lunedì 14 settembre 2015

Il programma di un umanesimo. Verso la liberazione dell’uomo. Herbert Marcuse. Eros e civiltà

di Pietro Paolo Piredda (pietropaolo.piredda@istruzione.it; I di 2)

Il vero modo della libertà non è l’attività incessante della conquista, ma il suo quietarsi nella conoscenza trasparente e nella soddisfazione dell’essere (H. Marcuse, Eros e civiltà)

Introduzione

La specificità della teoretica filosofica permette allo studioso una lettura della realtà secondo diverse prospettive e punti di osservazione, a volte privilegiati e altre volte indirizzati ad interrogare la realtà nella sua fenomenologia per darne ragione o, con accento critico, scavare e rendere manifeste le sue contraddizioni.
Una di queste prospettive è quella dell’antropologia filosofica, il cui compito è quello di sempre: dare una definizione di uomo esaustiva al punto di poterne prospettarne un orizzonte interpretativo che ne colga l’essenza e ne programmi l’attuazione, ma spesso ci si imbatte in risposte paradossali.
Ciò dipende dalla naturale difficoltà a parlarne in maniera appropriata. Alcuni identificano quest’essenza nel piacere, altri nel bisogno e nel lavoro, altri ancora nella sua capacità di comunicazione, nel rapporto Io-Alterità o ancora nella capacità di fare, altri nella sua apertura alla trascendenza, e ancora, apertura ad un Assoluto. Non si può negare però che, comunque la si pensi, quest’essenza appartiene a un essere che si manifesta come storico (impregnato di spazio e di tempo e di relatività, quindi di storia) e sociale (immerso in relazioni più o meno significative, dal molteplice aspetto).
L’antropologia pone come termine ultimo delle sue domande come può l’uomo realizzare la propria definizione ed  il proprio ben-essere. Insomma pone costantemente ed ineludibilmente davanti a sé un progetto-uomo, a partire dalla ricerca della natura che lo definisce e costituisce.
Questo parlare della natura che le è propria lo si può fare in varie modalità e a diversi livelli semantici e interpretativi e spesso in modo contraddittorio .
Herbert Marcuse propone una lettura originale dell’essenza delluomo nel suo noto saggio Eros e civiltà, tenendo presenti queste due istanze: storicità determinata e socialità, ma avvalendosi di una lettura simbolica a partire dalle prospettazioni psico-socio-cognitive freudiane e dall’apporto del pensiero, prettamente storicistico, di Marx.
Sono le esperienze storiche del momento epocale del suo periodo che rappresentano, per Marcuse, un grosso incentivo al pensiero, lavorare sui concetti e proporre un progetto di uomo con l’intento di fargli perseguire il proprio bene assoluto: la sua libertà o dare l’input per un cammino di liberazione da una vita alienata in una società repressiva; la liberazione dell’uomo dalle catene che lui stesso si è create. Occorre la forza critica-negativa della dialettica, del pensiero, che demistifichi e decostruisca le strutture che lo ingabbiano nella sua aspirazione ad essere ciò che è.
Esperienze come il fascismo e il nazismo in Europa occidentale, lo stalinismo in Russia e soprattutto la sempre più emergente modernità della società tecnologica americana, la società industriale avanzata, sono motivo di analisi critica. Tutti questi aspetti, prettamente storici e determinati, incisero profondamente sugli orientamenti di pensiero non solo di Marcuse ma anche degli altri componenti di quella che, con definizione fortunata, è ricordata come “Scuola di Francoforte”.
I fenomeni socio-politici sopra citati costituivano ai loro occhi il segno di un fallimento dei motivi ispiratori dell’illuminismo (con il suo ottimismo sullo sviluppo lineare della civiltà) e di una crisi socio-economica di vasta portata, ma soprattutto il chiaro segnale di un crollo teoretico e filosofico del pensiero stesso, divenuto incapace di cogliere le istanze e le sfide sopravvenute, soprattutto alla luce, o alla tenebra, degli eventi e corollari del secondo conflitto mondiale.
La domanda di Marcuse nel suo saggio è volta a cogliere le strutture portanti della civiltà di quell'essere che l’antichità definì “un animale politico”, il che è lo stesso di “animale sociale”. Egli, in questa società, individua linee di profonda e continua repressione tra le insidiose maglie dell’alienazione dell’uomo e del suo fare. Vede quindi la necessità di un pensiero capace di smascherare tutto ciò che determina questo tipo di strutturazione sociale e avverte la necessità di spingere l’analisi alle estreme conseguenze per mostrarne tutta la mistificazione che la tiene in piedi; bisogna smascherare la filosofia, o pseudo tale, che sta dietro a questo tipo di società e di uomo.
Ma cerchiamo, per ora, di capire meglio quali sono le basi e gli influssi teorici che indirizzano e determinano la sua riflessione nel saggio in questione: Eros e civiltà.
L’umanesimo del nostro autore si pone in continuità con le grandi linee tracciate dall’illuminismo e mediate attraverso le analisi del pensiero marxista servendosi della teoria freudiana.
Perché partire proprio dall'illuminismo? Perché questo grande movimento di idee, di cultura, rivaluta e riporta in auge la questione uomo, il discorso antropologico è dunque sempre sotteso.
Il grande impulso dato, in questo periodo, alla ricerca scientifica, e in senso sempre ottimistico di progresso, pone l’uomo in una posizione di onnipotenza di fronte alla natura, alla realtà storica, mai raggiunta prima.
L’uomo con la rivalutazione della ragione e del suo primato sullo stesso intelletto, diviene il centro della riflessione filosofica e della sua storia. In primo luogo viene ridimensionata, se non annullata, qualsiasi forma di trascendenza, e quindi ogni approccio metafisico o religioso.
Il finito, determinato storicamente, è l’unico orizzonte interpretativo a noi concesso e il dato dell’esperienza è l’unica base dell’analisi e della verifica. Le varie interpretazioni illuministiche sulla struttura dell’umano, sulla sua azione, per autori come Kant, Hegel e infine soprattutto Marx sono sì vere, ma astratte; mancano cioè di analisi storica concreta. L’istanza dell’illuminismo è quella di porsi come una meta da raggiungere facendo uscire l’uomo da uno stato di minorità, mitologicamente sostenuta, ma la difficoltà nasce quando si vuole definire il cammino per il raggiungimento della libertà agognata.
Con Marx soprattutto la filosofia si dà questo compito; famosa è la direttiva impressa al pensiero, ricapitolando le istanze feurbachiane, nelle 11 tesi per cui è giunto il momento non di interpretare il mondo ma di trasformarlo: storicizzare quindi l’illuminismo, nel tentativo di spogliarlo da quell’essenza di cui esso stesso tenta di liberarsi: la metafisica.
L’uomo è visto come risultato di una prassi, la sua essenza è nel suo “fare”; un uomo non più idealizzato, statico, ma storicamente determinato.
Il compito della filosofia si impregna di questa emergenza: trasformare la realtà e indicare un itinerario concreto per tale trasformazione. L’influenza del pensiero di Marx sulla Scuola di Francoforte si contamina con l’apporto di varie discipline filosofiche e psico-sociologiche ma sempre mirando a promuovere “una teoria della società nel suo complesso” mediante “una comprensione immanente” al sistema e alla struttura della società industriale avanzata, eccependone i meccanismi e promuovendone un possibile mutamento.
Specifico dell’umanesimo di Marcuse, così come risulta dal suo saggio Eros e civiltà, è aver operato una sintesi tra le istanze marxiste e l’indagine freudiana, convinto che in Freud non sia contenuta solo una indagine sulla psiche e il suo funzionamento, ma un vero e proprio studio della società.
Per Freud queste due categorie, Eros e civiltà, non possono coesistere; l’Eros diverrebbe una forza che non permetterebbe il progresso della civiltà e dell’uomo stesso. La civiltà e il suo sviluppo si pongono come possibili solo sopprimendo o reprimendo l’Eros, istinto del piacere; repressione quindi degli impulsi primari nell'uomo.
Approfondendo l’analisi freudiana della psiche individuale e della specie vi si trova l’origine e lo sviluppo storico di questa repressione, che segna la storia della civiltà fin dal suo sorgere.
Naturalmente accostandosi a Marx e Freud, mediandoli, Marcuse né dà una lettura originale volta a perseguire un progetto per una nuova società ed un uomo con-sonante alla sua essenza, così difficile da determinare. Il traguardo voluto e sperato è porsi in cammino verso la liberazione dell’uomo represso che continuamente sembra fuggire dalla libertà stessa, per ignoranza e timore di essa.


I parte: Psicanalisi e individuo represso

Il primo obiettivo che egli si prefigge è quello di mostrare come le stesse strutture attuali della civiltà umana presentino componenti di lotta e opposizione contro l’uomo stesso. È perciò necessario demistificare l’idea di sviluppo e progresso verso la felicità così come la presente società la prospetta.
Questa è tesa verso uno pseudo-benessere, nasconde in sé una forte componente repressiva; anzi proprio questa repressione appare sempre con maggior evidenza conditio sine qua non alla costruzione della civiltà umana. Ma, nota il nostro autore, la civilizzazione e la felicità raggiunta, o sentite come tali, sono antagoniste della stessa libertà dell’uomo:

Se l’essenza della  repressione è archetipo della  libertà, la  società  lotta contro  questa libertà (p. 62). Ogni libertà esistente nel regno della coscienza sviluppata e nel mondo che essa ha creato (…), è acquistata con la rinuncia alla completa soddisfazione dei bisogni (p. 65).

Se senza la libertà non c’è vera felicità, ogni libertà repressiva comporta la modificazione repressiva della felicità stessa. Ma oltre questa opposizione continua alla libertà e alla felicità vi è un altro aspetto inquietante: tutte le istituzioni create, il potere costituitosi, tutte le norme e regole sociali, i vari tabù impostisi e l’instaurazione della ragione (νοῦς) stessa come dominio dell’uomo e della convivenza appaiono mezzi per permettere il perpetuasi di questo status quo.
Attraverso l’analisi freudiana Marcuse denuncia questa società come repressiva nei suoi fondamenti e cerca di raggiungerne le radici da cui si sviluppa questa tendenza: esiste cioè una ereditarietà latente di ricordi e memorie ancestrali che hanno portato a questo status, la storia sotterranea della singolarità segue e determina di pari passo quella dello sviluppo sociale e della specie.

È la stessa civilizzazione quindi che ha creato un uomo alienato e in catene che finisce per perseguire non tanto la libertà ma la sua inevitabile spersonalizzazione e spoliazione.
La sofferenza e la fatica sono il giogo con cui si instaura il dominio sociale; esso reprime piacere, soddisfazione degli appetiti e realizzazione del regno della libertà.
Per  capire questo, vengono ripercorse le linee essenziali del pensiero freudiano: esiste un parallelismo tra ontogenesi e filogenesi sia della nascita come dello sviluppo, nella repressione, degli istinti; è ciò che permette la civiltà e il suo perpetuarsi:

Il destino della felicità e della libertà dell’uomo viene deciso nella lotta degli istinti (…) una lotta per la vita o la morte, alla quale prendono parte soma e psiche, natura e civiltà, (…) questa dinamica biologica e psicologica costituisce il centro della metapsicologia di Freud (p. 68).

Dal punto di vista ontogenetico, l’apparato psichico si presenta come una unione dinamica di opposti, di strutture consce e inconsce, di processi primari e secondari, di forze ereditate e forze acquisite.
I principi che governano l’apparato psichico in continua conflittualità sono essenzialmente due:
1) Il principio del piacere (inconscio)
2) Il principio di realtà (conscio)
Questa distinzione conflittuale determina gli istinti primari di Eros (o istinti di vita ) e Thanatos (istinti di distruzione).
Tuttavia, il

fatto saliente e terrificante è la tendenza fondamentalmente repressiva o conservatrice di tutta la vita istintuale (…) Una tendenza inerente alla vita organica a restaurare uno stato di cose precedente, che l’entità vivente è stata obbligata ad abbandonare sotto la pressione di forze perturbanti  esterne (p. 70).

Questo il contenuto degli istinti primari operanti nellinconscio.
Nel principio del piacere vi è quindi una tendenza alla regressione in uno stato al di là della vita stessa, in cui vigeva un’assoluta assenza di bisogni e perciò di piena "soddisfazione" degli stessi: è lo stato pre-natale. Ma voler riacquistare questo stato significa una sola cosa: la morte.
Tutti gli istinti di vita (tesi alla soddisfazione del piacere) come quelli di morte (tesi all’annullamento della sofferenza) vanno a convergere nel principio del Nirvana che viene a identificarsi con lo stesso principio di piacere:

Lo sforzo per ridurre, per tenere costante o per eliminare la tensione interna dovuta a stimoli (…) trova la sua espressione nel principio di piacere (principio del Nirvana) (p. 71).

Ma il principio del Nirvana, appena posto, si dissolve, poiché la natura comune della vita istintuale si determina tra l’antagonismo di Eros e Thanatos.
Ma questa origine comune dei due istinti, per Marcuse, non può essere taciuta: ci si chiede cioè se la morte in fin dei conti non sia altro che la differenziazione del principio di piacere, in quando espressione della naturale lotta contro sofferenza e repressione. Ma, nota ancora, l’istinto di morte (Thanatos) sembra subire continuamente l’influenza dei mutamenti storici i quali modificano continuamente questo principio che Freud pensa invece al di là della storia stessa.
Per Marcuse, differentemente che per Freud, questi istinti seguono uno sviluppo storico e ciò è essenziale per la comprensione critica della società di cui ci troviamo a far parte.
Freud elaborò quello che sembrò un “nuovo concetto di persona”; la struttura psichica, nell’ultima teoria di Freud è così determinata: Es, Io, Super Io.
Es, dominato dal principio del piacere, rappresenta il regno dell’inconscio, lo stato più profondo della personalità (Adorno sarà molto critico sul concetto di profondità opposto ad una superficie, ipotizzando che nel supposto profondo di tale superficie potesse esserci assolutamente Nulla).
L’Es è libero da tutti i condizionamenti sociali, unico suo obiettivo è il soddisfacimento dei bisogni istintuali secondo il principio del piacere.
L’Io, il mediatore tra l’inconscio e il mondo esterno. L’Io è il dominio della coscienza desta che recepisce gli stimoli esterni all’Es e allo stesso tempo difende l’Es stesso da essi. L’Io appare come un selezionatore della realtà, che modifica nel verso dei suoi interessi e combatte su due fronti distinti:
1) con la realtà stessa, ostile all’Es e ne riduce quindi i conflitti;
2) con l’Es stesso, il quale soddisfacendo gli istinti che lo governano distruggerebbe la vita stessa poiché incompatibili con la realtà.
Con l’Io viene a configurarsi la preminenza del principio di realtà sul principio di piacere e sul piacere stesso. È quella che viene chiamata “repressione fondamentale”.
Nel corso dellesistenza dell’Io nasce una terza forza: il Super-Io, la coscienza dell’uomo; questa forza è quella che più si accosta ai concetti della religione. Il Super-Io è l’introiezione di quei “valori supremi”, o così concepiti, che determinano quella che viene definita moralità.
Il Super-Io è fortemente legato al concetto di autorità, che per Freud si sviluppa sotto il dominio genitoriale, sotto le pressioni sociali e poi culturali. Tali processi si determinano in modo inconscio.
Alla fine l’individuo diventa “istintualmente” un “re-azionario”, ossia si auto-reprime per evitare conflitti con la realtà.
Lo sviluppo psichico subisce così una regressione:

L’Es, ricordando il dominio del principio primordiale, quando la libertà dai bisogni era necessità, trasporta le tracce della memoria di questo stato in ogni futuro (p. 78).

Il Super-Io impone qui la sua forza, reprimendo costantemente le richieste dell’Es sul futuro; futuro che non è più felicità e soddisfazione, ma “amaro adattamento al presente punitivo” e quindi in sé stesso frustrante.
Il principio di realtà è quindi definitivamente instaurato, non più come coincidenza di libertà e necessità ma come necessaria illibertà tesa allo sviluppo della civiltà.
Come si può dedurre, la storia umana è tutt'altro che sotto il regno delle istanze illuministe.
Ma ancora di più:

Il principio di realtà sorregge l’organismo nel mondo esterno. Nel caso dell’organismo umano, questo è il mondo storico e questo mondo che si trova davanti all’Io sta crescendo, è in ogni sua fase una specifica organizzazione storico-sociale della realtà, che influisce sulla struttura psichica per mezzo di istituzioni societarie specifiche (p. 78).

Nel principio di realtà di Freud questo aspetto non compare, e vi si scorge prorompente l’istanza storicista marxiana. Freud fa di “contingenze storiche necessità biologiche”.
Resta però vero dell’analisi freudiana il carattere repressivo alla base di tutte le fasi storiche dell’instaurarsi del principio di realtà. E Marcuse analizza questo carattere storico dell’instaurasi del principio di realtà, andando oltre Freud per cogliere il carattere repressivo alla base della società:

A questo punto introduciamo due termini:
a) Repressione addizionale: le restrizioni rese necessarie (…), dal dominio sociale.
Essa si distingue dalla repressione fondamentale (…) cioè dalle modificazioni degli istinti strettamente necessarie per il perpetuarsi della razza umana nella società.
b) Principio di prestazione: la forma storica prevalente del principio della realtà (p. 79-80).

Marcuse con la sua arguta analisi cerca di mettere a nudo l’evoluzione storica delle contraddizioni alla base della civilizzazione, con quella visione storica che in Freud mancava.
Il fatto fondamentale alla base delle contraddizioni storico-sociali è l’Ananché, o Penuria.
La lotta tra Eros e civiltà si svolge in un mondo povero, incapace di soddisfare, o non messo in condizioni per farlo,  i propri appetiti per cui occorrono sacrifici, differimenti del tempo del piacere, lavoro, fatica.
Il principio del piacere, in questo stato di cose, appare totalmente incompatibile con la realtà, con il principio di realtà; il piacere è sospeso o annullato e predomina quindi la pena necessaria per il progresso civile. Ma ciò che Freud attribuiva sic et simpliciter alla penuria, Marcuse lo attribuisce ad una determinata organizzazione sociale, una determinata organizzazione della penuria, e ad un atteggiamento esistenziale (ma per capire sarebbe meglio usare il termine esistentivo) specifico imposto da questa stessa organizzazione; la penuria viene imposta, come imposto è lo sforzo per superarla. L’imposizione è dapprima violenta poi sempre più razionale e questa imposizione fa, storicamente, gli interessi di una classe sociale.
Ogni modo di dominio, nei vari stadi della società, influisce sul principio della realtà e quindi vi è la continua modifica della repressione istintuale (fondamentale).
Il dominio introduce così dei controlli addizionali sopra quelli “necessari” per l’esistenza sociale; è la repressione addizionale.
Appare fondamentale, in questa azione repressiva, concentrare gli stessi impulsi sessuali verso la genitalità; ciò consente, per un verso, un piacere più intenso, e per l’altro, una soddisfazione piena dei bisogni inerenti la sessualità.
Si compie un’opera di de-sessualizzazione delle numerose zone erogene del corpo per concentrare il piacere nella genitalità; scopo di questa operazione psicologico-sociale è quello di con-formare gli impulsi alle specifiche esigenze dell’organizzazione sociale: la produzione e i processi consoni alla produttività economica.
Dominio, fatica e lavoro sono i pilastri della società repressa e dominata dal concetto di produttività. Il piacere per il piacere, nell’ambito della sessualità, è negato a favore della sola funzione riproduttiva. La soddisfazione degli “istinti parziali” viene rimossa come per-versione rispetto agli interessi della civilizzazione e della società o trasformata in elemento sussidiario della sessualità riproduttiva, negando così il principio del piacere.
La specifica forma storica del principio di realtà, Marcuse la chiama principio di prestazione, per far risaltare il fatto che il dominio della società sia strutturato essenzialmente secondo le prestazioni economiche dei suoi membri.
Il principio di prestazione, questo “nuovo” principio sociale, suppone e presuppone lo sviluppo sempre più
razionale del dominio.
Per un certo periodo, analizza Marcuse, gli interessi del dominio e quelli dell’insieme, cioè la società, coincidono, ma con l’aumento della divisione del lavoro il dominio diventa sempre più estraneo all'uomo stesso, alla sua condizione e natura:

Gli uomini non vivono la loro vita, ma esegueiscono funzioni prestabilite; non soddisfano bisogni e facoltà proprie ma (…) lavorano in uno stato di alienazione (p. 88).

Le ore di lavoro sono penose, perché lavoro alienato significa assenza di soddisfazione e negazione del principio del piacere. L’energia tolta alla sessualità è deviata per avere prestazioni socialmente utili e con il passare del tempo, con processo freudiano, l’uomo introietta in sé la repressione, che diventa così vita propria: «Egli desidera solo ciò che ritiene si debba desiderare (...) egli è ragionevolmente e spesso esuberantemente felice» (p. 89).
Diventa a questo punto importante, dal punto di vista del dominio, anche la distribuzione stessa del tempo e Marcuse analizza lo svolgersi della giornata nella vita sociale, così determinatasi: tra l’andare al lavoro, il lavoro stesso e il ritorno a casa, le ore occupate sono circa dieci; per il sonno e il nutrimento vengono impiegate altre dieci ore; il tempo libero restante è di sole quattro ore: qui nasce, nei termini delle categorie assunte, il conflitto tra il principio di piacere e il principio di prestazione.
L’Es (p. del piacere), che non conosce tempo, si ribella alla repressione e al frazionamento del piacere, ma la società, governata dal p. di prestazione, impone necessariamente questa distribuzione. L’uomo viene educato allalienazione del suo tempo, alla radice.
Da notare che il conflitto inconciliabile che si crea non è tra Eros (p. di piacere) e lavoro (p. di realtà), ma tra Eros e lavoro alienato (p. di prestazione).
Anche il tempo libero a poco a poco viene asservito al p. di prestazione; esso non è più tempo realmente libero ma tempo di rilassamento passivo, la cui funzione è quella di ri-creare energie necessarie al lavoro.
Questo meccanismo permette anche la stabilità della società; la libera intelligenza non ignorerebbe difatti le vie per liberarsi dalla repressione, lEs si scaglierebbe contro l’Io della realtà, contro il dominio a lui sempre più estraneo.
Anche le per-versioni rappresentano un grave pericolo allo sviluppo della civiltà; le per-versioni minano i fondamenti del p. della realtà e mettono in pericolo la riproduzione ordinata della forza-lavoro e persino la stessa umanità come specie.
Qui Eros e Thanatos trovano il fatale connubio: mentre nella trasformazione sociale del p. di prestazione, Thanatos è piegato al servizio dell’Eros, nelle per-versioni vi è l’asservimento di Eros verso Thanatos.
L’aggressività è utilizzata per la modifica e il dominio della natura a vantaggio dell’umanità, e Marcuse, con lucidità e carico di profonda ironia, vede in tale tipo di organizzazione sociale l’avvalorarsi dell’utilità della guerra per un processo di civilizzazione sempre più “evoluto”:

Aggiungendo, scindendo, polverizzando oggetti e animali (e periodicamente essere umani), l’uomo estende il suo dominio sul mondo e progredisce verso civiltà sempre più ricche (p. 94).

In tutto ciò, si determina la componente mortale della società, per cui lo sforzo costruttivo verso la civiltà contiene in sé anche il principio di morte (la guerra); Thanatos nell’individuo è il Super-Io che aizza l’Io contro l’Es per neutralizzarne gli istinti pericolosi. Questo imperativo categorico del Super-Io è un imperativo di auto-distruzione di una parte della stessa personalità dal punto di vista ontologico e ontogenetico e di pari passo filogenetico per cui il progresso della civiltà repressiva libera forze sempre più distruttive (accentrate nel Super-Io inteso come principio di dominio).

***
Herbert Marcuse, Eros and civilization: A Philosophical Inquiry into Freud, The Beacon Press, Boston, 1955, tr. it. H. Marcuse, Eros e civiltà, trad. di L. Bassi, Einaudi, Torino, 1964 (le citazioni sono dell’edizione del 1964, se non indicato diversamente).

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