martedì 8 novembre 2011

Federico Sollazzo, "Totalitarismo, democrazia, etica pubblica"

di Giancarlo Calciolari (calciolari@transfinito.eu)


Il libro di Federico Sollazzo, Totalitarismo, democrazia, etica pubblica. Scritti di Filosofia morale, Filosofia politica, Etica, è un’opera in viaggio, intellettuale e scientifico, che non accetta la sedimentazione dei saperi e apre piste di ricerca per l’era intellettuale e non per l’epoca che predilige la chiusura.

Già nel titolo del libro del filosofo Federico Sollazzo ci sono quattro libri che riguardano il totalitarismo, la democrazia, l’etica, il pubblico. Nel sottotitolo ci sono suddivisioni universitarie della filosofia, che in termini cantoriani dovrebbero dirsi degli infiniti di potenza inferiore. Solo la filosofia politica è un settore talmente vasto che varrebbe un’enciclopedia, senza entrare nei paradossi delle discipline universitarie che devono incasellare l’inclassificabile, come per esempio Niccolò Machiavelli, i cui scritti non hanno nulla di filosofico: non sono scritti di filosofia politica. 
Federico Sollazzo in questo suo libro di filosofia scritto per l’università privilegia appunto la trama rispetto alla ricerca, nel senso che offre una sua intensa e interessante mappa filosofica della modernità in cui ciascun lettore, e non solo studente universitario di filosofia, trova elementi per le sue piste di ricerca. 
Chiaramente ciascun autore citato e sopra tutto gli autori ai quali ha dedicato più pagine, da Hannah Arendt a Herbert Marcuse, da Emmanuel Lévinas a Paul Ricœur, da Platone a Jacques Derrida, meriterebbe uno scritto per restituirne il testo in un’altra lettura. Solo gli ultimi due seminari di Jacques Derrida su La bête et le solverai, citati da Sollazzo, richiederebbero una lettura che nessuno ancora ha dato. 


Hiko Yoshitaka, "Elogio del due", 2011, cifratipo, olio su carta

Che cosa fa Federico Sollazzo in questa opera? Un’operazione essenziale: pone un altro accento e un altro tono sulle parole. Totalitarismo, democrazia, etica non sono neanche più oggi dei significanti istituzionali, sociali, connotativi, ormai piatti, atonali, privi di qualsiasi accento, ossia di qualsiasi curiosità intellettuale, ma sono diventati dei lemmi del luogo comune. Piano piano, questo è il modo dell’insegnamento sobrio di Federico Sollazzo, più vicino a Burckhardt che a Nietzsche, le parole si rimettono in moto e gli autori citati rispondono alla citazione e vengono messi in questione. 
La narrazione prende la mosse dalla lettura del totalitarismo di Hannah Arendt e da quella di Herbert Marcuse e si conclude sulla questione della tecnica di Martin Heidegger. Senza che sia nominata come tale, anche la lettura di tale questione data da Sollazzo è un’analisi del totalitarismo, in particolare dell’adesione al nazismo di Heidegger. Certamente solo la psicanalisi può dire qualcosa sul come Heidegger abbia preso come Erlebnis i baffetti di Adolf Hitler e solo la ricerca documentale, in particolare delle due conferenze che Heidegger tenne a Roma nel 1936, una vietata agli ebrei, potrà valutare se il presunto disingaggio dopo il rettorato del 1933 sia stato molto più tardivo, se non mai avvenuto. Più interessante è accorgersi che la questione della tecnica è la risposta di Heidegger al totalitarismo, ovvero la sua giustificazione. 
Nell’intervista testamento a "Der Spiegel", Heidegger mette i campi di sterminio e le camere a gas in conto alla tecnica come compimento della metafisica. Si intende la lettura di Jean-Pierre Faye che nota quanto l’abbandono della metafisica da parte di Heidegger sia dovuto al tentativo di svincolarsi dalle obiezioni più anti-intellettuali che gli venivano dagli ideologi del partito nazista, che per altro capivano il suo progetto di influenzare Hitler, come risulta dalle conversazioni obbligatorie con i membri della commissione di denazificazione. 
La tecnica è delegata dagli umani ed è fatta a loro immagine e somiglianza. Chi ha manipolato i forni per il pane per farne dei forni crematori? La tecnica o chi si presume tecnico deresponsabilizzato? 
La mappa e la ricerca. Che la mappa sia in primo piano non toglie nulla alla ricerca: ci sono spunti nel libro Totalitarismo, democrazia, etica pubblica che aprono piste che nessuno ancora esplora. Forse ne nasceranno alcuni libri di Sollazzo meno soggetti alle utili mappe e più inclini all’affondo teorico. 
Prendiamo alcune di queste piste. "Gli assassini non si sono mai percepiti come tali; paradossalmente il più grande assassinio di massa della storia non è stato commesso da assassini, ma da professionisti che hanno svolto egregiamente e diligentemente il proprio dovere "lavorativo"". Anche oggi ci sono guerre definite "giuste" in cui le uccisioni non sono commesse da assassini ma da professionisti della morte legale e qualcuno capisce questo. Ma pressoché nessuno oggi coglie la logica dell’antivita (la mortificazione sino alla morte) nella somministrazione e nell’assunzione di psicofarmaci e talvolta anche nel caso di somafarmaci, come quello contro l’aids. Inoltre la vita è particolarmente difficile nelle istituzioni, nei posti di lavoro e nelle famiglie e quindi anche all’università. Per un errante, errabondo, geniale e eretico Gödel ci sono stuoli di matematici che accettano l’anomia, l’oligomania, il profilo basso, decisamente. 
Interessante l’annotazione di Sollazzo, leggendo il caso Eichmann, che chi esegue gli ordini e chi li progetta siano entrambi meri esecutori di un progetto superione. È la stessa superiorità del Dio di Eichmann. È la presunta stessa superiorità della tecnica. È il predominio del "vitello d’oro". 
Hannah Arendt inviata dal "New Yorker" per seguire il processo di Otto Adolf Eichmann testimonia che il carnefice si definisce un "credente in Dio" che però ha rotto con il cristianesimo, intendendo Dio come un Höherer Sinnesträger, un essere razionale superiore, che alla lettera è un portatore di senso, conferente significato alla vita umana, che altrimenti ne sarebbe priva. Il portatore di senso più elevato, superiore, più alto. In breve il dio maggiore della gnosi. 
Scrive Federico Sollazzo che definire Dio un Höherer Sinnesträger significa inserirlo nella gerarchia militare. In tal senso il dio maggiore e il dio minore della gnosi e delle neognosi sono anche militari. C’è già il Dio degli eserciti nel Vecchio Testamento. Eppure l’imparlabile, l’indicibile, l’innominabile non risiedono nella logica duale, ossia non sono né superiori né inferiori. 
Ognuno è portatore di senso agli ordini del delegato superiore fatto a propria immagine e somiglianza dai deleganti, come già accennato. I risultati sono le liturgie e le cerimonie che sostantificano e mentalizzano la significazione del fallo. 
Leggendo il saggio sull’autorità di Kojève abbiamo annotato come l’Herrschaft, il dominio, la sovranità, la signoria sia per eccellenza fallica. 
Volksgemeinschaft. Comunità del popolo, comunità popolare, unione popolare. Gemeinschaft: comunità, unione, insieme. Prima c’è gemein, grossolano, volgare. Qualità del volgo. Quindi Volksgemein è una ripetizione. Popolo volgare. Volgo volgare. La curiosità leggendo la citazione in tedesco di Federico Sollazzo risiede nello Schaft, mai precisato dai filosofi germanofoni: bastone, asta, manico. La comunità dell’ideologia tedesca è quella eretta sul bastone. È per eccellenza la comunità della significazione del fallo. Rispetto a questa ipotesi chimerica sulla società, che sarebbe il riflesso terrestre di una struttura celeste, il teismo e l’ateismo sono due varianti. Basta vedere la struttura fallica dei regni su base atea. Il matematico ateo dà del tu al Papa quasi a confessare che si tratta della stessa Volksgemeinschaft e non di un’altra comunità non più fondata sullo Schaft
Un altro aspetto della ricerca di Sollazzo è la sua lettura dello storicismo e del suo supporto teologico, quello di Dio come autore della storia. Il Dio eletto, delegato, che poi investe un popolo per elezione e per selezione degli altri. Sollazzo impiega una linguistica ancora da analizzare, che implica la stessa credenza che mette in sospensione. 
Leggendo Popper, Sollazzo annota come "la storia sia il prodotto di determinate istituzioni umane, svincolate da qualsiasi telos, attraverso le quali alcuni uomini detengono il potere". E lo detengono grazie all’ipotesi del telos, anche nel caso dell’ateismo filosofico di Martin Heidegger come in quello del teismo politico di Carl Schmitt. 
Allora "L’idea di una autonomizzazione ed emancipazione delle forze che controllano la società, da una qualsiasi prospettiva teleologica" si inscrive ancora nel fallicismo del controllo. L’autonomizzazione è di un "soggetto", anche nella forma ontologica di un "Dasein". Non si tratta della vita originaria ma della sopravvivenza, del discorso della morte nella sua economia del male, della violenza, della crudeltà. E questo è anche un aspetto dell’impasse (teorizzata come surplace) di Jacques Derrida. 
Occorre, è la nostra ipotesi di lettura, astenersi in modo estremo, che è intellettuale e tranquillo, e sospendere la credenza teista e ateista in ogni suo aspetto, poiché mantenerla è accettare il dominio dell’uomo sull’uomo e tutto ciò che viene chiamato il male, il peccato, il crimine, l’incesto. Anche nei casi più interessanti di ricerca in questa epoca che sono delle anomalie, come Giorgio Agamben in filosofia e Pierre Legendre nel diritto e in psicanalisi: il primo mantiene l’ipotesi del tempo che resta e per vari aspetti non si discosta né da Heidegger né da Schmitt né da Taubes, e il secondo mantiene il principio del padre, il principio totemico, il principio d’autorità, in una lettura freudiana di Freud, che non era freudiano, scostandosi dalla messa in questione di Lacan, per altro suo ex maestro. 
Là dove si constata il narcisismo delle piccole differenze, il due pesi e due misure, nell’università come nelle associazioni psicanalitiche (dove c’è sempre un maestro e una banda di allievi a vita), rimane da leggere l’essenziale dell’ipotesi politico teologica. Per l’aspetto dell’ateismo se n’è accorto Giorgio Agamben che il tempo che resta rimane intatto come struttura fondamentale. Ma il tempo non resta e la struttura è originaria e non fondamentale. 
L’originario è senza origine. E il tempo si avverte come terremoto, in ciascun istante. La sua violenza è impadroneggiabile. Per questo c’è sempre il tempo per leggere, per scrivere, per fare, per restituire l’essenziale del testo che a ciascuno spetta di scrivere, indipendentemente dai risultati personali o sociali. 
Il libro di Federico Sollazzo, Totalitarismo, democrazia, etica pubblica, è un’opera in viaggio, intellettuale e scientifico, che non accetta la sedimentazione dei saperi e apre piste di ricerca per l’era intellettuale e non per l’epoca che predilige la chiusura.

(«Transfinito», 27/06/2011)

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