lunedì 9 settembre 2013

Francisco Franco e le metamorfosi del potere

di Pietro Piro (sekiso@libero.it)

Fabio Lo Bono intervista[1] Pietro Piro sul libro: Francisco Franco. Appunti per una fenomenologia della potenza e del potere.
Lo Bono: Abbiamo il piacere di averti qui con noi e voglio approfittare per farti delle domande ad “ampio raggio”. In questi anni ti sei occupato di temi molto importanti, nelle pubblicazioni, nei seminari, nei dibattiti. Però, mi pare che la questione del potere ti stia particolarmente a cuore, mi sbaglio?
Piro: Il tema del potere è una questione fondamentale che riguarda l’intero impianto del mio lavoro critico. Credo che ogni uomo sperimenti sulla sua pelle – per così dire  il problema del potere. Gli psicoanalisti ci hanno insegnato che nel bambino, il potere del genitore che si esprime anche attraverso il semplice sguardo[i], può essere vissuto come una forte violenza. Questo significa che noi entriamo in contatto con il potere sin da piccoli e poi, per tutta la vita, non facciamo altro che oscillare tra il desiderio del potere e la paura del potere[ii]. Il potere esercita una doppia fascinazione: ci attrae e ci spaventa allo stesso tempo[iii]. Però, occuparsi del potere per me significa andare aldilà della fascinazione. Indagare ciò che sta a fondamento del potere.

Lo Bono: Che cos'è per te il potere?
Piro: Nella mia esperienza di uomo ho sperimentato molte forme di potere. Non credo che ci sia una unica forma di potere. Credo che si possa affermare che il potere nasce dalla paura e si alimenta attraverso la capacità di controllare[iv] e lenire la paura[v]. Tuttavia, nel corso della storia, il potere ha assunto forme differenti[vi] sulla base delle paure che in quel determinato periodo storico erano preponderanti[vii]. In questo momento storico  a mio modestissimo avviso  il potere dominante è rappresentato dalla possibilità d’indirizzare e guidare i grandi apparati della produzione tecnologica, scientifica, mediatica. Il potere consiste oggi – essenzialmente  nel controllo biopolitico[viii] del vivente, attraverso tutte le strategie di dominio e di manipolazione. Se il potere di oggi non alimentasse le paure che poi si propone di sconfiggere, sarebbe difficile pensare alla sua sopravvivenza[ix]. Tuttavia, si tratta unicamente del potere che esercita l’egemonia. Ci sono molti altri poteri che si muovono all’ombra del grande potere e che determinano e indirizzano la vita di tante persone.

Lo Bono: A che cosa ti riferisci?
Piro: Non esiste solo il potere nei confronti della realtà esterna. C’è anche il potere dell’autocontrollo, il potere della rinuncia, il potere della meditazione e della riflessione. Non tutti gli uomini sono attratti dal potere che si vede e che si fa notare. Direi qualcosa in più. Il potere che si fa notare, che s’impone con la violenza o con il sopruso, rivela un livello di coscienza molto basso e una capacità ridotta di sperimentare l’empatia.

Lo Bono: Ci puoi fare un esempio concreto di questa forma diversa di potere?
Piro: Ogni volta che anteponiamo una “categoria morale” che c’impedisce di compiere una azione che riteniamo errata, scorretta, inadeguata, umanamente umiliante e offensiva, ci poniamo nella dimensione di chi esercita un potere che frena[x]. In quel caso siamo potenti, perché riusciamo ad arginare le spinte brutali e aggressive che provengono dalla parte meno cooperativa della nostra anima. La moralità, intesa come una pratica di autocontrollo, come un esercizio di virtù, diventa una forma del potere interiore che c’impegna quanto e spesso di più del potere esteriore. La maggior parte delle persone crede di essere senza potere, perché non dirige e indirizza la realtà esterna. Si tratta di una mezza verità. Esercitare un potere su se stessi implica grandi capacità e forza di volontà.

Lo Bono: Scusami, ma la nostra società misura tutto in termini esteriori, con i parametri del denaro e del possesso. Non basta l’autocontrollo o la pratica segreta della virtù interiore. Non credi che per affermarsi nella società odierna sia necessario essere molto attivi e acquisire un minimo di potere? Non si rischia altrimenti di essere esclusi, emarginati, ridicolizzati?
Piro: Certamente. La nostra è una società del potere tutto esterno e in movimento[xi]. Ci è quasi impossibile esercitare poteri diversi da quelli esteriori – che sono poi quelli egemonici – lo ripeto. Tuttavia, si tratta di una condizione tragica e violenta. Noi educhiamo i bambini all’apparire e a trascurare il loro mondo interno. L’interiorità, l’intimità, la nostalgia, il ricordo, il sogno, sono vissuti come residui del mondo magico-mitico che deve essere sostituito con il mondo amministrato della tecnologia diffusa. Siamo una società del tutto-fuori del tutto-in mostra[xii]. Le conseguenze sono evidenti. La violenza che dilaga, procede di pari passo con l’assenza del potere interiore. Più il potere esterno si rafforza e più il potere interiore s’indebolisce. È una legge terribile di cui bisognerebbe discutere più in profondità ma non è questo il momento, direi.

Lo Bono: Questo libro su Franco è un libro sul potere?
Piro: In parte sì, ma non solo. Il libro è un tentativo di dimostrare come il processo di costruzione del Mito di Francisco Franco, rappresenti un archetipo che tende a riprodursi, in forme diverse, anche al giorno d’oggi. Il potere di Franco derivava  e questa è l’ipotesi del libro – da un processo di costruzione mediologica, che giustificava l’intera mega-macchina sociale che poi prenderà il nome di Franchismo. Il potere di Franco è innanzitutto un potere simbolico-religioso. Nel libro cerco di dimostrare come la necessità di un leader carismatico emerge prepotentemente quando ci sono circostanze straordinarie, quando la ragione sembra non essere in grado di affrontare le sfide della realtà, quando gli uomini sono accecati dalle passioni inferiori e dall’odio. Non dobbiamo mai dimenticare che Franco diventa il Capo Assoluto solo con l’acuirsi della Guerra Civile. Un evento drammatico che scatenò una forma molto acuta d’irrazionalismo di massa.

Lo Bono: Il tuo giudizio su Franco è negativo. Lo dipingi come un uomo mediocre, incapace di provare sentimenti empatici, un furbo e arrivista che ha saputo sfruttare le occasioni della storia per affermarsi. Ma se quello che dici è vero, come ha fatto a imporsi alla sua nazione per così tanto tempo?
Piro: Dal punto di vista umano, Franco fu un mediocre. Chi gli fu vicino per tutta la vita, ce lo ha descritto come un uomo dalla personalità fredda e distaccata e spesso ambigua, evitante. L’immaginario di Franco tradiva una profonda ostilità alla vita e al godimento erotico. Sono convinto che se non ci fosse stato l’evento scatenante della Guerra Civile, Franco sarebbe diventato uno di quegli anonimi generali che giunge alla pensione con un encomio alla carriera. Tuttavia, proprio grazie alla sua ambiguità e intelligenza tattico-strategica, fu in grado di cogliere le opportunità che gli venivano poste su un piatto d’argento. Però, non dobbiamo cadere nell’inganno di credere che il potere di Franco derivasse dalla sua persona. Franco, è uno strumento che mette il suo corpo al servizio del potere. Franco e i franchisti non sono separabili. Parafrasando una frase di Hannah Arendt, direi che la specificità dei capi di regimi dittatoriali come Franco, consiste nel fatto che possono essere sostituiti in qualunque momento. Franco riuscì a imporre la sua figura per così tanto tempo perché rispondeva a delle esigenze profonde – economiche, sociali, storiche, religiose, geopolitiche – che gli permettevano di abitare il potere assoluto. Tuttavia – ma questa è solo una mia ipotesi – non esistono poteri assoluti ma solo relativi. Il potere di Franco era relativo ma bisognava far credere attraverso la propaganda che si trattasse di un potere assoluto.

Lo Bono: Franco fu un cattolico osservante e praticante. Nel libro sei molto duro nei confronti della Chiesa Cattolica e delle sue relazioni con Franco. Credi che le tue posizioni su questo argomento siano equilibrate?
Piro: Franco fu un “perfetto cattolico” dal punto di vista della forma esteriore e dei suoi continui contatti con i massimi livelli della gerarchia cattolica. Ho analizzato questo aspetto in profondità nel libro, perché credo sia molto importante per ricostruire l’immaginario di Franco. Se Franco non avesse attinto alla ritualità del cristianesimo e non avesse ancorato la paura per comunisti e massoni a una lotta tra il bene e il male, a una Crociata appunto, non sarebbe riuscito ad attingere ad un così grande consenso di massa. Il cattolicesimo di Franco però è rigido e oscurantista. Centrato sul rispetto della legge e sul concetto di peccato. Direi che Franco non aveva una personalità in grado di attingere ai valori veramente ecumenici del cattolicesimo. La sua visone religiosa era troppo ristretta e manichea. Per quanto riguarda il ruolo della Chiesa Cattolica durante il franchismo, credo che ci sia un ampia bibliografia sull’argomento per chi desiderasse farsi unidea. L’idea che mi sono fatto è che Franco rappresentasse un ottimo esempio di cattolico tradizionalista e che per una parte della gerarchia vaticana, la sua figura rappresentasse una roccaforte in difesa dei valori tradizionali del cattolicesimo rispetto all’avanzata del materialismo di stampo socialista, anarchico e comunista.
Poi, se per un attimo penso che Franco è stato seppellito in una cattedrale con tutti gli onori, e che a piangere il suo feretro c’era il generale Augusto Pinochet, non credo proprio che desidererei frequentare lo stesso paradiso in cui dovrebbe essere adesso Franco.

Lo Bono: Questo libro è anche frutto delle tue esperienze vissute a Madrid. Franco è presente nella vita degli spagnoli di oggi?
Piro: Franco è presente nella vita degli spagnoli in forme molto diverse. È uno spettro che si aggira per le strade della Spagna assumendo caratteri e sembianze differenti, ogni volta che il suo nome è evocato direttamente o indirettamente. La rimozione di una targa o di una statua, la scoperta di una fossa comune, una sentenza di tribunale a favore o contro le vittime del franchismo, una voce su un dizionario di storia, un convegno, un film. Credo che Franco sia ancora molto presente. È chiaro che più tempo passa e maggiore sarà la difficoltà per le giovani generazioni di collocare questa figura nella loro esperienza personale. Ciò che mi spaventa però non è se la figura di Franco sia ancora viva oppure si appresta a essere dimenticata, quello che mi spaventa è che le radici profonde dell’autoritarismo di stampo fascista non sono state estirpate definitivamente dall’Europa[xiii]. Mi pare che lo spettro del fascismo covi sotto la cenere del disagio sociale e potrebbe rinascere – in forme nuove e inattese – proprio quando crediamo di essere riusciti a superarlo. In momenti profondi di crisi, le categorie che sembrano essere solide si polverizzano e la brutalità può nuovamente prendere il sopravvento. Se la distruzione della ragione[xiv]è l’anticamera della violenza, mi pare che i segni di questa rovina possano essere colti senza troppi sforzi.

Lo Bono: Vorrei concludere con una domanda provocatoria. Da dove viene il potere? Da Dio, dalla Natura o dagli uomini?
Piro: Nel corso della storia umana, il potere ha assunto forme differenti. Può anche darsi che il potere in passato sia stato legittimato da Dio o dalla Natura. Non posso escluderlo. Non ero presente quando i Re Taumaturghi[xv] curavano a forza di miracoli. Oggi, credo che il potere sia esclusivamente umano. Anche se alcuni uomini si sentono ancora legittimati da poteri ultraterreni, non credo ci siano dubbi sul fatto cha da quando l’uomo ha intrapreso la sua folle corsa prometeica basata sul dominio della natura attraverso la tecnica, il potere si è concentrato sempre di più nelle mani di una élite di super-ricchi che controlla la maggior parte delle risorse del pianeta. Il potere di questi uomini è nudo. Avendo perso ogni referente simbolico al mondo della trascendenza[xvi], si è ridotto a mero sopruso. Quando gli oppressi non sopporteranno più di essere tali, prenderanno il posto dei loro tiranni. Tuttavia, non creeranno una società più giusta o più armonica. Si sostituiranno ai vecchi potenti e ne prenderanno le sembianze fino a rendere impossibile riconoscerli dai tiranni che li hanno preceduti[xvii]. Oggi, credo in una sola forma di potere. Il potere della rinuncia a ogni potere esteriore a ogni fascinazione del teatrino del mondo. C’è una frase nei vangeli apocrifi che dice – cito a memoria – chi ha capito il mondo ha scoperto un cadavere, ma se ha scoperto un cadavere, il mondo a che cosa gli serve?

Lo Bono: Ti ringrazio e spero di poter riflettere ancora insieme come questa sera.
Piro: Lo spero anch’io. Grazie a te e a tutti coloro che hanno avuto la pazienza di ascoltarci.

Termini Imerese
lì 02/08/2013

NOTE
[1] L’intervista si è svolta a Termini Imerese il presso il Museo Civico “B. Romano” il giorno 02/08/2013, in occasione della presentazione del volume Francisco Franco. Appunti per una fenomenologia della potenza e del potere, Mimesis, Milano-Udine 2013. Le note sono state aggiunte successivamente per permettere al lettore di approfondire alcuni temi trattati nel testo.
[i] Faccio riferimento in particolare a A. Miller, La persecuzione del bambino: le radici della violenza, Bollati Boringhieri, Torino 2007.
[ii] Potrebbe essere utile rileggere: A. Horner, Il desiderio del potere e la paura di possederlo, Astrolabio, Roma 1989.
[iii] Su queste due caratteristiche del potere legate intimamente alla dimensione del sacro, faccio riferimento a: R. Otto, Il sacro: sull'irrazionale nell'idea del divino e il suo rapporto con il razionale, Morcelliana, Brescia 2011.
[iv] «Nella nostra cultura il bisogno di sicurezza (che vuol anche dire protezione sociale e diritto al lavoro) ha assunto tanta importanza da diventare un'ossessione; di qui la facilità con cui i mass media sfruttano ansie e paure. L'uomo moderno, almeno in Occidente, "non sopporta che certi pericoli non possano essere previsti, classificati, arginati" (J.-C. Chesnais, Lesfrançaissont-ilsviolents?, in "Le Monde dudimanche", 7 agosto 1983). Non è forse eccessivo il posto occupato, nella nostra vita quotidiana, dalle provvidenze assicurative? Gli esperti sono inclini a pensare di sì. Come un’iperprotezione familiare diviene soffocante e finisce per generare ansietà, così la moltiplicazione delle varie forme di assicurazione tende a intorpidire, nell'adulto, la capacità d'iniziativa e la creatività. Non sarà necessaria, per sentirsi vivi, una certa dose di insicurezza? (...) Questi interrogativi mettono comunque in luce il posto che occupa, fra le nostre preoccupazioni, il bisogno di sicurezza, che non è necessariamente commisurato alle situazioni che lo provocano», J. Delumeau, Rassicurare e proteggere, Milano, Rizzoli, 1992, pp. 27-28.
[v] Potrebbero essere utili in questa direzione: S. Quadruppani, Politica della paura, Lantara, Milano 2013; D. Zolo, Sulla paura: fragilità, aggressività, potere, Feltrinelli, Milano 2011; C. Robin, Paura: la politica del dominio, EGEA, Milano 2005; T. Todorov, La paura dei barbari: oltre lo scontro delle civiltà, Garzanti, Milano 2009; C. Ginzburg, Paura, reverenza, terrore: rileggere Hobbes oggi, Monte Università Parma, Parma 2008; L. V. Thomas, Morte e potere, Lindau, Torino 2006.
[vi] Potrebbero essere utili per un primo approccio: L. Infantino, Potere: la dimensione politica dell'azione umana, Rubbettino, Soveria Mannelli 2013; M. Naím, La fine del potere: dai consigli di amministrazione ai campi di battaglia, dalle chiese agli stati, perché il potere non è più quello di un tempo, Mondadori, Milano 2013; N. Chomsky, Sistemi di potere: conversazioni sulle nuove sfide globali, Ponte alle Grazie, Milano 2013; L. Canfora, Intervista sul potere, Laterza, Roma-Bari 2013; J. Butler, La vita psichica del potere. Teorie del soggetto, Mimesis, Milano-Udine 2013.
[vii] Per una “storia culturale della paura” si veda: J. Bourke, Paura: una storia culturale, Laterza, Roma-Bari 2007. Sono sempre di grande interesse:  J. Delumeau, Il peccato e la paura: l'idea di colpa in Occidente dal 13. al 18. Secolo, Il Mulino, Bologna 2000 e Id., La paura in Occidente: secoli 14.-18.: la città assediata, Società Editrice Internazionale, Torino 1979.
[viii] La bibliografia sulla “biopolitica” aumenta esponenzialmente, man mano che il termine assorbe espetti eterogenei della realtà. Il termine sembra aver assunto una portata quasi universale. Il fatto insospettisce, sebbene la discussione sia più che fondata e argomentata. Non si può escludere che si tratti di una moda culturale, la cui durata attualmente non è possibile prevedere. Sull’importanza del concetto nel panorama filosofico italiano si veda: D. Gentili, Italian theory: dall'operaismo alla biopolitica, Il Mulino, Bologna 2012. I più recenti contributi sull’argomento sono: V. Possenti, La rivoluzione biopolitica: la fatale alleanza tra materialismo e tecnica, Lindau, Torino 2013; D. Palano, La soglia biopolitica: materiali su una discussione contemporanea, Aracne, Roma 2012; F. D'Agostino, Bioetica e biopolitica: ventuno voci fondamentali, Giappichelli, Torino 2011; S. Marcenò, Biopolitica e sovranità: concetti e pratiche di governo alle soglie della modernità, Mimesis, Milano-Udine 2011; A. Putino, I corpi di mezzo: biopolitica, differenza tra i sessi e governo della specie, Ombre Corte, Verona 2011; R. Esposito, Termini della politica: comunità, immunità, biopolitica, Mimesis, Milano-Udine 2009; Id., Bìos: biopolitica e filosofia, Einaudi, Torino 2004; L. Bazzicalupo, Biopolitica: una mappa concettuale, Carocci, Roma 2010. Si faccia sempre riferimento diretto al padre della discussione: M. Foucault, Nascita della biopolitica: corso al Collège de France (1978-1979), Feltrinelli, Milano 2012.
[ix] «L’obbedienza non è certo gratuita, ma in qualche modo motivata. Perché gli uomini tributano il loro consenso al potere? In certi casi per fiducia, in altri per paura, a volte per speranza, a volte per disperazione. Ma hanno comunque bisogno di protezione, e cercano questa protezione nel potere. Dal punto di vista umano il legame tra protezione e obbedienza rimane l’unica spiegazione del potere. Chi non ha il potere di proteggere qualcuno non ha nemmeno il diritto di esigerne l’obbedienza. E viceversa: chi cerca protezione e la ottiene non ha il diritto di negare la propria obbedienza», C. Schmitt, Dialogo sul potere, Adelphi, Milano 2012.
[x] Il riferimento è al recente volume di M. Cacciari, Il potere che frena: saggio di teologia politica, Adelphi, Milano 2013.
[xi] «Essere moderni venne a significare, così come significa oggi, essere incapaci di fermarsi e ancor meno di restare fermi. Ci muoviamo e siamo condannati a muoverci incessantemente non tanto a causa del “ritardo della gratificazione” come suggerì Max Weber, ma a causa dell’impossibilità di sentirci gratificati […] La realizzazione è sempre qualcosa di là da venire, e i successi perdono attrattiva e capacità di soddisfare nell’attimo stesso in cui vengono colti, se non prima. Essere moderni significa essere perpetuamente in testa rispetto a se stessi, in uno stato di costante trasgressione […] significa anche avere un’identità che può esistere solo in quanto progetto irrealizzato», cfr. Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2012.
[xii] Non è facile suggerire una bibliografia su questo aspetto della realtà contemporanea perché le analisi particolari hanno condotto a una proliferazione immensa di titoli e di argomenti specifici. È sempre più difficile riuscire a ricostruire, in questo contesto, le linee guida che determinano i fenomeni. È molto probabile che la difficoltà a tracciare un quadro complessivo, sia proprio una delle condizioni di partenza, alle quali nessun critico può sottrarsi facilmente. Si tratta, in realtà, di esplorare un continente immenso, con tutti i rischi e le peripezie che un’esplorazione comporta. Ho trovato degni d’interesse i recenti: V. Codeluppi, L' era dello schermo: convivere con l'invadenza mediatica, Franco Angeli, Milano 2013; E. Menduni, Entertainment, Il Mulino, Bologna 2013; G. Cuozzo, Gioco d'azzardo. La società dello spreco e i suoi miti, Mimesis, Milano-Udine 2013;  P. P. Dal Monte, L' allucinazione della modernità, Editori Riuniti, Milano 2013;  Z. Bauman, Gli usi postmoderni del sesso, Il Mulino, Bologna 2013; J.M. Besnier, L'uomo semplificato, Vita&Pensiero, Milano 2013; S. Latouche, Usa e getta: le follie dell'obsolescenza programmata, Bollati Boringhieri, Torino 2013; T. Stuart, Sprechi: il cibo che buttiamo, che distruggiamo, che potremmo utilizzare, Bruno Mondadori, Milano 2013; V. Andreoli, L'uomo di superficie, Rizzoli, Milano 2012; V. Musumeci, Divi a perdere: il consumo delle star nella società dello spettacolo, Lupetti, Milano 2010; A. Castoldi, Congedi: la crisi dei valori nella modernità, Bruno Mondadori, Milano 2010. Restano letture obbligate: G. Debord, La società dello spettacolo. Commentari sulla società dello spettacolo, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2008; M. Perniola, Società dei simulacri, Mimesis, Milano-Udine 2011; V. Codeluppi, La vetrinizzazione sociale: il processo di spettacolarizzazione degli individui e della società, Bollati Boringhieri, Torino 2007; C. Lasch, La cultura del narcisismo: l'individuo in fuga dal sociale in un'eta di disillusioni collettive, Bompiani, Milano 1988. Mi permetto di suggerire anche: P. Piro, La peste emozionale, l’uomo-massa e l’orizzonte totalitario della tecnica. Un seminario, alcuni saggi e materiali per uno schizo-umanesimo, Mimesis, Milano-Udine 2012.
[xiii] Possono essere utili per una prima analisi: G. Caldiron, Estrema destra: chi sono oggi i nuovi fascisti? Newton Compton, Roma 2013; M. Caiani-L. Parenti,  Web nero: organizzazioni di estrema destra e Internet, Il Mulino, Bologna 2013; F. Fracassi, L'internazionale nera, Alpine Studio, Lecco 2012; M.C. Antonucci, La cultura politica dei movimenti giovanili di destra nell'era della globalizzazione, Angeli, Milano 2011; G. Fasanella-A. Grippo, L' orda nera, Rizzoli, Milano 2009. Di grande interesse il film-documentario di C. Lazzaro: Nazirock, Feltrinelli, Milano 2008.
[xiv] Si è troppo facilmente archiviato il libro di G. Lukács, La distruzione della ragione, Einaudi, Torino 1980, classificandolo come il prodotto di unepoca, marchiato a fuoco con l’ideologia comunista. Se si tornasse a rileggerlo senza pregiudizi, ci si accorgerebbe che il ragionamento che sta alla base dell’opera è di grande attualità e può ancora essere adoperato per leggere alcuni fenomeni del nostro tempo.
[xv] Faccio riferimento a due testi: M. Bloch, I re taumaturghi: studi sul carattere sovrannaturale attribuito alla potenza dei re particolarmente in Francia e in Inghilterra, Einaudi, Torino 2008 e E.H. Kantorowicz, I due corpi del re: l'idea di regalità nella teologia politica medievale, Einaudi, Torino 2012.
[xvi] «Quanto va più avanti il progresso, tanto più è messa in pericolo non solo la fede, ma anche la nostalgia di qualcosa di migliore. Proprio da qui viene che tutto ciò che non sia un pensare e un sentire puramente positivistico è ricondotto ad un fenomeno del periodo dell’infanzia dell’umanità, e questo fatto costituisce un fattore decisivo del pessimismo conscio o inconscio del presente», M. Horkheimer, La nostalgia del totalmente altro, Queriniana, Brescia 1977, p. 103.
[xvii] Potrebbe giovare rileggere ancora una volta: G. Orwell, La fattoria degli animali, Mondadori, Milano 2013.

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