domenica 13 novembre 2011

"La mia quiete"

di Francesco Barresi (ruutura@hotmail.it)

La mia quiete
era un’alba di luci smerigliate
in una stanza piena di sussurri.
Se ricordi le mie mani
cercavano
il tuo corpo disteso
nell’argento del primo mattino,
il chiaroscuro della tua anima in festa
e le mie mani vibravano nelle tue.
Ma tra lenzuola assi rotte e sudore
la mia testa di febbri scucite
le tue mani a cercarmi
nell’ultimo delirio
ora qui, a saziarci, le briciole del nostro amore.

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Ombre della sera,
sembrate così dure
nel colore che vi carica.
La mia anima se si muove
si ritira con le sue ali di fuoco
in un cerchio di puro dolore.
Voi celate tutto nel vostro duro schermo
ma le parole
loro
trafiggono questo limite
e si consumano nel silenzio.
Tenetele in voi,
ombre,
serbatele per lei
e ditele che la mia mano,
nel sonno,
si muove oltre l'orizzonte
dove so che lei vive
e furoreggia nella vita,
solo per toccarle il viso
e dolermi per gli occhi suoi
lontani.

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Sono immerso nel buio della sera.
Un silenzio che taglia il fiato e aguzza i sensi.
Io ti sento
ed è un calice che vuoto
mentre la tua immagine
si staglia fresca nella mente
e mi prende un sorriso,
l'unico atto di gioia nel ventre del buio,
l'unico lampo di luce
che riverbera forte e sicuro
come la notte che attende.

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Ho questo tramonto che mi segna
come la punta di una lama sul limite del cuore.
Te sei al di là dell'orizzonte
e forse non basta la mia anima che si espande,
non so se cogli l'ardire.
Ma te riposa, medita sugli istanti che cogliemmo insieme.
Possano germinare tra i tuoi pensieri
come semi di luce e proteggerti.
Hai questo limitare del mio cuore per te
e il cielo se trasmette energia è qui che mi carica del tuo ricordo
e nulla, dico nulla, è pari alla nostalgia di te.

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La fonte della pienezza
sgorga
da questo corpo di febbri
e cerchi di fiamma
con il grido strozzato in gola
per la gioia della tua visione,
anima sacra di pelle umana
verso quale vortice
incedi
con passi delicati
e tonfi da palcoscenico
perché, sai, la tua anima è pesante.

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La mia quiete
è questo protendere
la mani chiuse a spine
verso un cielo di pura grazia
dove la luce rifulge favolosa
e te risiedi in un alveo di chiara bellezza.
E gettare
il mio corpo
nel tuo
per l'ultimo grido
che squarci le pareti dell'aria,
le carni che vibrano impazzite:
così, la vita, ci tiene per mano.

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Latebre della sera
scolorite
con il rosa del tramonto
quale pena di chiodi mi urge gridarvi.
Potessi chiuderle le labbra
con il fiore di un bacio
e cingerla tra me,
vaso che accresce l'oro
in una preghiera di latebre.

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Fermo con le mani nelle tempie
nel buio degli occhi chiusi
la tua voce si dirama
nel cerchio dei ricordi.
Ed è nel palco
dove celebri e consumi la tua anima
che ti scorgo.
Mentre ti liberi del fuoco
con una scrollata
E danzi in punta di vita
carezzando il baratro.

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La calura si attenua. Il
giogo si allenta in una
serenità ritrovata. Come
amo questo silenzio in
cui muori con
dolcezza. Ti ghermirei
nel buio del tuo animo
e, nel fuoco, le carni che
bollono, tra caldo sudore
e sfiati cogliere nelle
mani liquefatti umori la
certezza del tuo sonno
e resistere alla veglia.

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