lunedì 11 gennaio 2010

Lewis Mumford, “Storia dell’utopia”

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

L’uomo cammina con i piedi in terra e la testa per aria e la storia di ciò che è accaduto sulla terra – la storia delle città, degli eserciti e di tutte quelle cose che hanno avuto corpo e forma – è solo una metà della storia dell’uomo.
L. Mumford

Per accostarsi correttamente alla Storia dell’utopia di Lewis Mumford, è necessario comprendere l’accezione nella quale egli intende il termine “utopia”. Rifacendosi all’Utopia di Tommaso Moro, Mumford ricorda come il termine utopia, di derivazione greca, possa provenire sia da “eutopia” che da “outopia”, rispettivamente significanti “buon posto” e “nessun posto”. L’utopia è allora, allo stesso tempo, sia un modello ideale da perseguire, sia un luogo diverso e irraggiungibile rispetto a quello nel quale ci si trova, ed è fondamentale che il termine contenga sempre in sé entrambe queste sfumature: l’”eutopia” rappresenta la dimensione della progettualità di un mondo ideale; l’”outopia” afferma, non solo l’assenza attuale, ma la perenne irraggiungibilità di tale mondo, caratterizzando così l’utopia non come una determinata impostazione sociale da realizzare una volta per tutte, ma come un ideale di miglioramento verso il quale tendere costantemente (mettendo così al riparo da chi volesse cristallizzare una certa situazione, sostenendo che sia impossibile migliorarla). In tal senso Mumford intende l’utopia, pertanto, quando si discredita l’utopia, si apre la strada al «trionfo del “reale” (…) allora rimaniamo condannati al rispetto del costituito, chiudiamo nel presente le infinite risorse del nostro immaginario creativo e della speranza. Perdiamo così la nostra capacità critica, assolutizzando il limite delle capacità contenute nel luogo determinato in cui ci troviamo, ovvero finiamo con il cadere nell’altro tipo di illusione, che consiste nel ritenere che il luogo in cui siamo attualmente sia l’unico vero luogo» (Franco Crespi, Crisi e rinascita dell’utopia, Introduzione al volume, p. XI).
Nell’intento di ricomporre in un’immagine ordinata e significativa i frammenti dello spirito utopico, Mumford spazia dalla Repubblica di Platone alla Descrizione della repubblica di Cristianopoli di Johann Valentin Andreae, dalla Nuova Atlantide di Francesco Bacone a La Città del Sole di Tommaso Campanella, da Ricordi dell’anno 25000 di Louis Sebastien Mercier a Viaggio ad Icaria di Etienne Cabet, da La razza ventura di Edward Bulwer-Lytton a Uno sguardo dal 2000 di Edward Bellamy, da Notizie da nessun luogo di William Morris a Le città giardino del futuro di Ebenezer Howard, a Una utopia moderna di G. Herbert Wells, passando anche per autori quali Charles Fourier, Robert Owen, James Buckingham, William H. Hudson, Thomas Spence, Theodor Hertzka, ed altri ancora.
Tuttavia, tutte queste tematizzazioni rischiano di rimanere sulla carta, non svolgendo così la loro “missione” di sprone al miglioramento, se non trovano uomini consapevolmente disposti ad accoglierne lo spirito; ecco perché «Il compito più importante che ci aspetta in questo momento è di costruire castelli in aria» (p. 188).
(Lewis Mumford, Storia dell’utopia, Donzelli, pp. 225, € 15,00)

("Periodico Italiano webmagazine", 28/12/2009)

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