di Alessandro Melioli (melioli.alessandro@gmail.com)
La prima immagine che mi sovviene accostandomi alla lettura dell’opera curata da Federico Sollazzo è di stampo sportivo. La transizione, nel gergo calcistico o cestistico, «rappresenta una fase intermedia di gioco nella quale si altera la condizione che si aveva nella fase iniziale per dare luogo ad un nuovo equilibrio» (così ad esempio su “Scienze motorie” online). Il fatto interessante è che tale concetto si può applicare soltanto a sport nei quali non esistono ruoli fissi, ovverosia dove determinati giocatori sono preposti unicamente alla fase difensiva e altri a quella offensiva, ma solo nei sistemi totali nei quali ogni soggetto si ritrova a compiere entrambe le fasi. Potremmo definirli sistemi liquidi. La transizione è diabasis ed è sempre preceduta da una sorta di periagoge, cioè di conversione del possesso palla ad opera di uno o più individui, i quali, con un gesto singolare nel rispetto delle regole del gioco, inter-rompono uno schema che stavano subendo per imbastire una nuova manovra che possa portarli ad una meta condivisa. Ma è ancora possibile una diabasis di questo tipo nel mondo attuale? Oppure la consapevolezza che «l’autentico soggetto del gioco non è il giocatore, ma il gioco stesso» [p. 84], come insegna Gadamer in Verità e metodo, non lascia spazio a sortite?
La prima immagine che mi sovviene accostandomi alla lettura dell’opera curata da Federico Sollazzo è di stampo sportivo. La transizione, nel gergo calcistico o cestistico, «rappresenta una fase intermedia di gioco nella quale si altera la condizione che si aveva nella fase iniziale per dare luogo ad un nuovo equilibrio» (così ad esempio su “Scienze motorie” online). Il fatto interessante è che tale concetto si può applicare soltanto a sport nei quali non esistono ruoli fissi, ovverosia dove determinati giocatori sono preposti unicamente alla fase difensiva e altri a quella offensiva, ma solo nei sistemi totali nei quali ogni soggetto si ritrova a compiere entrambe le fasi. Potremmo definirli sistemi liquidi. La transizione è diabasis ed è sempre preceduta da una sorta di periagoge, cioè di conversione del possesso palla ad opera di uno o più individui, i quali, con un gesto singolare nel rispetto delle regole del gioco, inter-rompono uno schema che stavano subendo per imbastire una nuova manovra che possa portarli ad una meta condivisa. Ma è ancora possibile una diabasis di questo tipo nel mondo attuale? Oppure la consapevolezza che «l’autentico soggetto del gioco non è il giocatore, ma il gioco stesso» [p. 84], come insegna Gadamer in Verità e metodo, non lascia spazio a sortite?
Federico Sollazzo (cura), Transizioni. Filosofia e cambiamento. In movimento con Heidegger, Adorno, Horkheimer, Marcuse, Habermas, Wittgenstein, Gramsci, Pasolini, Camus, goWare, 2018 |
I primi due saggi, uniti sotto il titolo “Attraversamenti teoretici”, si aprono con lo scritto Nel senso speculativo della storia. La traccia heideggeriana dell’oblio dell’essere di Marco Viscomi, dove il tema della transizione della società attuale assume i connotati dell’annichilimento della domanda sul senso di heideggeriana memoria. Tale riflessione diventa occasione di una meditazione sulla storia che si fa essa stessa transizione. «Nella misura in cui la filosofia si fa carico del proprio senso originario di investigazione sul fondamento, l’archè, essa può conseguentemente cogliersi come storia non storiografica delle idee e come ricostruzione non ideologica del pensare» [p. 16].
La meditazione teoretica si mantiene profonda col saggio di Paolo Beretta La tecnica e il sapere. A partire da Heidegger, oltre Heidegger. Qui le questioni del trionfo delle tele-tecno-scienze, del compimento della metafisica e della fine della filosofia vengono indagate in due opere heideggeriane come Sull’essenza e il concetto della physis. Aristotele. Fisica. B, 1 e La questione della tecnica e nell’opera del pensatore italiano contemporaneo Carlo Sini. Il rischio insito nell’attuale epoca di transizione è quello di ridurre l’essere umano ad un mero accidente, un symbebekos, in balia della volontà di potenza della tecnica. «Tuttavia, nella minaccia somma dell’im-posizione, l’uomo ritrova se stesso e la promessa di salvezza, se appena egli rivolge lo sguardo non alla strumentalità intesa in senso neutro e antropologico, come mero mezzo in vista di fini, ma alla tecnica come l’invio di un destino che concede, apre – e perciò anche nasconde – il senso dell’essenza come qualcosa che riguarda la disvelatezza, aletheia» [p. 46]. Fondamentale da questo punto di vista è un pensiero che rifletta anche su quelle macchine che rendono possibile il lavoro filosofico. Come mostra il lavoro di Sini, il pensiero in realtà è il prodotto di un particolare mezzo-macchina: il linguaggio. Si può dire quindi che è grazie al pensiero-tecnica che si può meditare sul senso dell’Essere. «È necessaria perciò una transizione a un sapere filosofico di nuovo genere in vista di una comprensione transdisciplinare» [p. 59].
Gli “Attraversamenti sociali”, titolo che inaugura la seconda parte dell’opera, raccolgono di fatto il testimone della riflessione teoretica sulla transizione aprendosi al dialogo filosofico transdisciplinare. In L’opera d’arte come soggetto filosofico. Ascesi e materialismo in Thedor W. Adorno di Luca Baldassarre, la transizione si mette in relazione al tema della tensione immanente dell’opera d’arte a partire dall’indagine sullo statuto epistemologico di filosofia e arte nel pensiero di Adorno. Baldassarre conduce il lettore in un movimento dialettico che, come la tradizione della Scuola di Francoforte insegna, non è mai totalizzante, ma che si manifesta come un continuo esercizio ermeneutico. L’arte è tale solo nel desiderio di trasformazione dell’esistente, è Spannung, tensione, a differenza del Kitsch – categoria centrale nell’analisi estetica di Adorno della società dei consumi – che è omologante, «forma finale della reificazione come struttura ideologica di un modo di produzione» [p. 64]. L’arte può prendere le distanze dalla realtà reificante senza scadere in un atto meramente reazionario solo attraverso un continuo lavoro di interpretazione di sé in dialogo con la filosofia. Ascesi e materialismo saranno i due poli all’interno dei quali dovrà muoversi il discorso estetico.
Non solo per mezzo dell’arte, ma anche attraverso la lingua si può conoscere una società. Moira De Iaco in Mutazioni linguistiche↔mutazioni sociali tratta il tema della transizione mostrando come la lingua ci restituisca sempre, da un lato, uno specchio della società e, dall’altro lato, manifesti il pericolo potenziale di diventare uno strumento di controllo per il popolo. È il caso del Newspeak di Orwell in 1984, lingua che riduce la capacità semantica in vista di un linguaggio univoco privo di sfumature. La forza di un linguaggio tuttavia risiede nel fatto che è in grado di trascendere le regole prefissate di quella che, con Gramsci, si può definire “grammatica normativa”, per aprirsi ad una dialettica tra regole del gioco e spazi di libertà. Difatti, seguendo le orme di Wittgenstein, si può affermare che «per il linguaggio verbale funziona il modello del gioco, non quello del calcolo» [p. 82]. È in questo sforzo ermeneutico che cresce la portata rivoluzionaria di ogni lingua, perciò di ogni società.
Transizione: dalla rivoluzione all’integrazione. Note su società e individuo in Horkheimer e Adorno di Valeria Ferraretto parte dalla tesi per cui in transizione sia la società stessa, «una transizione, quella dell’individuo, che, invece di portare all’uguaglianza tra tutti, ha portato alla standardizzazione di tutti» [p. 90]. Attraverso gli scritti di Adorno e Horkheimer, l’autrice riconosce che la necessità storica dell’abbattimento del capitalismo non si è verificata in quanto il proletariato stesso è stato inglobato all’interno del sistema che voleva abbattere. L’individuo, come «proiezione di tutte le contraddizioni della società capitalistica» [p. 95], diventa soggetto all’omologazione che lo priva della sua singolarità e che lo riduce a monade. Le relazioni umane, in primis quelle con se stessi e quelle familiari, si disintegrano. Ed è in questo momento che diventa necessario l’intervento della filosofia affinché gli uomini imparino a riflettere sull’alterità ed evitare la cecità che già in passato ha causato enormi disgrazie. Secondo Horkheimer centrali in questo processo sono anche le “forme femminili”, in particolare quelle legate all’amore materno, grazie al quale la famiglia diventa «presagio di una condizione umana migliore» [p. 101].
Il saggio Razionalità strumentale e individualità di transizione, ieri ed oggi del curatore Federico Sollazzo, il capitano di questa squadra di giovani autori, si propone di rintracciare «il riconoscimento di una dinamica e di una dialettica di inquadramento, in atto in questa fase della civilizzazione, latu sensu, occidentale. […] Un inquadramento così spinto dei fenomeni umani da distorcere o addirittura cancellare qualsiasi traccia di intelligenza, comprensione empatica degli e negli stessi fenomeni.» [p. 107-108]. Il fenomeno dell’inquadramento viene argomentato da Sollazzo attraverso tre figure: la desublimazione repressiva di Marcuse, la mutazione antropologica di Pasolini e l’oblio dell’Essere di Heidegger. L’uomo contemporaneo non si interroga più sul senso delle proprie azioni, ma semplicemente si adegua alla vulgata che vuole che anche l’emarginato si inquadri nel sistema dominato dalla razionalità strumentale alla caccia disperata dei suoi benefit, perché tale sistema viene avvertito come l’unico possibile. Quali sono tuttavia gli spazi per operare una transizione da uno stato di cose escludente ad uno trascendente? Secondo Sollazzo bisogna ripartire dalla coscienza del soggetto individuale e da una piccola audience di singolarità unite dal desiderio di strutturare pratiche in grado di far dialogare teoria e prassi in un’ottica transdisciplinare e pluralistica.
Ottica transdisciplinare che deve tenere presente in primis le scoperte scientifiche degli ultimi secoli, come invita a riflettere il saggio di Francesco Giacomoantonio, La dimensione ideologica della scienza nella sociologia di Habermas. Qui l’indagine sulla società in transizione si interroga sul rischio di deriva ideologica della scienza. Da un punto di vista politico, la forma della razionalità scientifica si fa ideologia – e prima forza produttiva – alla luce di due fatti: l’intervento sempre più massiccio dello stato per stabilizzare il sistema e l’interdipendenza tra ricerca e tecnica. La politica diventa così un’attività finalizzata a risolvere problemi di natura tecnica e non più pratici: è la tecnocrazia. Dal versante epistemologico la scienza rischia di farsi ideologia se si identifica in toto con la conoscenza. Qui la critica di Habermas è rivolta al positivismo e alla mentalità per cui il momento conoscitivo sia assoluto e trascendente rispetto al fenomeno, in particolare a livello sociale, «con intento manipolativo di cose e persone ai fini della produzione» [p. 130]. La via proposta da Habermas risiede nella resurrezione di una filosofia come “coscienza delle scienze”, consistente in una dimensione di razionalità sostanziale che possa svolgere un ruolo interpretativo e dialogico tra azioni dirette al successo – scientifiche – e le azioni dirette all’intesa – politiche.
Il mezzo attraverso il quale la filosofia può inserirsi all’interno del panorama sociale può essere anche la letteratura. Questa è la tesi del saggio che conclude il volume ad opera di Stefano Scrima, Narrazioni pericolose. Introduzione a una teoria del romanzo come strumento filosofico e sociale in movimento. Il bel romanzo sprona, sconvolge, fa riflettere, è portatore di una filosofia. E compito della filosofia è quello di mettere in discussione l’ovvio di una società, che ovvio non è, ma lo è diventato. Il romanzo si fa portavoce perciò di un’epoca e al tempo stesso educa i suoi lettori; per tale motivo è uno strumento in movimento perché in movimento è lo scrittore stesso. È il concetto di impegno di Sartre, di uomo situato di Gide, è «la tragedia dell’eroe come colui che ha il coraggio di essere se stesso contro la tradizione e il senso comune» [p. 143] di Ortega y Gasset. Il nesso tra filosofia, società, politica è perciò indissolubile: solo un romanzo che ha la pretesa di essere strumento di analisi del mondo attuale può aprire nuovi orizzonti in un’epoca di transizione e inquadramento. «Leggere non è un semplice passatempo, ma è il momento nel quale scegliamo chi essere» [p. 174].
Come abbiamo visto attraverso il riassunto dei saggi, in questo volume la transizione non è semplicemente un filo conduttore, ma è l’essenza che innerva l’opera stessa. Come informato da un’aristotelica energheia, il volume diventa esso stesso una transizione tra pensieri e azioni di autori che si passano la palla con ruoli e competenze diverse. Ci tengo a sottolineare la trovata positiva dell’editore goWare nell’indicare all’inizio di ogni saggio le parole chiave per orientarsi nella lettura, così come l’aggiunta finale di corpose biografie di ogni autore, in linea con l’intento del curatore di dare spazio a giovani talenti.
Possiamo concludere ribadendo il fatto che la vera sfida della raccolta di saggi risiede nella capacità di trattare il tema filosofico della transizione senza chiudersi nella speculazione fine a se stessa, ma anzi mostrando che la filosofia può e deve aprirsi all’incontro-scontro con altre discipline, forte della fede nel pluralismo delle visioni e del rispetto delle reciproche singolarità in vista di pratiche condivise. Il rischio è che tale approccio generi caos, frutto di un affastellamento di punti di vista particolari privi di una sintesi. Tuttavia lo sforzo del filosofo risiede tutto qui: nel mantenere viva la tensione di fronte alla tentazione sempre presente di chiudersi in una dialettica totalizzante. È forse l’unica strada da percorrere al giorno d’oggi per la filosofia se vuole essere portatrice di una trasformazione anche dal punto di vista politico ed etico. Se vuole cioè ribaltare il fronte del gioco e imbastire tattiche per costruire un nuovo equilibrio senza voler indicare a priori un movimento corretto rispetto ad uno sbagliato. Penso che la lettura di Transizioni. Filosofia e cambiamento possa essere già un buon esercizio in questo senso, consci del fatto che, d’altronde, «l’attraversamento che avviene in ciascuno di noi e che ciascuno di noi è, è sempre nient’altro che una transizione» [p. 9].
Federico Sollazzo attualmente insegna (dal 2010) Continental Philosophy presso l’Università di Szeged, dove nel 2017 ha istituito il seminario “Krinò” Workshop of Thinking, dedicato alla critica dell’odierna alta cultura, a partire dalla, ma non limitatamente alla, filosofia accademica contemporanea; dal 2018 “Krinò” Workshop of Thinking diventa un’istituzione autonoma, basata nella medesima città ungherese ma con sessioni, in inglese e italiano, anche in altre città e Paesi. Un suo profilo è disponibile sul suo sito web, “CriticaMente”.
Alessandro Melioli, laureando all’Università Cattolica, collabora con realtà editoriali, associative e imprenditoriali in ambito socio-culturale e pratica discipline orientali e sportive.
Federico Sollazzo (a cura di), Transizioni. Filosofia e cambiamento. In movimento con Heidegger, Adorno, Horkheimer, Marcuse, Habermas, Wittgenstein, Gramsci, Pasolini, Camus, ed. goWare, Firenze 2018.
(«Filosofia e nuovi sentieri», 21/03/2018)
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale. Follow me on Academia.edu
Federico Sollazzo (a cura di), Transizioni. Filosofia e cambiamento. In movimento con Heidegger, Adorno, Horkheimer, Marcuse, Habermas, Wittgenstein, Gramsci, Pasolini, Camus, ed. goWare, Firenze 2018.
(«Filosofia e nuovi sentieri», 21/03/2018)
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale. Follow me on Academia.edu
Nessun commento:
Posta un commento