venerdì 7 novembre 2014

Il ruolo della tecnica nell'antropologia gehleniana

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it; III di 3)

5. La ricerca di un equilibrio tra scienza, tecnica e industria: un’epoca di transizione

Tale posto è tuttora in via di formazione e la direzione attualmente presa è quella che è stata inaugurata dalla cosiddetta rivoluzione scientifica e dall’industrializzazione; questi due fenomeni, caratterizzanti la seconda svolta antropologica fondamentale, interagiscono con la tecnica e, proprio dalla loro unificazione, prende forma una nuova epoca. Ma quali sono allora i punti di contatto della tecnica con la scienza, da un lato, e con l’industria, dall’altro?
L’esperimento è, per Gehlen, il punto d’intersezione tra la tecnica e le scienze naturali; «l’anello di collegamento tra la tecnica e le scienze naturali è l’esperimento»(41). Un’ipotesi scientifica, infatti, per essere riconosciuta corretta deve essere sperimentalmente verificabile e, tale verificabilità, si manifesta tramite esperimenti (sempre più complessi) eseguibili grazie alle nuove tecnologie, si realizza così la sovrapposizione dello spirito scientifico con quello tecnico. Sull’altro versante, tecnica e industria sono unite poiché quest’ultima rappresenta la ramificazione commerciale della prima, dando origine ad un processo di generalizzata diffusione (tramite il commercio) di strumenti tecnologici. A seguito dell’unione fra scienza, tecnica e industria, si realizza e si diffonde un tipo di mentalità fattualmente calcolante, “empirica”, che annulla la classica diversità tra scienze positive e scienze dello spirito; quest’ultime, infatti, vengono ormai apprezzate solo se dimostrano di fondarsi su una rigorosa metodologia, al pari delle prime. «L’estendersi dell’atteggiamento empirico anche alle scienze morali dà luogo a fenomeni di nuovo genere [...]
È, infatti, chiaro che ormai va scomparendo, per quanto concerne il metodo, anche la differenza tra scienze positive e scienze dello spirito»(42). Viene così a cadere l’eterogeneità degli approcci allo studio dell’uomo e delle sue opere e, l’unica varietà rimanente, è quella delle “specializzazioni scientifiche”. La civiltà attuale, che prende forma a seguito della citata sintesi di scienza, tecnica e industria, non ha eguali nella storia del genere umano, dunque le sue caratteristiche costituiscono per l’uomo una novità assoluta. Novità che, chi non riesce a comprendere(43), considera come un preludio al declino della civiltà occidentale, mentre in esse Gehlen coglie «un sintomo di una trasformazione culturale su scala mondiale»(44). Così come durante la “rivoluzione neolitica”, in cui l’uomo passò dall’esistenza nomade alla vita sedentaria, «la trasformazione fu imprevedibilmente profonda e passò attraverso gli esseri umani»(45), anche le radicali innovazioni di oggi influiscono profondamente nelle forme di vita degli uomini e necessitano di tempo per essere assimilate.
La convinzione gehleniana che «l’umanità non ha ancora trovato un rapporto morale stabile con la civiltà industriale»(46) (e che quindi la nostra sia un’epoca di transizione volta alla ricerca di tale stabilità), lo porta ad interpretare il “disagio generale” della nostra era come una conseguenza della perdita degli antichi “immobili culturali”, ossia di saldi e sicuri punti di riferimento per i nostri pensieri, comportamenti, abitudini. Il fatto che «mancano [...] “immobili culturali” ai quali si possa affidare la guida del nostro comportamento con la sensazione di far cosa giusta»(47), porta gli uomini a ricercare la propria sicurezza in inautentici “slogan” linguistici, e nel consumo di beni materiali, consumo che, inoltre, viene alimentato e indirizzato da chi, da tale situazione, trae benefici, generando così un “sistema”(48) che

non si regge soltanto sul postulato del diritto universale al benessere, il sistema tende anche a rendere impossibile la posizione contraria, il diritto alla rinuncia al benessere, e precisamente in quanto produce e automatizza i bisogni stessi del consumo (difatti) l’industria non produce basandosi su un fabbisogno stereotipato, tradizionale, ma viceversa coproduce essa stessa i bisogni per quei prodotti che, indipendentemente dalla domanda (la quale è solo successiva a questa coltivazione artificiale di un nuovo fabbisogno), sviluppa per conto suo al suo interno(49).

Anche il cosiddetto “disagio della tecnica” (cioè la difficoltà di relazionarsi con le innovazioni tecnologiche e con la relativa mentalità tecnica) si inserisce all’interno di tale problematica ma, nell’orizzonte dell’antropologia gehleniana, una possibile soluzione non risiede certo nella rinuncia alla tecnica, bensi nella sua emancipazione dalla scienza e dall’industria. Infatti, ormai «si è giunti al ritmo strabiliante per l’osservatore della reazione a catena fra scienza naturale, tecnica e industria»(50), mentre, solo allentando i suoi rapporti con questi due “vicini scomodi” la tecnica potrebbe riappropriarsi del suo autentico significato antropologico. Tale operazione dipende dal recupero di quelli che Gehlen chiama ideali ascetici e che la società dei consumi ha offuscato in favore dei beni teneni al punto tale che, chi oggi volesse orientarsi a favore di uno stile di vita ascetico, non godrebbe più, come in passato, di una sorta di autorità morale, ma verrebbe invece considerato un’originale anomalia all’interno della società, ed il suo comportamento non sarebbe criticato ma semplicemente non compreso. Ciò nonostante, i margini per un recupero degli ideali ascetici sono, da Gehlen, individuati nel crollo del mito dell’onnipotenza del progresso scientifico-tecnologico-industriale, nella crisi dello scientismo. Liberare tramite l’ascesi la tecnica dalla scienza e dall’industria non ne causerebbe il dissolvimento ma, al contrario, la restituirebbe ad una dimensione umana, e segnerebbe la fine del disagio della tecnica.


Il collegamento di scienza, applicazione tecnica e sfruttamento industriale costituisce da parecchio tempo una struttura anch’essa automatizzata e completamente indifferente in senso etico. Una trasformazione radicale sarebbe possibile soltanto se attaccasse ai due estremi: al voler sapere, punto di partenza, o al voler consumare, punto di arrivo del processo. In enrtambi i casi, l’ascesi, se mai comparisse, sarebbe il segnale di una nuova epoca(51).

Facendo parte della sua costituzione antropologica, l’uomo non può svincolarsi dalla tecnica, tuttavia può e deve combattere quel processo di tecnicizzazione dell’esistenza, sfociante nell’ormai noto consumismo.

6. Post-histoire e ipertrofia morale

L’humus sociale che ha favorito l’insorgere delle sopraesposte problematiche è quello post-borghese che Gehlen definisce della post-histoire, o della seconda secolarizzazione(52). Nella nostra era, infatti, è avvenuta una seconda secolarizzazione (successiva a quella che tradusse i valori fideistici ebraico-cristiani in razionali progetti storici, di cui l’emblema massimo sono le idee di libertà e d’uguaglianza) che ha paralizzato il concetto di progresso(53), riducendolo a mera ripetizione parassitaria e consumo dell’esistente. La seconda secolarizzazione, insomma, designa quel momento storico in cui, al progresso umano in senso lato, si sostituisce un procedimento di incremento tecnologico, scientificamente e industrialmente (consumisticamente) supportato che, producendo innumerevoli strumenti tecnologici, appiattisce la mentalità degli uomini sugli stessi, dunque sulla realtà esistente, eliminando ogni possibile azione o pensiero critico nei confronti dello status quo(54). In tale scenario le uniche “rivoluzioni” possibili sono quelle delle mode. Tuttavia Gehlen vede nell’arte moderna una possibilità di superamento della società tecnologicamente consumistica. Per evidenziare i tratti peculiari dell’arte moderna(55), Gehlen parte dall’analisi dell’arte medievale, chiamata “arte ideale”: questa si sforza di propagare significati ideali, mitologici o religiosi, appoggiandosi ad una simbologia astratta, metafisica. L’
arte realistica” rinascimentale, invece, si concentra sul dato oggettivo, cercando di riprodurre fedelmente la realtà, soprattutto quella naturale. Infine l’arte moderna, definita arte astratta”, tende alla descrizione della società, ma le descrizioni che ne derivano sono inevitabilmente soggettive, legate cioè alla sensibilità dell’artista. Deriva da ciò una frattura tra la realtà oggettiva e l’interpretazione critica soggettiva della stessa. Frattura che Gehlen ritiene possa trasportarsi dall’ambito artistico all’intera società: come nell’arte astratta non ci si ferma al significato immediato di un’immagine ma la si trascende grazie ad una molteplicità d’interpretazioni, così nell’era odierna non ci si deve arrestare a ciò che la realtà propone ma si deve andare verso il non ancora, in direzione di ciò che è qualitativamente fuori dal comune”.
Ma la post-histoire è anche e soprattutto l’epoca di una nuova sensibilità etica, che ridefinisce i tradizionali legami familiari, espandendoli all’umanità tutta(56), ed il fatto che tuttora siano in atto scontri tra uomini portatori di sistemi etici diversi, non mette in discussione la concezione di un ethos familiare allargato; ciò, per Gehlen, dimostra solamente che l’ethos umanitario ha una radice pluralistica(57). Ma se tale è la “forma” dell’etica contemporanea, quali sono però i suoi “contenuti”? Si è già mostrato come la nostra sia la società delle informazioni, esperienze ed opinioni di “seconda mano”. Ora, le nostre valutazioni morali possono essere messe a punto solo su ciò che ci sta vicino, ma attualmente le informazioni a nostra disposizione hanno una portata mondiale, conseguentemente «il suo (dell’uomo) organo morale sarebbe assolutamente competente per eventi su scala mondiale»(58). Tuttavia questa presunta competenza si fonda su informazioni e opinioni di seconda mano, che rendono tale anche la morale:


Sta così sorgendo una specie di morale a distanza, che si estende fino alla periferia dell’informazione [...] si tratta per così dire di una “morale di seconda mano”, che però nel vissuto viene a valere come immediata, ciò che del resto vale anche per le nostre opinioni(59).

Quindi, che i mass-media alterino le informazioni (quantomeno poiché le rendono di seconda mano) e le opinioni e la morale su di esse basata, non vi è dubbio; non è però da attribuire unicamente ai mass-media l’enorme dilatazione dell’umanitarismo, dell’eudemonismo e del senso di responsabilità, che Gehlen chiama “ipertrofia morale”. Questa infatti non dipende tanto dallo sviluppo dei mezzi di comunicazione, quanto dall’affrancamento dell’uomo della religione, dalla sostituzione della Fortuna e/o di Dio (come motori delle vicende umane) con la “storia”, ed in essa ogni uomo è responsabile per le sue azioni, per le azioni che induce a compiere e per quelle che lascia che si compiano, insomma, nella storia ogni uomo ha un suo peso specifico da cui derivano delle inevitabili responsabilità(60) (leggibili anche come opportunità di fornire il proprio contributo allo svolgimento della storia dell’uomo, che per Gehlen coincide del tutto con la storia del progresso tecnologico).
Concludendo, la tecnica è per l’uomo gehleniano una necessità, i cui effetti variano al variare del modo in cui viene soddisfatta. Conseguenze negative derivano, infatti, dalla sottomissione della tecnica alla scienza e all’industria, esiti positivi derivano, invece, dal vivere la tecnica all’insegna di ideali ascetici. Ora, si potrebbe sostenere che il più importante dei valori ascetici sia il senso della misura e che, quindi, il modo corretto di relazionarsi con la tecnica sia quello di prendere da essa il minimo indispensabile, solo ciò che serve per soddisfare le basilari ed autentiche esigenze dell’uomo, uscendo perciò dalla morsa del consumismo? Se la risposta fosse affermativa, si potrebbe gettare un ponte tra la questione della tecnica in Gehlen e la critica alla società tecnologicamente avanzata della prima Scuola di Francoforte.

41) A. Gehlen, L’uomo nell’era della tecnica, cit., p. 55.
42) Ibidem, p. 56.
43) Ancora una volta Gehlen si riferisce a Spengler e Toynbee.
44) A. Gehlen, La tecnica vista dall’antropologia, in Prospettive antropologiche, cit., p. 135.
45) Ivi.
46) A. Gehlen, L’uomo nell’era della tecnica, cit., p. 77.
47) Ibidem, p. 78.
48) Il concetto di sistema ricorda inevitabilmente quello espresso da Herbert Marcuse in One-Dimensional Man, Beacon, Boston, 1964, trad. it., L’uomo a una dimensione, Torino, Einaudi, 1999. Inoltre, a riguardo della consumistica corsa alla prosperità: «si è vista la corsa al benessere accelerarsi di giorno in giorno su una pista dove si precipitavano folle sempre più compatte. Oggi è una rissa violenta», H. Bergson, Les deux sources de la morale et de la religion, Paris, Presses universitaires de France, 1946, trad. it., Le due fonti della morale e della religione, Milano, Comunità, 1973, p. 254.
49) A. Gehlen, L’uomo nell’era della tecnica, cit., pp. 106-105, parentesi mia.
50) A. Gehlen, La tecnica vista dall’antropologia, in Prospettive antropologiche, cit., p. 138.
51) A. Gehlen, L’uomo nell’era della tecnica, cit., p. 80.
52) Cfr. A Gehlen, Die Säkularisierung des Fortschritts, trad. it., La secolarizzazione del progresso, in «La Politica», n. l, 1985.
53) Cfr. A. Gehlen, Über Kulturelle Kristallisation, in Studien zur Anthropologie und Soziologie, Neuwied, Luchterhand, l963, trad. it., Della cristallizazione culturale, in Il mondo di domani, Roma, Abete, 1964, pp. 489-494.
54) Ancora una volta, è interessante il confronto con un concetto marcusiano: quello di “unidimensionalità”, intesa come l’incapacità di pensare le alternative, espresso ne L’uomo a una dimensione, cit.
55) Cfr. A. Gehlen, Zeit-Bilder. Zur Soziologie und Ästhetik der modernen Malerei, Klostermann, Frankfurt a. M., 1986, trad. it., Quadri d’epoca, Napoli, Guida, 1989; G Carchia, L’opera d’arte dal rito alla secolarizzazione. Arnold Gehlen e l’estetica del “Post-histoire”, in «Aut Aut», 245, 1991, pp. 123- 131.
56) Tutto ciò ha per Gehlen un’enorme importanza, poiché le norme etiche contribuiscono a controllare ed orientare il comportamento umano, in attesa di una definitiva stabilizzazione della nostra epoca di transizione.
57) Cfr. A. Gehlen, Moral und Hypermoral. Eine pluralistische Ethik, Frankfurt a. M.-Bonn, Athenäum, 1969. A tale concezione pluralistica dell’etica si oppone, in particolare, Jürgen Habermas, per il quale le molteplici forme dell’ethos sono parti di un’unica morale universalistica.
58) A. Gehlen, La situazione sociale nel nostro tempo, in Prospettive antropologiche, cit., p. 183, parentesi mia.
59) A. Gehlen, Sviluppo di una «morale di seconda mano», in ibidem, p. 185.
60) Senza appiattire le differenze non si può però non notare un’eccezionale affinità tra l’uomo gehleniano della post-histoire e l’homo creator scheleriano.

(in M. T. Pansera (cura), Il paradigma antropologico di Arnold Gehlen, Mimesis, Milano 2005)

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