tale proposito, il termine che risulta maggiormente appropriato è quello di “attività conoscitiva”), viene superata la tradizionale disputa dualistica per la supremazia del soggetto conoscente o dell’oggetto conosciuto. Il dualismo, infatti, è l’esito finale di un’impostazione esclusivamente teoretica del problema della conoscenza, un’impostazione che trascura la concreta interazione dell’uomo col mondo. Per questo solo nell’azione risiede la possibilità di sopravvivenza dell’uomo, necessariamente chiamato ad «elaborare in modo intelligente le costellazioni naturali che trova di volta in volta così da potersi mantenere»(10).
Come si è notato, l’azione e la tecnica derivano da un movimento iniziale  che, da accidentale ed involontario diviene consapevole e volontario, quando la sua ripetizione conduce sempre ad un esito positivo. Quando, poi, l’uomo è chiamato a ripetere un movimento o un’azione della quale è già consapevole dell’esito, grazie alle precedenti esperienze, si innesca il meccanismo dell’esonero(11) (Entlastung), che consente all’uomo di svolgere in maniera meccanica, quindi minimizzando la spesa delle proprie risorse fisiche e mentali, determinati movimenti e azioni, rivolgendo la sua attenzione ad attività superiori, ritenute più importanti in quanto non hanno un esito certo.

Tutte le funzioni superiori dell’uomo, in ogni campo della vita intellettuale e morale, ma anche in quello dell’affinamento motorio e operativo, sono sviluppate grazie al fatto che il costituirsi di stabili e basilari abitudini di fondo esonera l’energia in esse originariamente impiegata per le motivazioni, i tentativi, il controllo, liberandola per prestazioni di specie superiore(12).

Pertanto, l’esonero è un’agevolazione consistente nell’instaurazione di abitudini comportamentali che fungono da risposta precostituita a determinati stimoli; si instaura così un movimento circolare tra percezione e risposta, il cosiddetto “circolo dell’azione”. Ma il principio dell’esonero non è relativo solo alle funzioni del singolo uomo, esso ha delle significative ripercussioni anche nell’evoluzione storica della tecnica. Infatti, dapprima gli utensili, potenziando il rendimento organico, alleggerivano la fatica fisica, senza però eliminarla del tutto. Successivamente (durante la rivoluzione industriale) furono create delle fonti di energia alternative rispetto alla forza fisica umana, ma esse richiedevano ancora un dispendio di energie mentali, per controllarne il funzionamento. Attualmente, gli apparecchi automatizzati esonerano l’uomo da qualsiasi dispendio d’energie fisiche e/o spirituali. L’automazione (della quale l’emblema massimo è per Gehlen la cibernetica) rappresenta, così, l’apice del concetto di esonero applicato alla tecnica(13).

2. I legami della tecnica con la magia

Nonostante lo sviluppo tecnologico degli ultimi due secoli sia stato freneticamente veloce, originariamente la tecnica, come si è visto, forniva semplicemente un potenziamento della forza fisica umana, lasciando del tutto ininvestigate questioni che oggi sono spiegate, controllate ed organizzate tecnicamente. Nel tentativo di chiarire questioni di difficile interpretazione, gli uomini si affidarono alla magia, difatti le pratiche magiche «erano adeguate in relazione ad un certo livello di sviluppo»(14), mentre successivamente, in linea con l’evoluzione storica della tecnica sopra accennata, quest’ultima

nel corso di uno sviluppo molto lungo, ha invaso lo spazio che era in precedenza – quando la tecnica era soltanto tecnica degli utensili – dominato dalla magia: lo spazio che separa ciò che abbiamo in nostro potere attraverso un agire immediato da ciò che consiste in successi e insuccessi non più in potere dell’uomo. La formula magica era per così dire l’attrezzo per le distanze spaziali e temporali(15).

Alla ricerca di sicurezze in un mondo sostanzialmente misterioso, l’uonto credeva di poter estrapolare dalla realtà dei segmenti esperienziali che avevano dato buoni frutti, supponendo che l’esito positivo fosse dato dalla ripetizione di specifici comportamenti, indipendentemente dal contesto di fondo. L'irrazionalità della magia risiede, allora, nella mancata comprensione di come successi ed insuccessi non dipendano solo dalla ripetizione di sequenze di schemi comportamentali, di mere relazioni causa-effetto; al contrario, il risultato di un’azione è determinato anche, e probabilmente soprattutto, dalle condizioni in cui si svolge. Ciononostante, se Gehlen vede nella magia una sovrastruttura culturale che, nel tempo, si è dissolta in favore della tecnica, vuol dire che fra magia e tecnica esistono anche delle similitudini, la più evidente delle quali sta nella forma mentis tecnologica. Anche la tecnica, infatti, si basa, come la magia, sull’estrapolazione, da un preciso contesto, di una catena di azioni che, se ripetuta, deve sempre dare lo stesso risultato(16).

Il fascino dell’automatistno costituisce l’impulso pre-razionale e metapratico della tecnica, il quale dapprima, e per molti millenni, si esplicò nella magia – la tecnica del soprasensibile – fino a trovare solo in epoca molto recente la sua completa espressione in orologi, motori e meccanismi ruotanti d’ogni genere(17).

Ma perché l’uomo è talmente affascinato dal fenomeno dell’automatismo, da farne il fondamento sia della magia che della tecnica?

Da ciò che conosciamo dello spirito, dell’intelletto, dei residui istintuali, eccetera, non possiamo però far discendere il fascino dell’automatismo, di modo che dobbiamo introdurre qui una nuova categoria psicologica: questo fascino è un fenomeno di risonanza. Deve esservi nell’uomo una specie di senso interno per ciò che appartiene alla propria costituzione che reagisce a ciò che nel mondo esterno è analogo a questa costituzione propria(18).

Ovvero, l’uomo si sente tanto più stabile e sicuro, quanto più nel suo corpo e nel mondo artificiale da lui creato, si ripetono delle regolarità tipiche del mondo naturale. Insomma, ciò che vi è di singolare nel “senso antropologico” della risonanza «sta nell’idea di una primaria autocomprensione a partire dall’esterno, e quindi nella possibilità di comprendere nuovamente il simbolo e la metafora»(19). Attualmente però, il senso della risonanza rischia di essere quasi del tutto dimenticato.

1) Cfr. M. T. Pansera, L’uomo progetto della natura. L’antropologia filosofica di Arnold Gehlen, Roma, Studium, 1990.
2) A. Gehlen, Der Mensch, Seine Natur und Seine Stellung, in der Welt, Wiesbandenm, Akademische Werlagsgesellschaft, 1978, trad. it., L’uomo. La sua natura e il  suo posto nel mondo, Milano, Feltrinelli, 1983, p.43.
3) A. Gehlen, Die Seele im technischen Zeitalter, Hamburg, Rowohlt, 1957, trad. it., L’uomo nell’era della tecnica, a cura di M. T. Pansera, Roma, Armando, 2003, pp. 32-33.
4) Ibidem, p. 33.
5) Cfr. M. Scheler, Die Stellung des Menschen im Kosmos, in Gesammelte Werke, Bern,  Francke, 1972, Band III, trad. it. La posizione dell’uomo nel cosmo, a cura di M. T. Pansera, Roma, Armando, 1997; W. Sombart, Der moderne Kapitalismus, München-Leipzig, Duncker & Humblot, 1927, vol. III; P. Alsberg, Das Menscheitsrätsel, 1922; J. Ortega y Gasset, Vom Menschen als utopischen Wesen, Stuttgart, Kilpper, 1951.
6) Cfr. A. Gehlen, Die Technik in der Sichtweise der philosophischer Anthropologie, in Anthropologische Forschung, Hamburg, Rowohlt, 1961, trad. it., La tecnica vista dall’antropologia, in Prospettive antropologiche, Bologna, Il Mulino, 1987.
7) Cfr. H. Bergson, L’évolution créatrice, in Œuvres complètes, Paris, Presses universitaires de France, 1945, vol. II, trad. it., L’evoluzione creatrice, Bari, Laterza, 1964, nota mia.
8) A. Gehlen, L’uomo nell’era della tecnica, cit., pp. 34-36.
9) A. Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, cit., p. l66.
10) A. Gehlen, Philosophische Antropologie und Handlungslehre, Frankfurt a. M., Klostermann, l983. trad. it., Antropologia filosofica e teoria dell’azione, Guida, Napoli, l990, p. 198.
11) A proposito del meccanismo dell’esonero cfr. A. Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, cit., pp. 89-100; Ibidem, Senso della tecnica: sostituto dell’organo, esonero dell’organo, superamento dell’organo, in Prospettive antropologiche, cit.; Ibidem, Oggettivazione ed esonero, in L’uomo nell’era della tecnica, cit.; M. T. Pansera, L’uomo progetto della natura, cit., pp.78-81.
12) A. Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, cit., p. 93.
13) Cfr. A. Gehlen, L’automazione, in L’uomo nell’era della tecnica, cit.
14) A. Gehlen, Urmensch und Spätkultur, Wiesbanden, Verlag GmbH, 1986, trad. it., L’uomo delle origini e la tarda cultura, Milano, Il Saggiatore, l994, p. 247.
15) A. Gehlen, La tecnica vista dall’antropologia, in Prospettive antropologiche, cit., p. 131.
16) Non è un caso se anche oggi, nell’era dell’automazione, il rapporto di molte persone con la tecnica sia un rapporto di tipo “magico”. L’uomo, infatti, dà un impulso iniziale (che può essere un rito magico, come la pressione di un interruttore) ed attende l’esito finale (che può essere il controllo della natura, come l’accensione di una macchina automatizzata), senza sapere cosa intercorre fra i due momenti; mentre è proprio quel qualcosa che intercorre fra i due momenti a costituire la “condizione  di possibilità” perché ad una certa causa segua un certo effetto.
17) A. Gehlen, L’uomo nell’era della tecnica, cit., p. 40.
18) A. Gehlen, La tecnica vista dall’antropologia, in Prospettive antropologiche, cit., p. 132.
19) Ivi.

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