sabato 9 agosto 2014

Il filosofo armato. Ludovico Geymonat e l'analisi delle sconfitte della Resistenza

di Pietro Piro (sekiso@libero.it)

È un uomo chi, a un certo punto della propria vita, sa dire di no, e tale no è irremovibile.
Piero Martinetti

Correndo il rischio di scandalizzare bisogna dire così: la gioventù è impazzita nella violenza perché non ne poteva più della sua pace; perché la pace in cui viveva era chiaramente una pace marcia. C’è infatti pace e pace, come c’è violenza e violenza. Ci sono paci morte e paci vive, ci sono violenze stupide e ripugnanti e ci sono violenze meravigliose e creatrici. L’uomo non può vivere senza violenza e così pure la pace delle società. L’importante è scegliere bene l’oggetto per cui si entra in uno stato di collera. Quando l’uomo si sente vivo e non viene invitato ad abbandonarsi a violenze creatrici, ma solo a «stare calmo» e ad «essere saggio», è la vita stessa a fargli perdere la testa.
Abbé Pierre, Lettere all’Umanità. Maggio 1968

1. Un filosofo in armi: Ludovico Geymonat

Si fa molta fatica a immaginare il filosofo della scienza Ludovico Geymonat, appostato dietro un sasso di montagna, con un fucile in mano, mentre cerca di far rallentare una colonna di soldati tedeschi a caccia di partigiani. 
Eppure, il filosofo, matematico ed epistemologo italiano, i cui sette volumi della monumentale Storia del pensiero filosofico e scientifico non possono mancare nella biblioteca di ogni uomo di cultura, non solo è stato un partigiano ma è stato anche – a nostro avviso – uno dei più lucidi interpreti del fenomeno della Resistenza e delle cause della sua sconfitta.

lunedì 4 agosto 2014

Che fine ha fatto la vergogna?

di Patrizio Paolinelli (patrizio.paolinelli@gmail.com)

Gabriella Turnaturi, è una sociologa che da anni si occupa della vita quotidiana nella convinzione che l’indagine sulle relazioni interpersonali aiuti a svelare il funzionamento della società nel suo complesso senza ricorrere all’ausilio di grandi modelli teorici. Questa direzione di ricerca è confermata nell’ultimo suo lavoro: Vergogna. Metamorfosi di un’emozione, Feltrinelli, 186 pagg., 18,00 euro. Il volume è scritto con un linguaggio perfettamente comprensibile anche ai non addetti ai lavori, ma non per questo è meno stimolante per chi ha voglia di riflettere sulle trasformazioni del nostro mondo interiore. Nella sua analisi Turnaturi parte da domande assai semplici che probabilmente tutti ci siamo fatti: nella nostra società che fine ha fatto la vergogna? Come mai sembra che non ci si vergogni più di niente? Quali mutamenti del sentire comune hanno cancellato la differenza fra modelli negativi e positivi, facendo di un evasore fiscale un testimonial di successo e di un politico corrotto un leader carismatico?