di Grazia Calanna (gr.cal@tin.it)
“Ha una solitudine lo spazio, / solitudine il mare / e solitudine la morte – eppure / tutte queste son folla / in confronto a quel punto più profondo, / segretezza polare / che è un’anima al cospetto di se stessa – / infinità finita”, versi di Emily Dickinson. Condensano il senso dell’impietoso, impetuoso, Taccuino di Talamanca di Emil Cioran, venuto alla luce nel 1966 durante un soggiorno estivo a Ibiza, edito da Adelphi e prefato da Verena von der Heyden-Rynsch. Sublimazione e disincanto, desengaño, rincorrendosi ricorrono come fossero il ritornello di un componimento esistenziale, intensa testimonianza dell’intimo, ininterrotto, disagio del filosofo e saggista romeno, “Mentre facevo ogni sorta di amare riflessioni, guardavo quei pini, quelle rocce, quelle onde visitate dalla luna, e improvvisamente ho sentito fino a che punto sono inchiodato a questo bell’universo maledetto”, “Anche se cambio luogo – anche se cambiassi mondo –, mi ritrovo sempre con me, con il solito me stesso”. L’autore, “curioso dell’incurabile”, dichiarata con fermezza la sincerità dei propri “scritti”, offre tutto se stesso al lettore al quale non risparmia nulla, nemmeno le proprie “paure chiaroveggenti” scandite da un sogno – un conflitto atomico tra America e Cina – costellato da dettagli, “spaventosi, magnifici, splendori d’inferno”, inconcepibili da desti. Nero su bianco la penna insonne, “non sopporto il sole, che mi fa male, che è nemico del mio sonno”, pungola “l’anima prigioniera della materia” verso la “redenzione” possibile, forse, con il “superamento della conoscenza”. Confessioni melanconiche, “la dolcezza del vivere è scomparsa con l’avvento del rumore”, assumono significato cosmico. Cioran piange la dipartita del silenzio invitandoci, per dirla con Heidegger, al ricongiungimento con il “luogo originario di ogni dire” per sentire “il suono di quel dire originario che non si lascia afferrare e chiudere in nessun enunciato”. Il silenzio è scomparso, “dall’isola”, dal mondo, “giorno e notte gli aerei la sorvolano, il loro fracasso è il prezzo che gli indigeni pagano per aver ottenuto il privilegio di mangiare a sazietà”. “Soffrire tranquillamente è un segreto che aspiro invano a possedere, e senza il quale temperamenti come il mio sono condannati all’Inferno”, nondimeno, riuscissimo a dargli ascolto, potremmo risparmiarci le tenebre. “Poiché non sappiamo quanto ci resta da vivere, il dovere verso noi stessi ci impone di fare solo ciò che interessa profondamente il nostro essere… quaggiù nulla è risolto, perché nessuno si prende la briga di sapere a che punto è rispetto a se stesso”.
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