martedì 29 aprile 2014

Il caso Heidegger ossia la responsabilità del pensare

di Pietro Paolo Piredda (pietropaolo.piredda@istruzione.it)

Antefatto: il 13/03/2014 vengono pubblicati i cosiddetti "Quaderni neri", (Schwarzen Hefte) di Heidegger dalla casa editrice Klosterman, che ne cura l’opera. Il colore è determinato dalla caratteristica copertina nera dei quaderni cerati allora in uso. Nonostante tutto abbia il sapore di una manovra editoriale, il dibattito , per la verità mai sopito, dell’aderenza al nazionalsocialismo da parte di Heidegger, il "mago di Messkirch", si accende si maniera ulteriore con pretesa di definitività. Tante le reazioni. Un esempio per tutti: Donatella Di Cesare, ordinario di Filosofia teoretica alla Sapienza di Roma e vice presidente della "Heidegger Gesellshaft", avendo letto in anteprima degli estratti della pubblicazione, è tentata di rassegnare le dimissioni dicendosi "sconvolta". Sotto accusa nei quaderni il cosiddetto "Ebraismo mondiale" (Weltjudentum). Günter Figal afferma "Disgustose e terribili quelle frasi del mio Heidegger" ("La Stampa", 18/03/2014).
Ma, per quando riguarda la riflessione filosofica si è davanti , davvero, a qualcosa di nuovo e sconvolgente?
E’ decretata una volta per tutte la morte della riflessione del mondo occidentale, perché di questo si tratta, con lo scandalo dell’opera heideggeriana, la quale risulta essere il punto di riferimento della filosofia del XX secolo, per la maggior parte degli sviluppi del pensiero che da esso si sono determinati e non solo nello specifico dell’ambito filosofico. A dire la verità, si conosceva già questa tendenza compromissoria di Heidegger, se non altro, per i contrastanti rapporti con il filosofo Jasper, la cui moglie era ebrea. Ma punto fermo di questa riflessione, che mette con le spalle al muro l’intero impianto filosofico di Heidegger, è la nota adesione al partito di Hitler nel 1933 e la famosa prolusione nel giorno dell’insediamento al rettorato: L’autoaffermazione dell’Università tedesca. Heidegger lascerà poi il rettorato nel 1934. Faye sembra decretare la definitiva condanna del pensiero Heideggeriano con il testo: Heidegger, l'introduction du nazisme dans la philosophie. Autour des séminaires inédits de 1933-1945 (Parigi, Albin Michel, 2005), in cui analizza il linguaggio comparandolo anche al Mein Kampf di Hitler. Precedente a questo il testo di Farias: Heidegger et le nazisme (Lagrasse, Verdier, 1987).
La filosofia, da sempre, è riconosciuta come una scienza "contraddittoria e ambigua", "strana". L'accesso al pensiero e alla riflessione, il seguire "la fatica del concetto", come afferma Hegel, deve saper sopportare queste contraddizioni e ambiguità, questa stranezza, e guardare con occhio critico quelli che sembrano essere i "corollari" inevitabili del pensiero quando vive dell’attualità in cui si colloca.
Ma da dove deriva questa caratteristica la filosofia? Le deriva dal fatto che il pensiero ha vita autonoma rispetto colui che lo formula e, sempre con maggior evidenza, ogni testo scritto e non, dice sempre più spesso alter e molto di più di quanto ci si possa aspettare dalle intentio auctoris. Nietzsche determinava il pensiero come qualcosa di profondamente "inattuale", ossia vivente secondo parametri che scavano e superano il tempo ponendosi così come appunto "inattuale", ossia che parla con una particolare ottica temporale, ma non fermandosi ad esso, e d’altronde Heidegger rifiiuta nettamente la connotazione "esistenzialistica" del suo pensiero nella polemica con Sartre, ossia la lettura esistenziale che contempla la temporalità storico-situazionale di una filosofia. La filosofia si pone in quella posizione tale per cui assume una connotazione anamnestico-profetica, come asserisce Bloch; il pensiero è tensione tra il "già" e il "non ancora".
Ma ricordiamoci che l’antisemitismo è qualcosa, la cui responsabilità, coinvolge il pensiero dell’epoca più che un’opera filosofica. Lo stesso cristianesimo ha delle enormi responsabilità; lo stesso cristianesimo del porgi l’altra guancia che fece le crociate, nella stessa liturgia conteneva passaggi antisemitici, seppelliti per sempre con l’avvento del Concilio Vaticano II e del percorso che tutto il mondo ha intrapreso dopo il tragico accadimento della Shoah e dei lager "facitori di cadaveri". La domanda di Hans Jonas fu: "Come pensare Dio dopo Auschwitz?" Il motivo strisciante di questa persecuzione, anche da parte del cristianesimo, è l’accusa rivolta al popolo ebraico di "deicidio". Ma opere più chiaramente premonitrici restano non quelle di Heidegger quanto piuttosto quelle di Ernst Jünger, Der Arbeiter. Herrschaft und Gestalt, 1932. Ancora prima Die totale mobilmachung, 1930. Nei lager: "Arbeit macht frei" e la concezione di "mobilitazione totale" attraverso l’uso della tecnica fecero della Germania una macchina tecnologica da guerra. Tecnologia che Heidegger individua come spinta nichilista nel pensiero occidentale. La filosofia heideggeriana è molto più elaborata e complessa di quello che si può supporre definendola nazista.
Torniamo allo spirito della filosofia autentica.
Perché ci troviamo di fronte alla caratteristica dell’inattualità? Perché, come dice lo stesso Heidegger, il pensiero è "pensiero rammemorante", ossia ogni significato si avvale della pregnanza della storia che gli appartiene, ogni pensiero è avvolto di pre-comprensione costitutiva, e ogni bomba, come può essere definita in questi frangenti una lettura del pensiero heideggeriano, viene continuamente disinnescata da questa caratteristica: essere "rammemorante" in maniera costitutiva. Ossia ogni termine si avvale di quella caratteristica che Benjamin attribuisce all’opera d’arte: l’"aura" che la permea e che salva l’opera d’arte proprio nell’epoca della sua "riproducibilità tecnica". Anche Adorno riflette su come ad ogni termine sia co-essenziale la sua storia. La filosofia vive dell’appropriata accezione attribuita ai termini che la costituiscono.
Gadamer delinea inoltre quella che chiama la intrinseca, non tanto a-politicità del pensiero, ma la sua essenziale "incompetenza politica".
Certo la questione della "credibilità" si fa sempre opportuna, riguarda sempre il versante biografico e ironia vuole che Heidegger intuisca la cosiddetta "differenza ontologica", la differenza tra ciò che è ontico e ciò che è ontologico, ponendo di già le basi per il superamento di qualsiasi "attualità" del pensiero, compresa la biografia, che altro non è che il versante "ontico", esistentivo, rispetto al versante ontologico, esistenziale, ossia il discorso dell’Essere opposto al Nulla, la critica costante al nichilismo, che alimenta il pensiero da Parmenide in poi con la famosa affermazione che "l’essere è e il non essere non è". Che il pensiero di Heidegger possa essere incluso nella caratteristica di inattualità lo conferma il fatto che la sua riflessione si appunta sul versante del passato remoto del mondo greco, anche da un punto filologico, di cui analizza lo spazio pre-socratico, intravedendo lo smarrimento e l'oblio dell’Essere da Platone in poi. Il discorso rammemorante ci riporta costantemente a leggere il presente presso il luogo "dimorante" del pensiero: la parola, e da questa alla ricerca della significatività. Il pensiero va molto al di là di chi lo formula. Si potrebbe dire che, nel momento stesso in cui si pone, già non gli appartiene più, dandosi  all’umanità e poi al di là dell’umano stesso. Anche la caratteristica di dono va compresa nella prudenza di chi sa che dietro un dono ci si può trovare davanti a un cavallo di Troia, di fronte al quale dire Timeo danaos et dona ferentes. Pensiamo ancora al pensiero nietzschiano, il quale pur non avendo alcuna caratteristica nazista, dall’ideologia nazista stessa fu adottato in un grande misunderstanding interpretativo.
Ma sia il pensiero di Heidegger che quello nietzschiano non hanno ambizioni socio-antropologiche in senso stretto, essendo il loro spazio di riflessione quello metafisico. Per cui ci troviamo di fronte a quella che può essere determinata come "storicità della coscienza" parallela alla "coscienza storica", in uno spazio sempre "inattuale".
Ben altro spessore ha il pensiero , con i componenti della cosiddetta "Scuola di Francoforte", il cui obiettivo da filosofico, pur conservando la ricchezza filosofica, si determina come "sociologico", per cui non poteva e non può che dirsi propriamente "pensiero critico", ossia con intento peculiare di incidenza sull’analisi della società e delle sue abitudini. L’intento è esplicitamente sociale.
Il pensiero critico anziché porsi come inattuale, si pone come estraniante. Dice cose "strane".
Cosa significa tutto questo? Significa che i discorsi della filosofia non sono in se stessi consueti, in definitiva si pongono nella posizione di critica e queste posizioni sono per questo estranee, non sono cioè critiche interne, le quali sono tipiche dei miglioristi che si pongono all’interno di un certo sistema, piuttosto che decretarne la sepoltura. Le critiche sono importanti proprio perché sono strane, sono "estraniazione" contro l’"estraniazione". C’è qui un doppio movimento, c’è una doppia estraniazione: la prima è quella che ha portato a ridurre la natura a qualcosa di puramente tecnologizzato, quello che Heidegger chiama "oblio dell’Essere" e la società a strutture puramente di dominio e di incremento mirato, quello economico, per cui all’"homo faber" consegue l’"homo oecnomicus" (Gadamer), nella sua versione globale e globalizzante.
La seconda estraniazione è la reazione con un altro tipo di estraniazione. Bloch afferma che "la natura ha delle potenzialità" e lo dice appunto per criticare chi ad esempio riduce la natura del legno al suo utilizzo per fare tavoli, ma trascurandone le altre possibilità. Lo stesso vale per il discorso nietzschiano per cui l’uomo non è riducibile solo al cervello, e anche la razionalità assume un’ulteriore collocazione: "il corpo è la grande ragione". Sono questi gli atteggiamenti critici della filosofia.

L’estraniazione del secondo tipo muove dalla considerazione di una sorta di colossale caduta che ci ha estraniato. Ed è deliberatamente un punto di vista "strano", vuole estraniarsi rispetto alla caduta. Il punto di vista critico cui questa estraneazione alla "seconda potenza" si appella è il "rovesciamento" di uno stato, è ex-statico, ossia tende ad uscire fuori di sé (è qui che ogni "estetica” è legata a un’"etica"), non nel senso di perdere la ragione o il senno, ma nel senso più proprio dell’interrogarsi e ciò comporta che qualche elemento, complice la tecnica, potrebbe ancora non essere estraniazione, ma restare interno, intraniazione totale nel fraintendimento, essere quindi una critica "miglioristica" e "funzionale" all’interno del sistema, che ha determinato la caduta stessa del senso originario. A maggior ragione il discorso vale per la critica socio-politica. Questa è la ragione per cui la filosofia è una disciplina sospetta ai poteri costituiti e quindi volerne neutralizzare la forza dirompente è il proposito dei sistemi di "potere", potere inteso qui nella sua connotazione di gestione e manipolazione più che nel suo significato, stavolta propriamente filosofico, di "possibilità" (categoria della potenza).
La filosofia, nella sua stranezza appunta quindi lo sguardo sulla comprensione delle parti nel tutto in modo che questa collocazione non sia estraniante, paralizzante, anchilosante. Quando i reumatismi colpiscono un organo, quest’organo non riesce a muoversi naturalmente, è appunto anchilosato. Lo stesso vale per i crampi, per cui può capitare di non sentire più un braccio o una gamba, i quali sono temporaneamente estraniati. Applichiamo ciò alla famiglia, alla società, allo stato e ne comprenderemo la funzione curativa nel suo porsi come "dialettica negativa", critica costante: contro crampi e reumatismi dei sistemi, sui quali appunta lo sguardo.
In quest’ottica vengono letti anche i sistemi totalitari, operando una critica che è movimento rovesciante, inteso, ad esempio, come un tappeto: guardare non il disegno che appare sulla superficie ma rovesciarlo dalla parte che rivela la trama di fili che lo determina. Il totalitarismo apparirà quindi nella realtà: "una settorialità ipostatizzata", con lo stesso danno che può provocare un organo nel corpo che si ipostatizza, accrescendo a tal punto la sua funzionalità che lo rende super efficiente tanto da creare la situazione di squilibrio che determina il tumore che a sua volta determina la morte dell’organismo. La visione organicistica (olistica), che dobbiamo in un certo senso al pensiero schellinghiano, vede tutte le sue parti in una relazione di "dialogo" all’interno del tutto, ma se ad essa si sostituisce l’enfatizzazione meccanica, ciò che fa la tecnica nella sua ipostatizzazione tecnologica, il tutto diventa niente altro che l'ipostatizzazione di una funzione, sia essa gestione del potere, della formazione educativa, o economico-finanziaria, creazione di profitto ecc. Meccanicismo ed organicismo sono posti così in opposizione escludente, enfatizzando la necessarietà rispetto alla possibilità. Heidegger teorizzò in proposito la teoria del "passo indietro" (Schritt-zurück): ciò che è stato lasciato indietro per permettere il funzionamento, apparente, dei sistemi secondo la possibilità liberante, ma occultando la sua essenza necessitante ed immanente a se stessa. L’enfatizzazione meccanicistica all’interno dell’organicismo è ciò che determina il totalitarismo dalla democrazia degradata. La decostruzione, delle pretese avanzate dalla semplificazione dell’organismo nella versione meccanicistico-funzional-utilitaristica che non salvaguarda il corpo ma ne determina la conflagrazione mettendone a rischio la sopravvivenza, si fa necessaria come istanza critica.
Si potrà affermare ora senza porsi nella posizione del dubbio che Heidegger fu nazista e antisemita, ma ancora non avremo detto niente. Heidegger potrebbe aver usato per propri scopi il nazismo, ma quanto potremmo dire che il nazismo ha usato e si è nutrito del suo pensiero? Quanto il nazismo ha metabolizzato il suo pensiero? Nulla, perché si è sviluppato nell’esatto contrario di ciò che la filosofia heideggeriana dice, nella sua critica dello sviluppo metafisico come enfatizzazione tecnica. Tutto dall’ideologia nazista è stato esercitato come meccanismo utilitaristico, per cui la tecnica si è naturalizzata come fabbricatrice di potere e di morte, nel trionfo d’orrore dell’Olocausto.
Nell’accostarsi al pensiero si deve essere sempre dialettici, nel doppio significato che il termine racchiude, ripensando con esso la sua origine propriamente platonica, quindi ironica, ancora una volta in significato duplice. La forma è nella sua tensione "argomentativa" e lo spazio ermeneutico che si determina vede ogni legittima semantica superata continuamente dalla significatività che a sua volta vede i termini nella propria componente "rammemorante", e così si procede sempre oltre l’autore; il pensiero è come le onde del mare che fluiscono e rifluiscono all’approdo, è movimento e contromovimento alla ricerca dell’"autenticità", di contro l’"inautenticità", per usare termini heideggeriani. Il pensiero heideggeriano vale la pena, sempre, di essere letto e riletto. Dimorare la parola, piuttosto che appiattirsi sulla biografia di chi lo ha prodotto, minandone continuamente la credibilità, è l’atteggiamento di chi si pone nell’ottica della ricerca. Solo così può affiorare come il pensiero heideggeriano si pone come ricerca oltre il nichilismo e le posizioni scettiche rispetto il sapere. Se l’intento sia riuscito è altro discorso, e si potrebbe dire anche che sia fallito, come si evince dalla risultante del pensiero che raggiunge il suo limite estremo nell’affermazione "solo un Dio ci può salvare", e dalla proposta di scrivere la parola "Essere" barrata da una croce. Da qui la definizione, contraddittoria nei termini di "onto-teologia", in cui nessuno esplicita se con "onto" significhiamo un versante sempre più delineato come "fraintendimento".
Il pensiero è sviluppo dello Spirito piuttosto che della materia, al quantum delle biografie si oppone sempre qualcosa che trascende. Il pensiero quindi, spesso se non sempre, possiede caratteristiche di "cogenza" più che di "coerenza".
Socrate e l’atteggiamento ironico deve restare il punto di riferimento per chi opera filosoficamente, essere cioè "professori" infaticabili della verità, in quello spazio d’essere che Heidegger descrive come "essere-per-la-morte" (Sein zum Tode), o la sua "anticipazione". Direi ancora di più, il pensiero deve svilupparsi in vista dell’"essere-per-la-vita", ma tenendo presente che il quantum che ci struttura appartiene all’"essere-per-la-morte", ossia quella posizione liminare inesplorata e inesplorabile che richiede a ciascuno di essere continuamente responsabile della verità cui si perviene. Socraticamente, si potrebbe dire di quella "verità" che ci espropria del nostro essere per interpellarci del senso della libertà che la verità apporta, piuttosto che rendercene schiavi. Se la psicologia con la prestazione freudiana vede l’uomo espropriato di se stesso, perché in balia dei suoi istinti, la filosofia vede e contempla l’uomo (e qui è la lezione socratica) come espropriato dalla verità, per cui Socrate può dire di non poter vivere la sua propria vita ma quella determinata dal suo daimon (Δαίμων) che lo provoca alla ricerca di quella quiddità, il ti estìn del senso della vita soggettiva ed oggettiva.

Heidegger, per concludere, è riuscito a sconfiggere quella spinta nichilistica individuata nella mistificazione metafisica operata dalla tecnologia o anche lui è rimasto intrappolato in essa? Nell’intervista al "Der Spiegel" ancora una volta ci troviamo di fronte ad una ambiguità di fondo: alla domanda sul destino della filosofia rispose che sarebbe stata sostituita dalla cibernetica, ma il senso complessivo dell’intervista è riconducibile a quella frase: "ormai solo un Dio ci può salvare". Il destino dell’Essere è segnato? Siamo di fronte allo svelamento della verità o ancora una volta di fronte al suo celamento?
La famosa frase di Heidegger : "Wer gross Denkt, muss gross Irren", vede l’essenza del pensare legata a quel "muss", che è l’aspetto necessitante del pensiero, il suo crampo costituzionale, il suo reumatismo connaturato. Infatti non usa il termine "sollen", ossia quello che più si accosterebbe ai significati etici, ma "muss", cioè "il si deve" legato ad aspetti necessitanti del dovere come il si deve mangiare, si deve dormire ecc.. Il "sollen" è più legato agli aspetti propriamente etici del dovere: si deve operare il bene più che il male ad esempio. Inoltre l’"Irren", nella sua doppia valenza indica il vagare e lo sbagliare, ciò determina i "sentieri interrotti", che rischiano la "labirinticità". Ogni pensatore responsabile è cioè incline ad accettare la fallibilità del suo sistema di pensiero e ogni lettura si deve rifare al pensiero "rammemorante" ossia a tutta la storia che impregna i termini con cui il pensiero opera, ricordando ad ogni sistema che la ipostatizzazione di se stesso mina la credibilità del pensiero stesso che per essere tale deve porsi nella posizione di dialogo, di"brachilogia" contro ogni "macrologia". La filosofia autentica si sviluppa cioè solamente nella sua dimensione più propria, quella "dialettico-sillogistica", in cui va compresa l’essenza del sillogismo come quel movimento a "struttura circolare", un "legarsi insieme". Questa è la vita; nell’irrigidimento di tale struttura si crea invece quello squilibrio che costituisce l’anchilosamento, il crampo, la malattia, la sofferenza, la tumoralità e si inficia il valore della vita stessa, mettendo a rischio la sua stessa sussistenza. 

Una cosa è certa, la vita del pensiero non si è fermata ad Heidegger né l’accertamento della sua "personalità" nazista deve inchiodarlo ad un destino di ambiguità. La filosofia, con Socrate, è ormata essenzialmente dalla verità, che forte vuole uscire dal guscio che la contiene per parlare ancora all’uomo, anche espropriandolo da se stesso, mostrandogli la sua evidenza.
15/04/2014

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4 commenti:

  1. Un articolo dotto e interessante. Penso che la riflessione sul valore extra-individuale del pensiero rispetto all'uomo che lo ha creato, sia da condividere. Questo è in fondo il senso della filosofia: un pensare che deve essere inattuale per natura, ossia essere critico nei confronti del tempo in cui nasce. Per questo il pensiero è sempre guardato con sospetto dal potere e la filosofia è stata progressivamente messa ai margini della nostra società tecnologica ed economica. Un'altra questione: sono le scelte di Heidegger come uomo e non come filosofo; perché penso che anche il filosofo di professione sia prima di tutto un uomo che può sbagliare. L'adesione di H. al nazismo non è un errore, ma una cosa gravissima; che se non oscura la forza del suo pensiero, di certo getta una luce fosca sull'uomo che ha partorito quel pensiero...

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  2. La direzione dell'intervento nella sua parte finale è la stessa in linea emotivo-sentimentale che alimenta la pubblicazione dei "Quaderni neri". Ossia essi gettano una luce fosca sull'uomo Heidegger. Per quanto mi riguarda opererei una sorta di "epoché". Per diversi motivi. La riflessione coinvolge diversi piani, che intersecantesi, vanno comunque tenuti distinti.
    I piani da considerare sono di diverso livello, ma sostanzialmente riconducibili a tre:
    1 ) Storico e Storiografico
    2 ) Morale e Etico
    3) Filosofico in senso stretto
    Voglio al momento prescindere dai "Quaderni neri", e non perchè li si voglia eludere. Si tratta di circa 1300 pagine e di recente pubblicazione, che come ripeto hanno sapore , soprattutto , di manovra editoriale. E' verosimile che, di fronte ad essi, ci si ritrovi davanti a riflessioni di diverso tono, accento e gradazione. Ciò richiederà un lavoro di elborazione semantica e , soprattutto, di lavoro ermeneutico, atto a rilevare la progressione dei concetti, la loro collocazione temporale e la coerenza e cogenza vita-pensiero filosofico. Ossia il tema della "credibilità" dell'uomo rispetto al filosofo; ma ancor di più la credibilità stessa dell'operare filosoficamente, ossia quella che ho posto come "conditio sine qua non" già nel titolo : "La responsabilità del pensare". Ricordo alcune linee storico-storiografiche :
    l'adesione al nazismo è un fatto storicamente ineludibile e datato : il 1933; coincidenza della salita al potere di Hitler e insediamento di rettorato da parte di Heidegger, da cui la famosa prolusione, già di per stessa non riconducibile ad un unico afflato interpretativo, e l'adesione al partito di Hitler.Altro fatto storico ineludibile : dopo neppure un anno , siamo nel 1934, Heidegger lascerà il rettorato e la stessa adesione al partito hitleriano. Fatto che , come ricorda H.G. Gadamer, riflette la stessa situazione di Platone nel suo ritorno da Siracusa, ossia la celebre disillusione platonica quando su invito del tiranno, del "dittatore di Siracusa", fece vela due volte verso quella città nell'intento di introdurre il giovane signore alle linee di pensiero per una "Società giusta in uno Stato giusto" . Ultima intervista da parte del " Der Spiegel" ad Heidegger nel 1966, ma verrà pubblicata per suo volere solo dieci anni più tardi, a morte avvenuta, e in cui accetta con adesione morale la definizione di "impolitico" da parte dell'intervistatore (unpoliticher Mensch ). Stesso destino per i "quaderni", affidati alla custodia dl figlio Hermann e , sempre per sua stessa volontà, non distrutti ma da pubblicare dopo la sua morte.
    Heidegger recidivo, che consegna la sua confessione dopo morte oppure Heidegger costretto a dover accettare, secondo le logiche racchiuse in quel "muss" messo in evidenza nell'articolo, dei compromessi per portare avanti il suo pensiero? Ossia costretto ad accettare una condizione necessitante per poter operare secondo possibilità, secondo la linea "possibile" del dovere, "sollen" , liberante, ossia come dovere morale.

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  3. Rileviamo che già la stessa opera che lo rese famoso "Essere e tempo" è un ' opera incompiuta, inconchiusa più che inconclusa. Avvenimenti dell'immediato storico hanno indirizzato il pensiero in questa scelta-direzione?
    Ancora 1923 pubblicazione da parte di Splenger del suo "Il tramonto dell'occidente. Linamenti di una morfologia della storia mondiale."In quest'opera viene contemplata quella che fu definita "la metamorfosi del tutto".
    In questa metamorfosi va ascritta anche la rilevanza ed apparizione di concezioni bilogistiche-antropologiche e di razzialità. Un esempio per tutti : le tesi di ordine geo-antropologiche di Ratzel, che raccogliendo queste istanze, teorizza quella che verrà riconosciuta come "teoria dello spazio vitale".
    Fatti che coinvolgono ancora l'aspetto morale : asserisce che fin dalla sua elezione a Rettore fu sottoposto dal regime a pressioni e controlli da parte degli apparati di Stato dl governo nazista.
    Al disappunto di Marcuse nel carteggio successivo alla guerra, risponde che lui, Marcuse, non poteva neppure immaginare quello che succedeva in Germania negli anni coincidenti e seguenti alla sua fuoriuscita per approdare negli Stati Uniti, dove lavorò con altri membri della "scuola di Francoforte".
    Ancora una notazione : è noto che Heidegger negli ultimi anni della sua vita fuu seguito anche da uno psichiatra, fatto questo che evidenzia una certa sofferenza rispetto la problematica storia che visse e il suo coinvolgimento personale.
    Ritorniamo ancora su quella che Gadamer indicò come intrinseca "incompetenza politica" del filosofo : questa incompetenza dal pensiero di Heidegger non è mai stata smentita perchè mai si è evoluto come "Sociologia" nè ha cercato questa prospettiva, che diventerà invece costitutiva del pensiero con "La scuola di Francoforte".
    Il rilievo prettamente filosofico che va tenuto presente e allacciato a questa considerazione è racchiuso nell'espressione del concetto di "evento ap-propriante" ( Er-Eignis ) espresso nei "Contributi alla Filosofia", è che delineano fortemente il carattere "inattuale" a cui fa riferimento. Sono scritti che vanno dal '36 al '38, in pieno dilagare del nazionalsocialismo. L'evento appropriante è riconosciuto nella parola poetica, ossia quella parola che, per se stessa "si solleva dall'azione degli uomini"; e la sua riflessione è riferita a quello che viene riconosciuto come sommo vate dopo Goethe : Hoelderin, il quale condensa nella sua poesia tutto il dramma del "senso tragico della storia", che delinea il tempo della "penuria" e dell' "assenza di Dio", il tempo dell' "attesa" ( che ironia vuole sia caratteristica portante del giudaismo ) , della scissione sofoclea tra le "ragioni di Creonte" e "le ragioni di Antigone" e del "Sacro" che non alberga istituzioni umani ma nella "parola dimorante" e "risonante" ( rammemorante). Al proposito di Soflocle, Federico Sollazzo nel suo "Totalitarismo Democrazia Etica pubblica" mette in evidenza, in appendice, l'attinenza del "deinos" con la "caduta" di Heidegger nella sua adesione al nazismo.

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  4. Il senso del tragico che avvolge la poesia di Hoelderlin è appunto nella scissione sofoclea tra il dolore del presente e l'attesa dell'avvenire, che diventano istanza critica nella forma di "inattualità".
    Nei "Contributi alla Filosofia" Heidegger pone in evidenza i tre caratteri della situazione presente ( l'attualità dello storico-vissuto (Erlebenisse) nei tre momenti "la spoliazione" , il "rendere pubblico" e la "collettivizzazione" come qualcosa riferito a qualsiasi "tonalità emotiva" e che costituiscono la causa del "depotenziamento dellla parola", quindi l'incapacità del presente e delle sue istituzioni a cogliere il proprio futuro secondo "autenticità". L' "estetica" della parola impregnata di senso Etico, è ex-statico, oltre lo stato di cose, oltre l'attualità, e si fa critica portante dello stesso "nazismo", che ha smarrito l'essenza dell'essere nel suo sviluppo tecnico mistificante, ossia nel fraintendimento "mistico" e "mistificheggiante" di pura "contemplazione estatica" della tecnologia scaduta in tecnologismo, atto alla manipolazione della natura , dell'oggetto quindi, come del soggetto, esso stesso ridotto ad oggetto manipolabile fino all'estremo, quello della "banalità del male". Il senso del "sacro" e della "verità" ( aletheia) si sono "velati" nella parola, nella poesia, nella parola "rammemorante" e "risuonante" ( Der Anklang ).
    Sono istanze critiche rispetto al presente vissuto che vede come "evento appropriante" quello del fare ( Macht ). C'è lo scontro tra quella che è definibile come "Etica del sentimento", con tonalità emotiva come sopra descritta, legata al presente e l'Etica della responsabilità legata esteticamente ( nella forma particolare di Etica) all'evento appropriante così come si esplicita nella poesia, la parla nella sua potenza ( possibilità liberante) di contro al "depotenziamento" operato dalla tonalità emotiva che è parte integrante all'etica del sentimento. Ossia il "sentimento dl tempo" ( sentimento come sentire e non emotivo) è quello sofferto della parola poetica piuttosto che quello mistico immanente al tempo ( dominio della tecnica). L'inattuale legge quindi l'attuale.

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