di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)
Se l’espressione “giovane Lukács” è venuta assumendo una potenza eccessiva ed ideologizzata, come afferma Elio Matassi, autore del volume Il giovane Lukács. Saggio e sistema, Mimesis, 2011 (pp. 187, € 15) nell’”Introduzione” al volume stesso, perché allora fare di questa espressione addirittura il titolo di un libro? Evidentemente, per ridare a quell’espressione una valenza non più ideologizzata, compito che può essere assolto valutando un itinerario intellettuale alla luce della sua fine e non del suo inizio[1]. Un inizio che si pone nel segno del saggismo, che però non deve essere inteso come un qualcosa di frammentario e privo d’unità tematica, ma in maniera prismatica, come una molteplicità di frammenti che dovranno essere tutti riflessi dallo, e quindi contenuti nello, specchio saggistico. Così, la forma saggistica e quella tragica si pongono entrambe nell’ambito del saggismo, come due sue estremità, cosicché il passaggio dall’una all’altra non avviene nel segno dell’esclusione bensì della continuità: esse rappresentano lo stesso discorso declinato in chiave affermativa (la forma saggistica) e negativa (la forma tragica). Per questo il passaggio da un’opera quale A modern dráma fejlődésének története (Storia dello sviluppo del dramma moderno) ad una quale Die Seele und die Formen (L’anima e le forme) non deve essere descritto come un salto da un’interpretazione storico-filosofica del tragico ad una visione pantragica, un metastoricismo ispirato alla filosofia della vita e all’estasi della morte, bensì come un passaggio “fluente” da un approccio storico-filosofico nel quale sono già presenti elementi di ontologia esistenziale metastorico-metafisica ad una piena espansione degli stessi.