di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)
Costituzione della Repubblica Italiana
Principi fondamentali
Art. 1
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Ritengo che l’aggettivo “democratica” debba essere letto con senso critico. La democrazia è infatti, allo stesso tempo, un’esperienza storica, un ideale morale e una forma istituzionale (un insieme di regole), che quell’ideale morale dovrebbe, di volta in volta, mai con la presunzione di cristallizzarlo, realizzare.
Anche il sostantivo “lavoro” ritengo debba essere letto con senso critico. Esso infatti è stato pressoché sempre veicolo di coercizione, una coercizione talmente introiettata da far ritenere che la prioritaria, se non l’unica, liberazione possibile sia quella del lavoro, anziché quella dal lavoro (continuando così ad intenderlo come uno strumento di fatica produttiva, anziché come una modalità di espansione delle proprie facoltà).
Mi pone poi degli interrogativi la frase “La sovranità appartiene al popolo”, parzialmente mitigati dalla subordinata “che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Quantità non è sinonimo di qualità: il popolo non è il garante della ragione (palesi esempi nella storia del genere umano lo dimostrano), ed il fatto che nell’Articolo sia stato inserito un diaframma tra la sua sovranità e l’esercizio della stessa, denota che coloro i quali l’hanno scritto ne erano ben consapevoli.
In termini concettuali, vorrei quindi proporre una simile interpretazione dell’intero Articolo: l’Italia è (come tutti gli Stati) una struttura artificiale, collocata in un dato territorio, tale struttura artificiale si ispira agli ideali ai quali rimanda la parola democrazia e, una volta assolte le necessità funzionali alla sopravvivenza individuale e collettiva, è fondata sull’espansione delle facoltà dei suoi membri, unico valore che può mettere in questione la precedente sopravvivenza. Le decisioni aventi ripercussioni significative sulla vita altrui, sono condivise (e non è detto che siano necessariamente gli strumenti del voto e della maggioranza a veicolare tale condivisione) tra coloro i quali sono dotati di una coscienza critica.
Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Questo Articolo ricorda quelli iniziali della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ma la sua peculiarità sta nella declinazione sociale, istituzionale e giuridica delle proprietà che vengono attribuite all’uomo: la dignità è sociale e l’eguaglianza è legale.
Quindi, come esplicita il secondo periodo, l’Articolo si rivolge non all’uomo ma al cittadino, prima, e al lavoratore, poi, figure tra le quali l’uomo è incastrato, peraltro, con la strana definizione di “persona umana” (come se potesse esistere anche una persona non umana).
Tale prospettiva rivela dunque come l’attenzione di coloro i quali l’hanno redatto non sia, almeno in questo frangente, rivolta all’uomo, ma alla creazione di una struttura sociale, istituzionale, giuridica ed economica, all’interno della quale l’uomo, ridotto per tal via a cittadino e a lavoratore, deve collocarsi. Ora, benché la creazione di una simile struttura sembri essere una necessità ineludibile della vita associata, bisogna tenere fermo il punto che è tale struttura a dover essere ritagliata sull’uomo (il che rimanda a riflessioni antropologiche ed ontologiche sullo stesso) e non il contrario.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Questo Articolo ricorda quelli iniziali della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ma la sua peculiarità sta nella declinazione sociale, istituzionale e giuridica delle proprietà che vengono attribuite all’uomo: la dignità è sociale e l’eguaglianza è legale.
Quindi, come esplicita il secondo periodo, l’Articolo si rivolge non all’uomo ma al cittadino, prima, e al lavoratore, poi, figure tra le quali l’uomo è incastrato, peraltro, con la strana definizione di “persona umana” (come se potesse esistere anche una persona non umana).
Tale prospettiva rivela dunque come l’attenzione di coloro i quali l’hanno redatto non sia, almeno in questo frangente, rivolta all’uomo, ma alla creazione di una struttura sociale, istituzionale, giuridica ed economica, all’interno della quale l’uomo, ridotto per tal via a cittadino e a lavoratore, deve collocarsi. Ora, benché la creazione di una simile struttura sembri essere una necessità ineludibile della vita associata, bisogna tenere fermo il punto che è tale struttura a dover essere ritagliata sull’uomo (il che rimanda a riflessioni antropologiche ed ontologiche sullo stesso) e non il contrario.
(«NuovaResistenza news», Speciale 2011)
Questa opera è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
Ciao Federico, grazie per ricordare i Principi Fondamentali su cui è stata costruita la nostra Repubblica. Ricordarli è un modo di difenderla.
RispondiEliminaUn caro saluto, Luciana