sabato 16 febbraio 2013

Problemi politico-morali della modernità

di Tibor Szabó (szabo@jgypk.u-szeged.hu)

“Bisogna democratizzare la democrazia” – sostenne a più riprese la filosofa francese Simone Weil. Questa affermazione è attuale anche oggi? Il libro di Federico Sollazzo, intitolato Totalitarismo, democrazia, etica pubblica pone la stessa domanda: esiste una continuità fra regimi totalitari e regimi democratici per quanto riguarda la subordinazione dell’individuo ad un potere di conformismo e ad un meccanismo di controllo sociale e individuale? Esiste una “transizione da vecchie a nuove forme di dominazione”?
Il punto di partenza dell’Autore è marcusiano. La società moderna, democratica, continua – in certi aspetti con la “desublimazione” – il “controllo e la manipolazione degli individui” – cambiando solo gli strumenti di tale dominazione: invece della violenza fisica (teorizzata anche dalla Arendt) adopera una “determinata impostazione tecnologica” (23). Così, il marcusiano uomo unidimensionale è colui che non può formare un suo pensiero critico. Questa teoria di Marcuse (e dell’Autore) coincide con quella di György Lukács che distingue (anche lui proprio negli anni Sessanta) la manipolazione “brutale” dei regimi dei Gulag e dell’Olocausto, e quella “mite” o “molle” del capitalismo consumistico. Sollazzo, poi, mostra come questa impostazione di Marcuse si trovi anche in Horkheimer, Adorno e Habermas che sottolineano la crisi della ragione nella cosiddetta società “democratica”. Inoltre il “sistema” di Marcuse ha in comune con l’”Impero” di Hardt e Negri la concezione che “nella modernità lo Stato-nazione è entrato in crisi, perdendo la propria sovranità” (36). Queste teorie presentate da Sollazzo mostrano come il capitalismo, il totalitarismo, il sistema marcusiano, l’Impero ecc. neghino di fatto il pensiero autonomo per mettere in pratica il loro dominio etico-politico sui soggetti umani.
L’intenzione dell’Autore è quella di chiarire gli aspetti cruciali dell’essenza della società moderna, della modernità, per far questo Sollazzo richiama l’attenzione su un fattore a volte trascurato nella letteratura sulla società: la questione dell’uomo. È convinto che per un’elaborazione di qualsiasi teoria sociale sia assolutamente necessario confrontarsi con la “costituzione biologica ed emozionale dell’uomo” (38), teoria sollevata anche dai “padri fondatori dell’antropologia filosofica”: Gehlen, Plessner e Scheler. Cioè, l’uomo ha una sua dimensione etico-morale, determinata dalla sua “costituzione antropologica basilare” (59). È interessante qui, però, che l’Autore sembra lasciare adesso il terreno ontologico e pensa che “l’antropologia rappresenta una via d’accesso privilegata alla morale e all’etica” (46). Per questa ragione pone la seguente questione: come si concilia la presenza dell’unica costituzione antropologica basilare con l’esistenza del pluralismo culturale? Qui, l’Autore, preso dal fascino dell’Assoluto, pensa di fondare l’etica “universale” sull’antropologia “universale”. Vero è che vuole mantenere le differenze identitarie e culturali dell’uomo, ma non prendendo in considerazione l’ontologia sociale è difficile dare una base all’azione morale dell’uomo. Qui, la risposta di Lukács (anche se frammentaria) nell’Ontologia dell’essere sociale è molto istruttiva.
Per quanto riguarda il versante di teoria politica della modernità, Sollazzo prende le mosse dalla concezione del totalitarismo della Arendt. Tra le caratteristiche peculiari del modello totalitario, l’Autore mette in particolare rilievo non la “cieca fiducia e obbedienza nei confronti del capo”, “l’eliminazione fisica dei dissidenti” o “l’uso della violenza fisica e del terrore” (ovvero elementi storico-politici), ma il “meccanismo razionale”, vale a dire l’ideologia. L’essenza concettuale del totalitarismo è la “perdita dei diritti umani”, la “mancanza di uso della ragione”, o meglio il “completo trionfo dell’antiragione”, insomma – come dice la stessa Arendt – la “crisi della capacità di giudizio” (83). E qui, l’Autore ritorna alla sua propria concezione sul “controllo totale e capillare” da parte del potere sull’“esistenza di tutti e tutta l’esistenza” (85). L’alternativa a questo dominio sarebbe, secondo Sollazzo, la creazione di nuove “forme di convivenza umana fondate sulla giustizia” mettendo la politica al servizio dell’etica (86). Questa alternativa, però, viene sempre ostacolata dalla crisi della facoltà di giudizio, dall’atmosfera generale che scaturisce da un processo disumanizzante e da un contesto di irresponsabilità (108). Invece, la richiesta di un mondo comune e comunitario (già perduto) dovrebbe produrre “un ethos universalistico”. Di questo universalismo c’è bisogno anche perché oggi, nell'“odierna società totalitaria” l’uomo “può causare una catastrofe planetaria” (87). Conclusione, questa, da non trascurare o sottovalutare affatto perché, anche se molto cupa, può essere possibile.
Sul tema della democrazia, Sollazzo condivide la posizione della Arendt che lamenta la perdita del luogo condiviso dell’antica pólis, l’agorá. L’ideale della democrazia sarebbe proprio la diminuzione delle distanze fra i cittadini e gli amministratori dell’odierno potere politico. Lo scopo di questo nuovo tipo di democrazia potrebbe essere, secondo l’Autore, la libera volontà di “autodeterminare le proprie azioni” (130). Nella società aperta teorizzata da Popper, è necessario superare la “rigida divisione delle classi” (che si trova anche in Platone), i privilegi della classe politica, cioé tutti i mezzi che conferiscono un grande potere nelle mani di pochi. Secondo Popper, l’alternativa al totalitarismo sarebbe proprio la “società aperta” con una “molteplicità di prospettive e valori filosofici, religiosi e politici” e soprattutto la tolleranza (137). Con questa posizione di Popper sembra concordare Norberto Bobbio per cui la libertà e l’eguaglianza sono i cardini fondamentali della democrazia. Ma – come sostiene giustamente Bobbio – non può esistere la democrazia, ma esistono sempre le democrazie, opere attive degli uomini in diverse epoche e in diversi tempi (153). La democrazia, dunque, esige la partecipazione attiva dei cittadini. La “passività dei cittadini è uno dei principali ostacoli per la realizzazione della democrazia”. Dal momento che ogni potere totalitario cerca di “passivizzare i cittadini” per poterli dominare (come per esempio il regime kadariano in Ungheria fra il 1956 e il 1988), “l’apatia politica” dei nostri giorni sembra rafforzare il lato totalizzante dei regimi seppur democratici, sostiene Sollazzo. Lo spirito della democrazia non risiede in automatismi politici o architetture istituzionali, ma in specifici valori, e solo comprendendo lo spirito “della democrazia si possono realizzare le democrazie” – afferma Sollazzo. E con questo entriamo già nella sfera dell’etica, perché la giustizia sociale e i diritti umani coctituiscono i problemi cruciali delle, oggi tanto agognate in tutto il mondo, democrazie.
L’interesse per la tematica morale – dopo tempi di immoralità (potremmo aggiungere noi) – è nato in Germania negli anni Sessanta con la formula analizzata dettagliatamente da Sollazzo chiamata Rehabilitierung der praktischen Philosophie. In questa tendenza filosofico-morale di molteplici orientamenti (etica, diritto, politica, ecc.) si presenta l’etica pubblica in cui l’ethos e il logos possono fungere “da guida per l’azione”. Questo orientamento di pensiero che nel mondo anglo-sassone è chiamato Applied Ethics o Applied Philosophy ha l’intento di analizzare i nuovi fatti morali della società. L’Autore del libro fa vedere, poi, l’interessante rinascita per la morale da parte dei pensatori del libertarismo, del neocontrattualismo e del comunitarismo. Tutti concentrati sul tema della responsabilità dell’uomo della modernità che deve riappropiarsi delle sue facoltà di ragione dopo tempi di crisi della stessa.
Il libro di Federico Sollazzo è pieno di suggestioni e spunti teorici molto rilevanti su una società che anche oggi è unidimensionale, in certi aspetti totalitaria, priva di ideali morali, ovvero un “regime di conformismo” (18). Il libro si compone di tre capitoli un po’ disgiunti, ma anche omogenei per l’impostazione del problema etico. Questo approccio di Sollazzo è degno d’attenzione considerando che nel Novecento, durante totalitarismi di diverso tipo, l’etica e la questione morale non potevano essere formulate adeguatamente. Adesso, in un altro clima, quello della globalizzazione, bisogna cercare una via d’uscita dall’impasse morale in cui ristagna l’umanità. A questo scopo è un contributo molto valido il libro di FedericoSollazzo.

(«B@belonline/print», n. 12, 2012)
                                                                                                          
Tibor Szabó, Ordinario di Filosofia Morale, Università degli Studi di Szeged – Ungheria

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