lunedì 22 giugno 2020

Pasolini in Ungheria. Una rassegna

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

(Si pubblica di seguito la seconda e ultima parte (la prima è stata pubblicata come precedente pubblicazione del presente sito, "CriticaMente") del saggio di Federico Sollazzo, Pasolini in Ungheria. Una rassegna, apparso sul n. 8, del 2014, della rivista "Studi pasoliniani".
A causa delle restrizioni alla diffusione in open access imposte dall'editore, il presente scritto è qui offerto in un formato diverso rispetto alla pubblicazione in rivista e tuttavia conforme alla stessa pubblicazione in rivista. Chi desiderasse avere informazioni sul numero di pagina di un determinato passo del presente scritto nella versione edita in rivista, può contattare l'autore all'indirizzo: p.sollazzo@inwind.it)

Miscellanea
Nel composito panorama della ricezione ungherese di Pasolini, sono da segnalare anche alcuni eventi, iniziative, attività di varia natura che paiono di particolare interesse.
            Già in occasione del ventesimo anniversario della morte il museo «Ludwig» di Budapest ha organizzato una mostra dal titolo Pier Paolo Pasolini avagy a határátlépés – Megszervezni az átlényegülést (“Pier Paolo Pasolini o attraversare la frontiera Organizzar il trasumanar”) costituita da fotografie e proiezioni di film e arricchita dall’esposizione di una serie di documenti originali.
                Nel 2000 Béla Szemán e Zoltán Zubornyák hanno organizzato a Budapest una settimana commemorativa della vita e dell’opera di Pasolini, con un buon impatto massmediatico e successo di pubblico, con proiezione di film e dibattiti pubblici. Ospiti dell’iniziativa sono stati anche Giuseppe Zigaina e Ninetto Davoli. Da tale evento ne è poi derivato uno simile, ma più ricco, organizzato per il trentesimo della morte con la collaborazione dal Centro Culturale di Ferencváros, dell’Istituto Italiano di Cultura di Budapest, dell’Istituto Cinematografico Ungherese, del Teatro Nazionale di Budapest e il patrocinio di Gyula Hegyi, membro della Commissione Cultura e istruzione del Parlamento Europeo, e diretta da Miklós Jancsó, regista. 
            Nel 2006 è stato realizzato, dall’emittente Duna TV, un documentario di 53 minuti per la regia di Attila Mispál: Egy eljövendő élet (“Una vita che verrà”). Il documentario mette in rilievo la poliedricità espressiva di Pasolini, presentandolo come poeta, romanziere, drammaturgo, giornalista, pittore e regista, e il contenuto al tempo stesso artistico e politico della sua opera.
            Nel medesimo anno ancora Béla Szemán organizza la mostra “Pasolini és én” – Pasolini emlékkiállítás (“Pasolini e me” – Mostra commemorativa su Pasolini”) presso la galleria Örökmozgó di Budapest.
            Sempre nel 2006 viene realizzato il dramma radiofonico in due parti Persona non grata diretto da Csaba Molnár. Presentato in anteprima presso l’IIC di Budapest, sostenuto dal noto portale web di letteratura «Litera» e poi trasmesso da «Magyar Rádió / Bartók Rádió», Persona non grata (titolo in italiano) ha avuto un ottimo riscontro di pubblico e di critica. Il dramma ruota attorno al processo a Giuseppe Pelosi ed è debitore, per indicazione degli stessi autori, a quanto contenuto su tale vicenda sul sito web «Pagine corsare» curato da Angela Molteni[1] e nel volume miscellaneo Omicidio nella persona di Pasolini Pier Paolo (Kaos, 1992), e agli atti processuali e ai documenti dell’Autorità giudiziaria.
            Infine, mi permetto di segnalare le mie due conferenze Guida alla visione di Mamma Roma di Pasolini e Pasolini és az "antropológiai átalakulás" (“Pasolini e la ‘mutazione antropologica’”; in italiano con traduzione simultanea in ungherese), rispettivamente tenute nel 2011 e nel 2012 entrambe presso la Facoltà di Lettere dell’università di Szeged, ed il mio corso Pasolini as a Philosopher svolto nell’anno accademico 2013/2014 presso il Dipartimento di Filosofia della medesima università.

sabato 13 giugno 2020

Pasolini in Ungheria. Una rassegna

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

(Si pubblica di seguito la prima parte (la seconda verrà pubblicata come prossima pubblicazione del presente sito, "CriticaMente") del saggio di Federico Sollazzo, Pasolini in Ungheria. Una rassegna, apparso sul n. 8, del 2014, della rivista "Studi pasoliniani".
A causa delle restrizioni alla diffusione in open access imposte dall'editore, il presente scritto è qui offerto in un formato diverso rispetto alla pubblicazione in rivista e tuttavia conforme alla stessa pubblicazione in rivista. Chi desiderasse avere informazioni sul numero di pagina di un determinato passo del presente scritto nella versione edita in rivista, può contattare l'autore all'indirizzo: p.sollazzo@inwind.it)

Federico Sollazzo [*] 
Il presente articolo presenta un quadro della ricezione di Pasolini in Ungheria; benché vengano considerati lavori a partire dagli anni Sessanta, l’articolo è focalizzato sulla ricezione a partire dagli anni Duemila. Si cercherà di evidenziare sia quelli che appaiono come meriti che quelli che appaiono come punti critici di tale ricezione, e di offrire una prospettiva sia dei lavori accademici che della penetrazione di Pasolini presso un pubblico più ampio.
This article presents an overview of the reception of Pasolini in Hungary; although are considered works since the Sixties, the article is focused on the reception since the early millennium. It will try to underline both those appear as positive elements and those emerge as problematic points of the reception, and to provide a framework both of academic works and of the reception of Pasolini by a broader audience.

La ricezione di Pasolini in Ungheria presenta delle caratteristiche peculiari che la rendono alquanto problematica ma, proprio in virtù di questo, con ampi margini di intervento e perfettibilità, supportati da un crescente interesse, anche e forse soprattutto extra accademico, che andrebbe pertanto indirizzato con il dovuto rigore filologico e concettuale.
            Il primo elemento da considerare, databile agli anni Sessanta e Settanta, consiste in un inizio difficile e centellinato della penetrazione, limitata a poche traduzioni sparse su alcune antologie e riviste. Situazione, questa, certamente fortemente influenzata dalla censura, più o meno esplicita, operata verso di lui dal regime di allora. Ciò fece di lui una sorta di autore semi-clandestino, noto perlopiù ad una ristretta cerchia di “adepti”.  
            Successivamente, soprattutto a partire dagli anni Novanta, la produzione di Pasolini ha iniziato a trovare più margini di ricezione, una certa ricezione, caratterizzata da almeno tre fattori determinanti. In primo luogo, il Nostro è stato presentato al pubblico ungherese prevalentemente, se non quasi esclusivamente, come regista e teorico del film (che si prodigava anche in prose e poesie, benché la sua attività fondamentale fosse quella cinematografica); nelle riviste in cui ci si occupava di lui, quali «Filmkultúra», «Filmvilág», «Nagyvilág», «Színház», era infatti trattato sempre come cineasta. Inoltre, se il vecchio regime ne aveva ostacolato la divulgazione, al crollo di quello, nell’euforia sempre poco lucida tipica di tutti i grandi cambiamenti sociali, le sue idee politiche gli valsero l’etichetta di “sporco comunista”. Infine, soprattutto nell’ultimo quindicennio circa, la diffusione commerciale delle sue opere, sempre ruotante prevalentemente attorno alla produzione filmica, su un circuito relativamente ampio (recentemente diversi suoi film sono stati riproposti anche in versione DVD), senza però una preliminare conoscenza organica della complessità del suo pensiero e del resto della sua produzione (romanzi, poesie, drammi teatrali, saggi, articoli pubblicistici, ecc.), ha determinato una conoscenza più che dimidiata e quindi distorta di Pasolini, imperdonabilmente semplificata, epurata dai suoi elementi di maggiore complessità concettuale ed esaltante gli elementi “perturbanti”, ai fini della commercializzazione della sua produzione; insomma, il critico dell’omologazione capitalistico-consumistica è stato fagocitato da tale dinamica, in un Paese bramoso di entrare anch’esso (una sorta di “mamma Roma”?) nell’omologato e omologante mondo occidentale.
            Tuttavia, a fronte di queste problematiche, stante una conoscenza relativamente di nicchia di Pasolini, esistono ancora i margini, prima che un processo di iconizzazione pubblica ne precluda una comprensione critica, per quell’operazione, di cui dicevo in apertura, di rigoroso indirizzamento filologico e concettuale degli studi pasoliniani.