E gli uomini se ne vanno a contemplare le vette delle montagne, i flutti vasti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l'immensità dell'oceano, il corso degli astri, e non pensano a sé stessi.
Sant'Agostino
Il mare blu sembrava più vasto, venato di sottili sfumature lunari che si specchiavano sul volto sbiadito della notte. Le onde rumoreggiavano nelle quiete e nell'oscurità impenetrabile si sentiva solo una eco che rimbombava in spirali di speranza: era la voce dell'immensità.
Una tavola di legno fradicio, corrotta dalla salsedine, era l'unico appiglio per il corpo sfinito. Argor Mavigar, vecchio stimato lupo di mare, ormai era uno dei tanti e sfortunati naufraghi, in balia dell'impeto delle forti correnti.
A tratti, il silenzio ingoiava il respiro delle onde che poi si innalzavano di nuovo minacciose, come creste dalle orribili sembianze, sul capo indifeso del superstite. Erano fugaci attimi di calma apparente. Pochi secondi e di nuovo si scatenava il rimbombo della tempesta.
Alle prime luci dell'alba, il mare tornò a placarsi, rendendo la vista dell'orizzonte un disteso miraggio verso la possibile salvezza. Argor rinvenne una piccola bottiglia che galleggiava accanto a lui. L'afferrò con forza, anche se nelle braccia era rimasto solo un debole barlume di vigore e, dopo avere tolto il sigillo, fece scivolare sulla mano bagnata e piagata il foglio ingiallito dal tempo.
Dopo averlo srotolato lesse:
«Sei solo in mezzo all'oceano, hai solo una possibilità. Nuota innanzi a te e troverai la risposta: la verità.»
Argor si sentì spaesato, non sapeva cosa significasse il misterioso messaggio. Decise di andare verso quella meta, verso la risposta, la verità.
Abbandonò la tavola e usò le ultime forze per annaspare fino alla successiva bottiglia.
La trovò a breve distanza e senza difficoltà.
Anche stavolta l'aprì e con vorace curiosità lesse:
«Sei sempre solo e innanzi a te c'è la vastità del mare. Io sono qui per dirti che non esiste più alcun lembo di terra ove approdare. Il mondo è stato sommerso per sempre. Quale sarà il tuo destino? Cosa farai?»
Argor rise di cuore: pensò ad uno scherzo di qualche sciocco. Tornò a ripescare la tavola a cui aggrapparsi e su di essa trovò una strana scritta:
“SVEGLIATI”.
In quell'istante il mare lo attirò verso il fondo, senza pietà lo inglobò nella sue maglie di gelida fine.
Argor Mavigar aprì gli occhi, forse per l'ultima volta, in mezzo al buio di quella eterna prigione. Sentì il rumore del suo respiro crescere dentro la nebbia degli ultimi attimi. Fu colto da uno scatto di puro terrore. Con un tonfo, cadde dal letto in una fredda notte invernale: era stato solo un incubo.
Andò in cucina a bere un sorso d'acqua: erano le tre del mattino.
Sul tavolo, trovò una bottiglia che di sicuro non gli apparteneva. “Cosa mai sta accadendo” si chiese tra sé.
La prese, l'aprì e lesse il messaggio che era al suo interno:
«Sei solo in mezzo all'immensità della terra. Il mare è scomparso, non potrai mai più solcarne le vie.»
Argor, preso dal panico, andò alla finestra. Dalla cima della collina di casa sua si vedeva l'oceano: il buio totale copriva ogni scenario.
Aprì la porta e con il foglio ancora tra le mani corse verso la spiaggia. Tra le fronde dei pochi alberi che si ammassavano nei pressi della sua dimora, poteva ascoltare solo il suono dimesso dei battiti del cuore.
Mise piede sulla sabbia: il mare era davvero scomparso.
All'orizzonte si vedeva solo una lingua di terra infinita, ingentilita nella forma dalle carezze delle prime luci solari.
Al suolo campeggiava una scritta:
“SVEGLIATI”.
Argor Mavigar si destò all'alba, preso dal terrore. Aveva persino paura a guardare oltre il davanzale delle imposte. Capì che la sua anima era sospesa a metà tra l'amore per il mare e la terra. Non avrebbe mai voluto assistere alla distruzione delle due parti vitali del cuore umano.
La solitudine non lo spaventava. Del resto l'uomo lo aveva sempre escluso dai salotti borghesi delle lussuose case senza sostanza.
Lui, invece, faceva parte dell'essenza vera del creato, fatta di sassi e gocce di acqua, di tempeste e quiete. Adesso quella voce lo stava chiamando. In pochi potevano sentirla.
Erano i suoni che armonizzavano la coscienza, che donavano all'essere umano la dignità di creatura vivente.
Terra e mare, le due parti del mondo, in fondo allo spirito della natura. E Argor sapeva che l'avanzamento della civiltà stava per dissolverle nella dimenticanza dell'avidità e del capitalismo. Per sempre...
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Prende fin dall'inizio e ti porta alla fine in un attimo questo breve racconto. Potrei definirlo lampo in una notte. Scritto molto bene, con un finale che non ti aspetti e che lancia in riflessione anche il più disincantato lettore.
RispondiEliminaAncora una volta Chiara mi prende con le sue parole che scavano nel cuore e nella mente, incuriosendo il lettore che divora avidamente i suoi scritti. Ed il finale lascia spazio alla riflessione più profonda....
RispondiEliminaRingrazio Salvatore e Dario per i loro benevoli commenti e voglio aggiungere una breve considerazione, partendo proprio da una citazione di Thomas Macaulay: la civilizzazione avanza e la poesia arretra. Poesia e natura, indissolubilmente legate, arretrano non per loro volontà, ma per impeto e avanzamento dell'uomo. Sulla strada del nostro benessere, sono sepolte tante rovine che prima o poi affioreranno, lasciandoci solo tanto amaro in bocca.
RispondiEliminaInaspettatamente profondo, il fine vero del racconto, che sicuramente induce alla riflessione interiore e verte inevitabilmente su ciò che sta accadendo.
RispondiEliminaDegrado - cancro della civiltà attuale - spirituale e quindi naturale... in quanto spirito e natura li considero elementi connessi l'un l'altra.