martedì 2 luglio 2013

L'Ungheria di Orban e Fidesz

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

(Si pubblicano di seguito un articolo e un'intervista, curata da Maurizio Montanari, di Federico Sollazzo sulla situazione socio-politica dell'Ungheria del Primo Ministro Viktor Orbán e del suo partito di Governo Fidesz.)

Ungheria, Europa, 2013

In Ungheria, Paese in cui vivo da tre anni insegnando presso l’Università di Szeged, proprio in questi giorni il Parlamento, guidato per due terzi dall’attuale partito di Governo Fidesz del Primo Ministro Viktor Orbán, ha approvato una riforma costituzionale che segna, di fatto, un golpe bianco.
Si palesano così tutti i limiti di una democrazia ridotta a mero meccanismo, che nel rispetto formale di tale meccanismo procedurale può svuotare dall’interno i valori che si condensarono in quello stesso meccanismo contingente, e che però, contrariamente a quanto spesso si professa, non devono essere fatti coincidere con quel meccanismo.
Paradossalmente, questa situazione illiberale è causata proprio da chi, Viktor Orbán, ha basato tutta la sua ascesa politica sulla critica all’illiberalità dell’ex regime e sull’apertura alle libertà occidentali (dopo che in gioventù, ai tempi del regime, fu dirigente di KISZ, l’associazione dei giovani comunisti, assieme ad alcuni suoi attuali collaboratori di Governo, lasciandola poco prima del cambio di regime) proprio quelle che ora sta cancellando. In questa sede non voglio soffermarmi sulle modifiche in sé, dato che sono state già dettagliatamente riportate da molti media italiani e internazionali, ma cercare di fornire un piccolo affresco dell’atmosfera che si respira al momento in Ungheria e fare alcune considerazioni sul ruolo politico che potrebbe avere la UE e sul valore del cosmopolitismo. Tuttavia, per avviare il discorso, è certamente opportuno partire da alcune delle principali “riforme” appena approvate.
Viene, di fatto, ripristinata la censura. La libertà d’espressione potrà infatti essere limitata per tutelare “la dignità della Nazione, dello Stato e della persona” e per evitare i “discorsi di odio”. Ma prima che questa formulazione finisse nella Carta fondamentale, non si poteva certo calunniare, diffamare, incitare all’odio e alla violenza, questi comportamenti erano sanzionati come in tutti i moderni stati di diritto, quindi perché introdurre questa formulazione, estremamente vaga, nella Costituzione, se non per censurare chiunque avanzi delle critiche politiche, con la scusa che offenderebbero la dignità di chi le riceve? Il ricordo corre a quel Berlusconi che diceva che criticare la (sua) politica equivaleva a fare un danno all’Italia e alle troppe morti oscure di giornalisti russi che si sono permessi di criticare Putin.
La Corte costituzionale viene privata di qualsiasi potere sostanziale. Essa non potrà più sollevare obiezioni di sostanza ma solo di forma su emendamenti alla Costituzione. Inoltre, decadono le decisioni prese dalla Corte precedentemente al Gennaio 2012, guarda caso, rientrano in quel periodo le ricusazioni che la Corte fece su leggi liberticide volute da Orbán su stampa, giustizia, istruzione.      
Non tutte le religioni saranno considerate a pari dignità. E’ stata stilata una sorta di lista delle religioni degne di essere riconosciute dallo Stato e quindi praticate con tutta una serie di agevolazioni, fra cui spicca, come in tutti i neofascismi che si rispettino, quella cattolica; che qui si fonde al permanere di tradizioni pagane dando vita ad un qualcosa di assolutamente comico. Stendiamo poi un velo pietoso sulla sorte della laicità.
Non tutte le persone saranno considerate a pari dignità. Lo Stato definisce come famiglia soltanto l’unione ufficializzata in matrimonio di un uomo e una donna con l’intenzione di avere prole. Nessun altro tipo di unione, i single poi neanche a parlarne, avrà la stessa dignità della famiglia definita come sopra. Personalmente, ancora non mi è chiaro cosa succede se gli sposi uniti in nozze ufficiali dichiarando di avere l’intenzione di avere figli, poi, per qualsiasi motivo, non ne hanno: decade lo status di famiglia? C’è una deadline entro la quale la sposa deve consegnare un figlio allo Stato?
Criminalizzazioni politiche. Il vecchio partito comunista, attualmente affiliato al partito socialista europeo, è ora definito come “associazione criminale”, sono quindi di fatto possibili processi politici.
Oltre a queste misure, che sono quelle principali, già riportate da molta stampa internazionale, c’è poi tutta una serie di sottomisure, non meno tragiche. Ad esempio, il controllo dell’attività delle scuole è passato a un ente statale di recente creazione (chiamato Centro Klebelsberg, in onore di Kuno Klebelsberg, intellettuale ungherese e Ministro dell’Istruzione a cavallo fra Otto e Novecento, anche se la nipote si è affrettata a dire che disapprova l’uso del nome per questo tipo di Centro), che si è presentato con questo biglietto da visita: ha sottratto computers e mobilia alle scuole portandoli nelle proprie sedi; ha tagliato i fondi alle scuole al punto che non è stato più possibile acquistare neanche del semplice gesso, problema al quale il Sottosegretario all’Istruzione, Rózsa Hoffmann, ha detto che devono far fronte gli insegnanti, acquistandolo di tasca propria (come purtroppo infatti sta avvenendo) poiché per loro insegnare è una missione (al che è lecito aspettarsi che il materiale da cancelleria nel suo ufficio di Sottosegretario lo porti lei stessa), mi ricorda una che disse “se non hanno pane, che mangino brioches”; ha ritardato di tre mesi il pagamento dello stipendio agli insegnanti precari. Inoltre, gli studenti universitari che beneficiano di una Borsa di studio statale, nei dieci anni successivi alla Laurea sono obbligati a lavorare in patria almeno lo stesso numero di anni per i quali beneficiarono della Borsa; oltre ad essere una limitazione della mobilità internazionale, è un’assurdità sia pratica che concettuale: praticamente, perché al momento in Ungheria di lavoro ce n’è poco, non bello e mal pagato, quindi se a un brillante neolaureato arrivasse una bella offerta dall’estero sarebbe costretto a rinunciare per restare in patria a fare chissà che, uno spreco di risorse sia per lui, che per l’Ungheria (che potrebbe almeno beneficiare del ritorno d’immagine dato dall’esportazione dei propri talenti) che per la società tutta (dato che chi potrebbe andare, ad esempio, a fare ricerca in qualche alto istituto si ritrova invece, nel migliore dei casi, a guidare il tram), per non parlare delle difficoltà di chi dopo la Laurea volesse proseguire gli Studi con un Dottorato all’estero; concettualmente, perché stare in un certo territorio dovrebbe essere un desiderio e un privilegio e non una condanna, lo Stato dovrebbe quindi lavorare per invogliare le persone a rimanere, e magari a immigrare, creando delle soddisfacenti condizioni di vita e non per ingabbiarle, per altro in una gabbia assai scarna. Ed ancora, le previsioni del tempo saranno statalizzate: solo il centro meteorologico dello Stato potrà diramare le previsioni del tempo complete, altri centri potranno diramarle solo parzialmente e solo dopo essere stati approvati dal centro statale; confesso che il senso di questa misura mi sfugge: forse così potranno dire che piove quando c’è una manifestazione dell’opposizione e che c’è il sole a mezzanotte quando c’è una manifestazione del Governo. Ed è anche vietato essere un senzatetto: chi vive negli spazi pubblici deve essere multato o, poiché di norma è un nullatenente, arrestato (così almeno per qualche tempo avrà un tetto e un pasto).
L’aria che si respira è pesante. In molti si trattengono dall’esprimere la propria contrarietà in pubblico: ci sono già stati casi di licenziamenti strani e poco tempo fa al preside di una scuola della Contea di Békés che era andato ad ascoltare un comizio di Együtt 2014 (Insieme 2014), il partito di Gordon Bajnai, principale avversario di Orbán per le Politiche della prossima primavera, è arrivata una telefonata proprio dal Centro Klebelsberg che lo invitava a non partecipare più a simili iniziative, e non ha poi ricevuto un premio scolastico per la sua attività di preside per il quale era il principale candidato. Le giovani generazioni, che costituiscono la principale forza sociale di opposizione, possono poco di fronte ad un Governo che controlla sempre più i gangli della società (paradossalmente, Fidesz significa unione dei giovani democratici mentre loro non sono né gli uni né gli altri, e davanti al Parlamento ci sono gli studenti che chiedono democrazia). E intanto cresce l’estrema destra (Jobbik) che in questo clima sente di avere le spalle coperte e si permette cose come quella recentemente avvenuta all’Università ELTE di Budapest dove hanno affisso la scritta “fuori gli ebrei dalla nostra università”; si riferivano, fra gli altri, ad Ágnes Heller.
Personalmente ritengo che in questo scenario risulti particolarmente assordante il silenzio di Bergoglio neoeletto papa Francesco, che sta basando la sua immagine proprio sulla prossimità a chi si trova in situazioni di maggiore difficoltà. Viene da chiedersi se fosse restato in silenzio anche nel caso in cui anziché trovarci di fronte ad un regime neofascista che, in quanto tale, esalta il cattolicesimo, ci fossimo trovati di fronte ad un regime neocomunista.
Ora, a volte (troppo spesso purtroppo) si sente dire che in realtà Orbán starebbe difendendo il suo Paese dalla speculazione globale neoliberista di cui l’Unione Europea sarebbe vettore. Niente di più sbagliato, sia nel caso specifico, che in generale.
Nel caso specifico, perché è evidente che le misure prese non vanno in direzione della tutela del Paese ma, per via neofascista, in quella della tutela degli interessi specifici dell’attuale classe al potere che vorrebbe trasformare il territorio e i suoi abitanti in un suo feudo.
In generale, perché il fatto che questa globalizzazione e le istituzioni che la presiedono lasci molto a desiderare non significa affatto che la soluzione sia da ricercarsi in una dinamica di ri-territorializzazione (da contrapporsi ad una di de-territorializzazione), di esaltazione delle e bunkerizzazione nelle piccole patrie, delle e nelle comunità/identità immaginarie, del e nel nomos della terra. «Il fenomeno al quale dobbiamo rivolgerci potrebbe essere, allora, più congruamente definito nei termini di una produzione globale di località: è il fenomeno delle comunità immaginate, che vengono a configurarsi come tante nazioni di eccentrici», G. Marramao, Passato e futuro dei Diritti Umani. Al contrario, se questo para-cosmopolitismo è insoddisfacente, vanno cercate nuove vie al cosmopolitismo, che lo rendano autentico e soddisfacente, dato che solo là dove c’è “meticciato”, c’è ricchezza, c’è vita. E una simile operazione può essere compiuta solo abbandonando i miti dell’universalismo e del particolarismo, superandoli in una prospettiva altra: «se vogliamo scongiurare lo sfruttamento meramente commerciale della diversità ed evitare lo scontro fra culture che si verifica quando la diversità alimenta paura e rifiuto, dobbiamo attribuire un valore positivo a (…) contaminazioni e a (…) incontri, che aiutano ciascuno di noi ad allargare la propria esperienza, rendendo così più creativa la nostra cultura», A. Touraine, Libertà, uguaglianza, diversità; «il cosmopolitismo, inteso realisticamente, significa (…) accettare gli altri come diversi e uguali. In questo modo viene nello stesso tempo svelata la falsità dell’alternativa tra diversità gerarchica e uguaglianza universale. Così, infatti, vengono superate due posizioni, il razzismo e l’universalismo apodittico», U. Beck, Lo sguardo cosmopolita; «la civiltà mondiale non può essere altro che coalizione, su scala mondiale, di culture ognuna delle quali preservi la propria originalità [poiché] le differenze non si identificano mai con l’essere, ma sempre lo differenziano. E soltanto perché lo differenziano producono il fenomeno del divenire, della vita», C. Lévi-Strauss, Razza e Storia e altri studi di antropologia; «solo per questa via, solo affermando questo passaggio, possiamo far esplodere il dispositivo della metafisica, che poi fa tutt’uno con il dispositivo del potere: l’idea dell’Uno come unità delle differenze», G. Marramao, Passaggio a Occidente (ho approfondito questi temi negli articoli Pluralismo delle culture e “univocità” dell’etica, in «L’accento di Socrate» e Antropologia e politica. Forme di convivenza, in «Lessico di Etica Pubblica»).
Concludendo, in questa situazione si presenta alla UE (nella quale molti cittadini ungheresi ripongono le loro speranze) l’occasione di dimostrare di essere più che una mera istituzione fiscale, di essere capace di contrastare efficacemente qualsiasi rigurgito dittatoriale. Ci sarebbe così almeno una funzione (essenziale) per la quale varrebbe la pena pagare e la UE potrebbe così rinvigorire la sua legittimità (al momento sempre più in discussione).     

(«Critica liberale», 08/04/2013, e «MicroMega», 19/04/2013, e «Megachip/Globalist», 09/05/2014, e come Vi racconto come si vive nell'Ungheria liberticida, in «Popoff/Globalist», 13/05/2014)

Quella parte d'Europa che fingiamo di non vedere. Rigurgiti autoritari in Ungheria. Due chiacchiere con Federico Sollazzo.

Federico Sollazzo è un filosofo, collaboratore esterno del Centro di Psicoanalisi Applicata LiberaParola. Lavora come Researcher and Lecturer presso la University of Szeged.

Lo scopo della nostra associazione, tra i tanti, è quello di dare spazio di libertà alla parola, libera dal sintomo, dalle costrizioni. Non sempre questo accade. In alcuni stati, tra i quali l'Ungheria, paese nel quale Federico insegna, le maglie si vanno stringendo. Siamo in presenza di derive autoritarie che non possono lasciarci indifferenti.
E' morto il tempo della beata indifferenza, della psicoanalisi come punto centrale di un sistema di pensiero che crede di poter fare a meno della libertà di espressione. Di bastare a se stessa, facendo a meno delle storture del mondo nel quale si muove e si propaga. Prima che psicoanalisti, filosofi, autori, clinici, siamo uomini. Che possono scegliere, se voltarsi altrove, magari a rimirarsi in uno specchio, stolidamente beati delle proprie opere, senza degnarsi di osservare quello che accade nel tempo attuale.
O fermarsi, e dire. Dire quel che accade. Denunciare.
In altre parole allarmare.
Per questo ho rivolto alcune domande a Federico, autore del libro Totalitarismo, democrazia, etica pubblica. Scritti di filosofia morale, filosofia politica, etica, Aracne Editrice, 2011
1 Federico, puoi dire due cose su di te?
In estrema sintesi (come altri miei colleghi), formazione in Italia, messa a frutto della stessa all’estero: nel 2007 Dottorato in “Filosofia e Teoria delle Scienze Umane” a Roma Tre, dal 2010 Ricercatore e Docente all’Università di Szeged (Ungheria). Per qualche informazione in più mi permetto di rinviare al mio sito “CriticaMente” www.costruttiva-mente.blogspot.com
2 L'articolo che hai scritto, a cosa secondo te prelude?
L’articolo sulla corrente situazione in Ungheria non l’ho scritto con un particolare scopo pratico (benché, come si può facilmente intuire, mi auguro che alle prossime elezioni politiche ungheresi lo scenario cambi radicalmente), né informativo (dato che c’è già molta importante stampa italiana e internazionale che racconta con precisione quel che sta facendo il governo Orbán), ma come una sorta di riflessione ad alta voce su quello che purtroppo vedo; e non mi riferisco solo a dei provvedimenti politici agghiaccianti, ma soprattutto ai para-ragionamenti con i quali li si vorrebbero giustificare e allo scenario sociale che in questo modo si sta formando.
Dopo averlo scritto, la cosa che mi ha fatto più piacere è stato il riscontro positivo da parte di amici e colleghi ungheresi. Evidentemente la mia riflessione ad alta voce ha colto alcuni aspetti ritenuti significativi da loro stessi.
3 Come trovi il legame sociale dell'Ungheria? Fragile o suscettibile a queste derive autoritarie?
Da quel che ho visto in questi anni qui, gli ungheresi hanno la tendenza ad essere pudichi nei confronti di un qualsiasi tipo di autorità (lo vedo anche all’Università nel rapporto con gli studenti, ai quali il mio approccio “italiano” risulta inconsueto ma poi li induce ad aprirsi e dialogare di più) e remissivi nei confronti del potere (retaggio, probabilmente, del loro recente passato): privatamente possono criticarlo, ma pubblicamente vi si adeguano.
Questo comportamento sta cambiando con le giovani generazioni. Ad esempio il movimento nazionale universitario di protesta contro l’attuale Governo, che riunisce docenti e studenti e che si chiama Szabadegyetem (Università libera), ha recentemente dato vita a delle grandi manifestazioni nelle principali città ungheresi; una cosa del genere, che in Italia è piuttosto abituale, qui non lo era e costituisce uno sdoganamento della possibilità di criticare il potere in pubblico (ovviamente poi bisognerà fare attenzione sia a non abusare di questa possibilità, sia ai nuovi meccanismi di controllo sociale che assorbono, disinnescandola, la protesta; ma questo è un altro discorso e inoltre, stante l’obsolescenza della mentalità di Orbán, il secondo di questi rischi qui ancora non lo si corre). 
4 Cosa ti senti di dire qua, in Italia, dove pochissimi sanno che l'Ungheria è più vicina di quanto le carte geografiche mostrino?
Innanzitutto confermo il fatto i due Paesi sono più vicini di quel che possa sembrare. E questo non solo per una certa vicinanza geografica ma anche per una diffusa presenza di italiani in Ungheria. E devo purtroppo dire che sono proprio questi, ad eccezione dei lavoratori intellettuali ad esempio dei docenti universitari, che meno capiscono la corrente situazione ungherese. Dicono che in Ungheria si vive bene, che il costo della vita è basso, e certamente qualcuno si sentirà anche un tombeur de femme, in terra ungherese. Tutto questo è vero. Ma quello che non capiscono è che si vive bene, e con un costo della vita basso, non grazie ad Orbán e al suo partito Fidesz, ma nonostante loro, perché si usufruisce ancora dei benefici di un’impostazione socio-economica derivante dal passato, ma che l’attuale Governo sta erodendo, sia con una politica interna neofascista, sia con una politica estera di auto-marginalizzazione. 
5 Fare cultura, nel senso più umile della parola, è ancora un antidoto alle derive autoritarie?
La questione è più complessa di quel che possa sembrare, perché rimanda alla modificazione dei modelli di controllo sociale. Nel senso che in passato il potere difendeva se stesso tramite il silenziamento diretto dei discorsi che lo avrebbero potuto mettere in crisi. Questa è un’obsoleta forma di censura, sostituita oggi dal suo opposto (ma non contrario) che consiste nella proliferazione indiscriminata di discorsi che danno luogo ad un chiacchiericcio da bar che va ad offuscare i discorsi significativi, quelli che potrebbero realisticamente mettere in crisi lo status quo. Questo è il nuovo volto della censura, paradossalmente etichettato come massimo di libertà. Questo fenomeno è alimentato da un’idea di democrazia sostanzialmente equiparata ad anarchia, dall’implementazione che a tutto ciò dà il web e (per venire alla domanda) dalla cultura di massa. Quest’ultima infatti non è altro che la diffusione di frammenti (para)culturali sottoforma di elementi che possano essere consumati senza rigorose premesse, e quindi altrettanto facilmente dimenticati (insomma, si vorrebbe portare la cultura dalle persone, anziché le persone alla cultura). Anche i discorsi culturali quindi, autentici e non, vanno ad alimentare il mare magnum della chiacchiera, del rumore. Tuttavia non credo che la soluzione sia il silenzio, ma una revisione del metodo, e non del principio, del progetto illuministico del sapere aude, selezionando la terminologia e gli scenari opportuni nei quali collocare i discorsi culturali, perché la forma è sostanza; chi non li riconosce, non li riconoscerà in ogni caso, ma almeno si darebbe la chance di farlo a chi li riconosce.
Tornando al tema dell’articolo, in Ungheria siamo ancora di fronte ad un tentativo di controllo sociale del vecchio tipo – di fronte al quale la divulgazione di idee può avere ancora un impatto critico – che è inevitabilmente destinato a fallire (lasciando quali conseguenze?) per la sua obsolescenza rispetto allo spirito dei tempi. Quando questo avverrà, poi, si dovrà fare attenzione a quelle problematiche che accennavo sopra, che nelle democrazie occidentali sono già esplose sotto ai nostri occhi, nonostante stentiamo a rendercene conto, e che sottotraccia sono già presenti anche nel resto del mondo, indirizzandolo verso una certa direzione, propagandata non come una possibile direzione ma come l’unica direzione possibile, basti vedere l’esempio delle recenti primavere arabe.

(«Pensieri villici», 06/05/2013, e come Libertà di Parola. Intervista con Federico Sollazzo, in «LiberaParola», 06/05/2013)

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2 commenti:

  1. Solidarietà e libertà di espressione! Erwin

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  2. Riporto di seguito la nota di Enzo Marzo, direttore di "Critica liberale" (pubblicata sulla medesima rivista in apertura al mio articolo) e ringrazio il dott. Antonio Cecere per l'interessamento e la vicinanza nei miei confronti.

    L'8 aprile 2013 il nostro sito pubblicò questo articolo di Federico Sollazzo. Il nostro collaboratore in seguito ha ricevuto delle minacce via Facebook da utenti ungheresi e italo ungheresi. Qualche giorno fa Federico Sollazzo ha rimesso in circolo sui social network il suo articolo e ha ricevuto ancora minacce pubbliche. Tutto ciò è assolutamente inaccettabile. Al nostro autore va naturalmente tutta la nostra solidarietà. Ma ciò non basta. Denunceremo in ogni sede questa violenza verbale. L'Ungheria è un paese che amiamo, ma che come l'Italia è caduta in mani illiberali. La libertà di espressione e di parola sono a fondamento della civiltà europea ed è intollerabile che nella comunità europea si accetti la presenza di un paese autoritario che viola costantemente quei principi. I violenti che rispondono alle critiche con le minacce sono degni del regime di Orban ma recano gravi danni al loro paese. [e.m.]

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