di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)
Dal mondo antico sino ad oggi (più di 2300 anni) il pensiero occidentale è attraversato dal tema del dualismo, tematizzato di volta in volta con diverse sfumature: soma-psyché, corpo-anima (o spirito), res extensa-res cogitans, biologia-Io (o coscienza, o intelletto), ecc… Dal Novecento poi (forse anche da prima) si è iniziata a tentare una riconciliazione di tale dualismo in un’immagine unitaria dell’uomo, sostanzialmente approdata a quello che Michel Foucault ha chiamato “allotropo empirico-trascendentale”. In questi termini però il problema del dualismo appare tutt’altro che superato: si è semplicemente passati da quello che potremmo chiamare “dualismo forte”, che identifica due sfere dell’umano nettamente distinte e gerarchizzate fra di loro, ad una sorta di “dualismo debole”, che ipotizza possibili (ri)conciliazioni fra dimensioni dell’umano che, per quanto interagenti e fuse tra di loro, restano pur sempre di natura diversa; il dualismo appare così completamente superato solamente nella prospettiva del moderno riduzionismo scientifico, per il quale l’uomo è del tutto spiegabile e da spiegarsi unicamente in termini materialistico-meccanicistici. Ora, a mio modesto parere, per superare la problematica del dualismo, senza per questo cadere nel campo del riduzionismo scientifico, sarebbe opportuno tornare a riflettere sulla concezione antica, pre-platonica, per capirci, omerica, di uomo come “soma con soffio vitale” (bios che partecipa della zoé, corpo che partecipa della vita), laddove per soffio vitale non sia affatto da intendersi il contenuto di un soma ridotto a mero contenitore, ma un attributo del soma (come, ad esempio, i capelli) che proprio attributi unici ed irripetibili rendono riconoscibile conferendogli un’identità unica ed irripetibile, e tra gli attributi del soma, uno fra i più importanti è l’emozionalità, ovvero il patire con- (gli altri e il mondo). Viene così ad essere superata qualsiasi forma di dualismo (sia forte che debole), poiché il soma non è contenitore di qualcosa di altro, espressione di qualcosa di meta-somatico, ma manifestazione diretta e immediata di vita, senza per questo cadere nel riduzionismo scientifico, poiché al soma appartiene anche l’irriducibile attributo della emozionalità; a mio avviso, una simile “riscoperta” del soma, in direzione del mondo antico, potrebbe essere condotta a partire dall’antropologia empirica, o forse sarebbe meglio dire empirico-fenomenologica, di Arnold Gehlen.